Corte di Cassazione sentenza n. 38385 del 03 ottobre 2012
RAPPORTO DI LAVORO – CONTRAFFAZIONE DEL CERTIFICATO MEDICO – MALATTIA – CONFIGURABILITA’
massima
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Il lavoratore che ha contraffatto la prognosi contenuta in un certificato medico, nella specie, da tre ad otto giorni, incorre nella responsabilità per il reato di cui agli artt. 477 e 482 cod. pen.. E’ punito penalmente chi altera il certificato medico in quanto il certificato medico redatto dal sanitario è un atto pubblico che fa fede, fino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l’ha stilato, nonché dei fatti che in esso il pubblico ufficiale attesta aver compiuto o essere accaduti in sua presenza.
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Ritenuto in fatto
1. M.M., già assistente di polizia penitenziaria, ricorre tramite il difensore avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano dell’11-3-2011 che, confermando quella del Tribunale della stessa città in data 18-6-2009, aveva riconosciuto la sua responsabilità per il reato di cui agli artt. 477 e 482 cod. pen., per aver contraffatto la prognosi contenuta in un certificato medico in data 6-12-2004, da tre ad otto giorni.
Con il primo motivo si deducevano erronea applicazione della legge penale e vizio motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell’impedimento professionale del difensore a partecipare all’udienza, la cui sussistenza avrebbe potuto essere controllata dalla corte esercitando i propri poteri.
Con il secondo motivo gli stessi vizi erano dedotti in ordine alla mancata assoluzione dell’imputato, per non essersi tenuto conto della mancanza di interesse all’alterazione del certificato essendo questi effettivamente ammalato, come accertato dalla competente commissione medica che lo aveva dichiarato permanentemente non idoneo al servizio.
Analoghe censure, ma in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., erano mosse alla sentenza con il terzo motivo. Infine, con il quarto motivo, si deduceva violazione di legge in ordine al trattamento sanzionatone.
Considerato in diritto
1. Il ricorso si limita in gran parte a riproporre, senza introdurre significativi elementi di novità, doglianze che, già veicolate con i motivi di appello, sono state oggetto di puntuale esame e motivato rigetto nel provvedimento impugnato.
2. Merita specifica menzione la questione in rito prospettata con il primo motivo, relativa a nullità che si sarebbe verificata nel giudizio di secondo grado, soltanto per rilevare l’esattezza del rigetto da parte della corte territoriale dell’istanza di rinvio del difensore per impedimento professionale, sul rilievo che l’impedimento non era stato prontamente comunicato, in quanto, benché la concomitanza dei due impegni professionali fosse nota al difensore dal 9-2-2011, l’istanza di rinvio era stata presentata soltanto l’8-3-2011, nell’imminenza dell’udienza del giudizio di appello.
3. Il tema della responsabilità, in relazione al quale si assume, con il secondo ed il terzo motivo, l’assenza di interesse all’alterazione del certificato per effettiva sussistenza della patologia (M. sarebbe stato poi dichiarato permanentemente inidoneo al servizio), è stato oggetto di disamina nella sentenza impugnata evidenziando, con consentita motivazione per relationem a quella di primo grado, che, a fronte dell’attendibile dichiarazione del medico autore del certificato di non aver effettuato lui la correzione comportante prolungamento della malattia, vi era un preciso interesse del prevenuto a tale prolungamento. Egli aveva infatti l’esigenza di giustificare, senza soluzione di continuità, la propria assenza dal lavoro dal 6-12-2004 -data di scadenza di un precedente certificato dello stesso medico curante – e tale obiettivo aveva tentato di conseguire mediante l’invio del certificato alterato (invio tra l’altro avvenuto, alla direzione della Casa Circondariale di Milano Opera, in data 18-12-2004 ben oltre tale scadenza), che consentiva di coprire il mancato rientro in servizio per otto giorni, anziché per i soli tre indicati nella versione originale del documento.
4. Oggetto di specifica ed ineccepibile motivazione è infine la conferma del trattamento sanzionatorio, di cui il ricorrente si duole con l’ultimo motivo, conferma ancorata al rilievo premesso che la pena base è stata determinata nel minimo edittale, che l’incidenza, in misura peraltro solo lievemente inferiore al terzo, della concessione delle attenuanti generiche era in linea con la presenza di un precedente, pure connesso al ruolo svolto dall’imputato nel corpo della polizia penitenziaria, ritenuto ostativo anche alla sospensione condizionale della pena.
5. Il ricorso è quindi inammissibile e alla relativa declaratoria seguono le statuizioni di cui all’art. 616 cod. proc. pen., determinandosi la somma da corrispondere alla Cassa delle Ammende nell’importo di € 1000, che si ritiene equo in considerazione dei profili della vicenda e delle tematiche oggetto di ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1000 in favore della Cassa delle Ammende.
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