Corte di Cassazione sentenza n. 532 del 10 gennaio 2013
PROCEDIMENTO CIVILE – PROCEDIMENTO IN MATERIA DI LAVORO E DI PREVIDENZA – COSTITUZIONE DEL CONVENUTO – ONERE DI SPECIFICA CONTESTAZIONE DEI FATTI AFFERMATI DALL’ATTORE ONDE EVITARE GLI EFFETTI DELL’INOPPONIBILITÀ DELLA CONTESTAZIONE NELLE FASI SUCCESSIVE DEL PROCESSO – RIFERIBILITÀ ESCLUSIVA DI DETTO MECCANISMO AI SOLI FATTI MATERIALI DEDOTTI DALL’ATTORE INTEGRANTI LA SUA PRETESA SOSTANZIALE – SUSSISTENZA – APPLICABILITÀ DEL RICHIAMATO PRINCIPIO ALLE CIRCOSTANZE IMPLICANTI UN’ATTIVITÀ DI GIUDIZIO – ESCLUSIONE
massima
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Nelle controversie di lavoro, l’onere di specifica contestazione dei fatti allegati dall’attore, previsto dall’art. 416, comma terzo, cod. proc. civ., al cui mancato adempimento consegue l’effetto dell’inopponibilità della contestazione nelle successive fasi del processo e, sul piano probatorio, quello dell’acquisizione del fatto non contestato ove il giudice non sia in grado di escluderne l’esistenza in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo, si riferisce ai fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda, ovvero ai fatti materiali che integrano la pretesa sostanziale dedotta in giudizio, e non si estende, perciò, alle circostanze che implicano un’attività di giudizio.
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Svolgimento del processo
Il Tribunale di Reggio Calabria, giudice del lavoro, ha respinto la domanda proposta da G. C. tesa ad ottenere il riconoscimento del suo diritto all’inquadramento nella qualifica di segretario, C.C.N.L. 1987-1989 ratione temporis applicabile, in relazione all’avvenuto svolgimento delle relative mansioni, e la condanna della società R. F. I. s.p.a. al pagamento delle differenze retributive maturate.
La Corte d’Appello di Reggio Calabria, dichiarata la contumacia della società costituitasi con memoria priva di procura alle liti, ed integrata l’istruttoria svolta in primo grado, rigettava l’appello del C. confermando la sentenza di primo grado.
Il giudice d’appello riportate le declaratorie contrattuali della qualifica di appartenenza (applicato) e di quella rivendicata (segretario), accertava che le mansioni in concreto svolte dal dipendente, quali risultanti dall’istruttoria svolta sia in primo che in secondo grado, si caratterizzavano per la loro natura prettamente esecutiva, priva di quei compiti di natura contabile propri della qualifica rivendicata.
Del pari constatava che, anche nella tenuta dell’archivio, le mansioni erano prettamente esecutive e concludeva quindi che i compiti svolti si caratterizzavano per il loro carattere ripetitivo ed elementare e non integravano quell’attività istruttoria, propedeutica alla formazione di atti tecnici amministrativi e contabili, né richiedevano alcuna elaborazione, esame e valutazione di dati, propri di una particolare preparazione professionale specializzata.
Sottolineava infine l’irrilevanza, ai fini della qualificazione dell’attività svolta, della circostanza che compiti analoghi a quelli assegnati al C. fossero di regola attribuiti a personale inquadrato proprio nella qualifica di segretario rivendicata.
Avverso la sentenza ha proposto tempestivo ricorso per Cassazione il C., ritualmente notificato alla società resistente, affidato a sette motivi (rectius otto).
Resiste con controricorso la R. F. I. s.p.a. insistendo per l’inammissibilità del ricorso avversario e, comunque, per la sua infondatezza.
