Corte di Cassazione sentenza n. 5951 del 11 marzo 2013
LAVORO – CONTROVERSIE INDIVIDUALI – GIUDIZIO DI PRIMO GRADO – RICORSO INTRODUTTIVO – NULLITÀ – PER MANCANZA DI “PETITUM” O “CAUSA PETENDI” – CONDIZIONI – DOMANDA RELATIVA A SPETTANZE RETRIBUTIVE CON INDICAZIONE DEL PERIODO DI LAVORO, DELL’ORARIO E DELLA SOMMA COMPLESSIVAMENTE RICHIESTA – SUFFICIENZA – MANCANZA DI CONTEGGI ANALITICI O MANCATA NOTIFICA, CON IL RICORSO, DEL CONTEGGIO PRODOTTO – RILEVANZA – ESCLUSIONE
massima
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Nel rito del lavoro, per aversi nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancata determinazione dell’oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui si fonda la domanda stessa, non è sufficiente l’omessa indicazione dei corrispondenti elementi in modo formale, ma è necessario che attraverso l’esame complessivo dell’atto – che compete al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione – sia impossibile l’individuazione esatta della pretesa dell’attore ed il convenuto non possa apprestare una compiuta difesa. Ne consegue che la suddetta nullità deve essere esclusa nell’ipotesi in cui la domanda abbia per oggetto spettanze retributive, allorché l’attore abbia indicato – come nel caso di specie – il periodo di attività lavorativa, l’orario di lavoro, l’inquadramento ricevuto ed abbia altresì specificato la somma complessivamente pretesa ed i titoli in base ai quali vengono richieste le spettanze, rimanendo irrilevante la mancata formulazione di conteggi analitici o la mancata notificazione, con il ricorso, del conteggio prodotto dal lavoratore.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Bari, riformando la sentenza del Tribunale di Foggia, esclusa la nullità del ricorso proposto da M.S. nei confronti di C.E., ha accertato che nel periodo settembre 1989 – 30 agosto 1997 era intercorso tra le parti un rapporto di lavoro avente natura subordinata; quindi, in esito ad una consulenza contabile, ha condannato la signora C.E. al pagamento in favore del signor M.S. della somma di euro 145.523,84 a titolo di differenze retributive e trattamento di fine rapporto oltre agli accessori dovuti per legge, ed alla regolarizzazione della posizione contributiva.
Nel verificare l’esistenza nel ricorso dei requisiti previsti dall’art. 414 commi 3 e 4 c.p.c. la Corte di merito ha accertato che nel ricorso erano richiamati tutti gli elementi necessari ai fini della decisione e, prima ancora, ad un pieno esercizio del diritto di difesa da parte della resistente (durata del rapporto di lavoro di cui si chiedeva l’accertamento, orario giornaliero prestato, mansioni svolte) evidenziando altresì che al ricorso di primo grado erano stati allegati il prospetto del contratto collettivo applicabile (terziario) ed i conteggi sulla base dello stesso formulati.
Quindi, alla luce delle risultanze dell’istruttoria testimoniale svolta in appello, ha verificato che il rapporto di lavoro intercorso tra le parti presentava le caratteristiche della subordinazione e si era svolto con le modalità dal M.S. allegate, eccezion fatta per la richiesta di ferie non godute delle quali non era stata offerta alcuna prova. Gli importi calcolati dal ctu a titolo di permessi non goduti dovevano essere espunti dal calcolo posto che si trattava di compensi che, stante la loro origine contrattuale, non potevano essere utilizzati per la liquidazione in via paramedica, ai sensi dell’ art. 36 Cost., della giusta retribuzione. Inoltre condannava la resistente alla regolarizzazione della posizione contributiva del lavoratore.
Per la Cassazione della sentenza ricorre la C.E. sulla base di quattro motivi.
Resiste con controricorso il M.S..
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va respinta l’eccezione, formulata dal controricorrente, di inammissibilità del ricorso per cassazione tardivamente notificato in violazione dell’art. 325 comma 2 c.p.c.
Non si può ritenere, infatti, che tale termine sia iniziato a decorrere dal momento in cui è stata notificata dall’odierno resistente, presso il procuratore costituito, la sentenza ed il ricorso nell’ambito di un procedimento per la correzione dell’ errore materiale.
La notificazione della sentenza, cui fa riferimento l’art. 326 cod. proc. civ. per il decorso del termine breve, non può essere sostituita da forme di conoscenza legale equipollenti, mentre, come si è ricordato, la notifica dell’istanza di correzione ex art. 283 c.p.c. unitamente alla sentenza da correggere, è compiuta per un fine specifico non compatibile con l’impugnazione.
Pertanto, la notifica della sentenza è funzionale all’istanza di correzione dell’errore materiale e la dizione utilizzata nella relata, “per legale scienza e ad ogni effetto e conseguenza di legge”, non è idonea a determinare quella conoscenza legale del provvedimento ai fini della impugnazione (cfr. Cass. n. 17122/2011 ed anche Cass. n. 19668/2009, n. 8596/2000 e n. 4945/1996).
Nel merito il ricorso deve essere respinto.
Quanto alla prima censura, con la quale si insiste nella nullità del ricorso introduttivo di primo grado in relazione all’asserita mancanza dei conteggi e del contratto collettivo da applicare, si osserva che non sussiste la dedotta violazione e falsa applicazione degli arti. 414 commi 4 e 5, 416 comma 3 e 156 comma 2 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c.