Motivi della decisione
Con i primi cinque motivi di ricorso viene denunciata a norma dell’art. 360 comma 1 n. 3 la violazione e falsa applicazione delle seguenti disposizioni:
1.- dell’art. 2, titolo I, sezione I, del c.c.n.l. 1987/1989 Ente Ferrovie dello Stato e dei relativi quadri allegati nn. 1, 2, 3, e 4 con riguardo all’inquadramento nella V° categoria, qualifica di tecnico, delle mansioni di archivista e operatore contabile in concreto svolte dal C.;
2.- degli artt. 115 e 116 c.p.c. per avere omesso di valutare le prove documentali (richiesta di attribuzione dell’indennità giornaliera per operatori di contabilità materiale) e testimoniali offerte (e riportate nel ricorso per Cassazione) confermative dell’avvenuto svolgimento di mansioni allegate (cassiere e archivista) con autonomia operativa e responsabilità diretta, caratteristiche proprie della qualifica di segretario e non contestate dalla società resistente;
3.- dell’art. 2103 c.c., dell’art. 13 della l. n. 300/1970 e dell’art. 41 del c.c.n.l. di categoria, per avere escluso che le funzioni di cassiere ed archivista rientrassero nelle mansioni di segretario;
4.- degli artt. 112 e 416 c.p.c. nonché dell’art. 24 Cost. per essersi – in violazione del principio di terzietà del giudice, di non contestazione ed in contrasto con le allegazioni delle parti e con le emergenze istruttorie, sostituito alla parte dichiarata contumace (stante il difetto di una valida procura) – escluso la riconducibilità delle mansioni di cassiere ed archivista al profilo rivendicato di segretario.
5.- dell’art. 24 Cost. immotivatamente impedito alla parte di formulare al teste chiamato a chiarimenti ulteriori domande relativamente alla quantità di denaro gestita dal C., al numero di dipendenti a cui si riferivano le somme, alla predisposizione degli atti dei pagamenti ed alla gestione degli stessi da riconsegnare alla ragioneria sebbene la riconvocazione dei testi fosse stata determinata dalla necessità avvertita dallo stesso giudice di assumere, genericamente, dei chiarimenti in relazione alle dichiarazioni già rese.
Con gli altri motivi, poi, viene censurata la sentenza per avere, con motivazione insufficiente e contraddittoria:
6.- omesso la motivazione circa il grado di autonomia e responsabilità del dipendente nello svolgimento delle sue mansioni;
7.- assegnato valore privilegiato alla dichiarazione del teste sentito a chiarimenti sulla “nozione di buste paga” delle quali il ricorrente aveva la responsabilità, trascurando invece le altre acquisizioni istruttorie circa la riconducibilità dell’attività svolta alle mansioni di cassiere contabile.
8. – ritenuto irrilevante la circostanza che le mansioni svolte dal C. fossero state in altre occasioni affidate a personale inquadrato nella qualifica rivendicata.
Le censure di cui ai punti 1, 2, 3, 6, 7, 8, tra loro strettamente connesse, possono essere esaminate congiuntamente.
Occorre in primo luogo verificare se effettivamente, come in più parti del ricorso dedotto, la società resistente abbia omesso di contestare la sussistenza dei fatti costitutivi posti a fondamento del riconoscimento della qualifica superiore.
Va rammentato al riguardo che nelle controversie di lavoro, l’onere di specifica contestazione dei fatti allegati dall’attore, previsto dall’art. 416, comma terzo, cod. proc. civ., al cui mancato adempimento consegue l’effetto dell’inopponibilità della contestazione nelle successive fasi del processo e, sul piano probatorio, quello dell’acquisizione del fatto non contestato ove il giudice non sia in grado di escluderne l’esistenza in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo, si riferisce ai fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda, ovvero ai fatti materiali che integrano la pretesa sostanziale dedotta in giudizio, e non si estende, perciò, alle circostanze che implicano un’attività di giudizio (cfr. Cass. 15/5/2007 n. 11108).
I fatti allegati, intanto possono essere considerati “pacifici”, esonerando la parte dalla necessità di fornirne la prova, in quanto l’altra parte abbia impostato la propria difesa su argomenti logicamente incompatibili con il disconoscimento dei fatti medesimi.
Tale non è la situazione nel caso di specie.
Come ammesso dallo stesso C. (pag. 22 ricorso per cassazione) la resistente sin dalla prima difesa si è limitata ad ammettere che le funzioni di cassiere ed archivista rientrano nella qualifica rivendicata di segretario. Non risulta affatto, al contrario, che la società abbia, anche solo implicitamente confermato lo svolgimento di tali mansioni da parte del ricorrente.
Al contrario è proprio questa la contestazione che è contenuta negli atti difensivi della società così come risulta dalla stessa esposizione del ricorso per cassazione.
Tanto chiarito, venendo allo specifico esame dei motivi di ricorso, rileva la Corte che il giudice d’Appello ha motivato la propria decisione analizzando in primo luogo la disposizione collettiva che disciplina la qualifica di segretario rivendicata e quindi quella di applicato rivestita.
Ha poi proceduto ad un esame delle emergenze istruttorie, anche nella parte integrata nel giudizio di appello (con i chiarimenti resi al teste V.) ed ha concluso quindi per la natura meramente esecutiva dei compiti svolti dal C. sia per quanto concerne le attività di tipo “contabile” sia con riferimento a quelle di “archivio”.
Ne ha verificato il carattere elementare e ripetitivo ed ha sottolineato l’ininfluenza della circostanza dedotta che le mansioni erano di regola affidate a soggetti che rivestivano la qualifica di segretario rivendicata.
Così argomentando il giudice di appello si è attenuto all’orientamento di questa Corte in tema di inquadramento del lavoratore.
In detta materia, infatti, il procedimento logico che il giudice di merito deve seguire si articola in tre fasi tra loro indipendenti: a) individuazione dei criteri generali ed astratti posti dalla legge e, eventualmente, dal contratto collettivo a distinzione delle varie categorie e qualifiche; b) accertamento delle concrete mansioni di fatto; c) comparazione tra queste e le suddette previsioni normative.
La prima di tali operazioni può dar luogo a violazione di legge, pur sotto il limitato profilo della violazione delle norme di ermeneutica contrattuale, allorché la classificazione sia posta dal contratto collettivo di diritto comune.
Le altre due operazioni possono dar luogo solo a vizio di motivazione e sono incensurabili in sede di legittimità se immuni da vizi logici (Cass. n. 8453/2010 ed ivi la citata Cass. n. 6560/2001).
Orbene sia con il primo che con il secondo dei motivi proposti si chiede sostanzialmente un riesame delle risultanze istruttorie alla luce di una diversa interpretazione delle stesse, ma non si spiega sulla base di quali erronee regole ermeneutiche la disposizione collettiva sarebbe stata interpretata in senso sfavorevole per il dipendente.
Né a diverse le conclusioni si giunge esaminando il secondo motivo sotto il profilo della violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..
Come è noto, in base ad un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 21 luglio 2010, n. 17097; Cass. 15 luglio 2009, n. 16499).
In definitiva la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 42 del 2009 e recentemente ancora Cass. ord. Sez. 6, n. 9765/2012).
D’altra parte, la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, e l’osservanza degli artt. 115 e 116 c.p.c. non richiedono che il giudice del merito dia conto di tutte le prove dedotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente e necessario che egli esponga in maniera concisa gli elementi in fatto e in diritto posti a fondamento della sua decisione (Cass. 28 ottobre 2009, n. 22801).
In particolare, l’art. 115 cod. proc. civ. – che fa obbligo al giudice di decidere iuxta alligata et probata – non impone di ammettere le prove ritenute dal giudice stesso superflue, ma vieta soltanto di attingere fuori dal processo la conoscenza dei fatti da accertare e di prescindere debutto dalle prove acquisite nel processo medesimo (Cass. 6 settembre 2002, n. 12980). E ciò vale evidentemente anche nel processo del lavoro (Cass. 12 maggio 1986, n. 3143 e Cass. 26 gennaio 2011, n. 1789 e da ultimo anche 13367 del 2011).
Tanto premesso non risultano in alcun modo ravvisabili, nel corso del presente procedimento, violazioni di ermeneutica contrattuale né vizi della esaustiva motivazione.
Il giudice d’appello, ha puntualmente riscontrato le emergenze probatorie già esaurientemente vagliate dal giudice di primo grado ed approfondite in appello ed ha verificato che i compiti svolti si risolvevano in mansioni meramente esecutive quali il ritiro degli assegni e la consegna delle buste paga sottolineando l’irrilevanza, ai fini del conseguimento della qualifica superiore, della assegnazione di tali compiti anche a personale che rivestiva la qualifica rivendicata.