Il giudice d’appello si è infatti conformato all’orientamento costante di questa Corte (cfr. Cass. n. 3126/2011 e 7097/2011 ed anche n. 820/2007 e n. 16855/2003) secondo cui nel rito del lavoro, per aversi nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancata determinazione dell’oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui si fonda la domanda stessa, non è sufficiente l’omessa indicazione dei corrispondenti elementi in modo formale, ma è necessario che attraverso l’esame complessivo dell’atto – che compete al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione – sia impossibile l’individuazione esatta della pretesa dell’attore e il convenuto non possa apprestare una compiuta difesa.
Ne consegue che la nullità deve essere esclusa, nell’ipotesi in cui la domanda abbia per oggetto spettanze retributive, quando il ricorrente abbia indicato – come nel caso di specie – il periodo di attività lavorativa, l’orario di lavoro, l’inquadramento ricevuto ed abbia altresì specificato la somma complessivamente pretesa e i titoli in base ai quali vengono richieste le spettanze (contratto collettivo allegato al ricorso di primo grado), rimanendo irrilevante la mancata formulazione di conteggi analitici o la mancata notificazione, con il ricorso, del conteggio prodotto dal lavoratore.
Peraltro l’esposizione dei fatti essenziali al ricorso ha consentito al giudice d’appello di svolgere una compiuta istruttoria di cui ha dato conto puntualmente in sentenza, così che ancora una volta non si espone alle censure formulate la decisione della Corte d’appello che, in riforma della sentenza di primo grado, ha escluso la nullità del ricorso introduttivo del giudizio.
Anche il secondo motivo di ricorso, relativo al dedotto omesso esame della eccezione di inesistenza di un rapporto di lavoro con le caratteristiche della subordinazione, non può essere accolto.
La censura, infatti, è inammissibile in quanto l’eccezione, qui articolata, che la ricorrente afferma di aver proposto in primo grado, tuttavia non è stata trattata dalla sentenza d’appello né risulta che la parte, vittoriosa in primo grado, l’abbia reiterata in appello di tal che, in mancanza di uno specifico riferimento nel ricorso agli atti in cui sarebbe stata formulata, risulta rinunciata secondo quanto disposto dall’art. 346 c.p.c. e perciò avanzata, inammissibilmente, solo in questa sede.
Quanto al terzo motivo con il quale ci si duole dell’erroneità della sentenza immotivatamente fondata sulla ritenuta “correttezza” della ctu è appena il caso di ricordare che non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che, come nel caso in esame, recepisca “per relationem” le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito. Per infirmare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa, tale motivazione è, infatti necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice “a quo”, la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame in sede di decisione.
Una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve infatti nella prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (in questo senso tra le tante Cass. n. 10222/2009, ma già n. 8383/1999, n. 6753/2003, n. 6323/2004, n. 10668/2005, n. 26694/2006, n. 18688/2007).
Ugualmente priva di fondamento l’ultima censura relativa ad una pretesa apodittica adesione alle risultanze della prova testimoniale addotta dall’appellante implicitamente ritenute attendibili e concludenti.
La Corte di merito infatti, con motivazione congrua e logica, ha dato conto delle ragioni per le quali ha dato rilievo alle dichiarazioni dei testi escussi con riguardo alla durata del rapporto ed alla sua continuità, sottolineando, al contrario, la genericità delle allegazioni della appellata non supportate da alcuna prova, neppure richiesta.
In tale contesto motivazionale si pretenderebbe dalla Corte una inammissibile rivalutazione del quadro probatorio sulla base di generiche deduzioni prive di una specifica contestazione dell’iter logico seguito dalla corte territoriale laddove invece la valutazione delle risultanze della prova testimoniale e il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla loro credibilità involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento della decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra alcun limite se non quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare ogni deduzione difensiva (in tal senso tra le tante Cass. n. 17097/2010 e già n. 12362/2006 e n. 13910/2001).
In conclusione il ricorso deve essere rigettato e le spese, poste a carico della soccombente ex art. 91 c.p.c., vanno liquidate in applicazione del nuovo sistema di liquidazione dei compensi agli avvocati di cui al D.M. 20 luglio 2012, n. 140, Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell’art. 9 del d.l. 24 gennaio 2012 n. 1, conv., con modificazioni, in l. 24 marzo 2012 n. 27. L’art. 41 di tale Decreto n. 140/2012, aprendo il Capo VII relativo alla disciplina transitoria, stabilisce che le disposizioni regolamentari introdotte si applicano alle liquidazioni successive all’ entrata in vigore del Decreto stesso, avvenuta il 23 agosto 2012.
Tenuto conto dello scaglione di riferimento della causa; considerati i parametri generali indicati nell’art. 4 del D.M. e delle tre fasi previste per il giudizio di cassazione (fase di studio, fase introduttiva e fase decisoria) nella allegata Tabella A, i compensi sono liquidati nella misura omnicomprensiva di euro 3.000,00 e di euro 50,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
LA CORTE
Respinge il ricorso.
Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, da distrarsi in favore del procuratore antistatario, e liquidate in euro 50 per esborsi ed in euro 3000,00 per compensi professionali oltre IVA e CPA.
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