La sentenza, pertanto, va esente dai vizi denunciati.
Per le medesime considerazioni va respinto anche il terzo motivo relativo ad una pretesa violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 e art. 41 c.c.n.l. che prevede il riconoscimento della qualifica superiore solo ove vi sia stata effettivamente l’utilizzazione del dipendente in esse.
Quanto al quarto anch’esso è infondato.
Esclusa, per quanto più sopra detto, la mancata contestazione in primo grado, da parte della resistente, delle allegazioni del ricorrente, si rammenta che rientra nei poteri del giudice di merito la conduzione della fase istruttoria che è vincolata da un lato dalla tempestività e pertinenza delle allegazioni poste a fondamento della prova da espletare rispetto al tema della decisione; dall’altro dall’esigenza, insita nel disposto dell’art. 421 c.p.c., di procedere, anche d’ufficio ad approfondimenti necessari per la ricerca della c.d. verità materiale.
Per aversi una violazione di legge nei termini denunciati (art. 112 e 416 c.p.c. in relazione all’art. 24 Cost.) il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che il giudice si era pronunciato su una eccezione che la parte non aveva sollevato – circostanza che nella specie non si è verificata posto che, diversamente da quanto sostenuto nel motivo di ricorso – la Corte d’Appello si è limitata a verificare, se, alla luce delle argomentazioni poste a sostegno dei motivi di appello, le mansioni in concreto svolte erano riconducibili all’astratta previsione collettiva che disciplina la qualifica rivendicata. Tanto ha fatto sulla base di circostanze tutte già acquisite al giudizio in primo grado, nella presenza di entrambe le parti, con la sola eccezione delle dichiarazioni rese in sede di chiarimenti in appello da uno dei testi.
Tali dichiarazioni, secondo la valutazione del giudice di merito, incensurabile in questa sede perché logicamente argomentata, non avevano mutato il quadro probatorio già acquisito in primo grado.
In tale complessiva situazione, allora, non si ravvisa alcuna violazione di legge né, tantomeno una “prevaricazione” da parte del giudice di appello che si sarebbe illegittimamente sostituito alla parte resistente contumace in appello nel portare avanti questioni mai prima dedotte.
Il quinto motivo di ricorso è anch’esso infondato per le ragioni già esposte relativamente alla discrezionalità del giudice di merito di ritenere esaustiva la prova acquisita e non necessarie ulteriori domande ed approfondimenti. È appena il caso di ricordare che la facoltà, attribuita al giudice dall’art 421 c.p.c., di rivolgere al testimone, anche d’ufficio, domande di chiarimento, può comunque esercitarsi soltanto nell’ambito dei fatti specificati nei capitoli di prova articolati dalle parti, sicché va escluso che la genericità o l’incompletezza su aspetti essenziali dei fatti ivi dedotti sia sanabile in sede di espletamento della prova, mediante esercizio della facoltà di cui alla norma citata.
In conclusione il ricorso deve essere respinto e la sentenza confermata.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate con l’applicazione del nuovo sistema di liquidazione dei compensi agli avvocati di cui al D.M. 20 luglio 2012, n. 140, Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell’art. 9 del d.l. 24 gennaio 2012 n. 1, conv., con modificazioni, in l. 24 marzo 2012 n. 27. L’art. 41 di tale Decreto n. 140/2012, aprendo il Capo VII relativo alla disciplina transitoria, stabilisce che le disposizioni regolamentari introdotte si applicano alle liquidazioni successive all’entrata in vigore del Decreto stesso, avvenuta il 23 agosto 2012.
Tenuto conto dello scaglione di riferimento della causa (causa di valore indeterminato); considerati i parametri generali indicati nell’art. 4 del DM. e delle tre fasi previste per il giudizio di cassazione (fase di studio, fase introduttiva e fase decisoria) nella allegata Tabella A, i compensi sono liquidati nella misura omnicomprensiva di euro 3.000,00 e di euro 40,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
LA CORTE
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 3000,00 per competenze professionali ed euro 40 per esborsi oltre I.V.A. e C.P.A.
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