Corte di Cassazione sentenza n. 6362 del 8 febbraio 2013
SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO – CLIENTE DI UN LABORATORIO DI CALZOLERIA – RESPONSABILITA’ DEL GESTORE
massima
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Vi è la responsabilità del gestore del laboratorio di calzoleria per l’infortunio occorso alla cliente, la quale, per ritirare un paio di scarpe, si sporgeva sul bancone di lavoro per prenderle e veniva violentemente risucchiata attraverso il foulard indossato al collo, dalla spazzola metallica del banco di rifinissaggio, strumento di lavoro collocato all’interno del laboratorio in posizione tale da far sporgere le due spazzole oltre la metà del banco di lavoro. A causa di tale banco di rifinissaggio risultato privo di protezione ? accorgimento tesi ad evitare il contatto accidentale con terzi durante il suo funzionamento, la donna batteva violentemente la testa sulla spazzola metallica riportando lesioni personali gravi, evento che non si sarebbe verificato qualora gli organi operatori della macchina di rifinissaggio e la zona di operazione fossero stati protetti o segregati.
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FATTO
1. Con sentenza in data 23 maggio 2011 la Corte d’Appello di Lecce, confermava la sentenza pronunciata dal Tribunale di Lecce in data 16 settembre 2009, appellata dall’imputato D.F. con cui quest’ultimo era stato ritenuto colpevole del reato di lesioni in danno di M.A.M. e condannato alla pena di giustizia. In particolare al D.F. era stato contestato il reato previsto e punito dall’art. 590, commi 1 e 2 c.p. perché nella qualità di gestore del laboratorio di calzoleria, ubicato in Lecce, via Omissis, per colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia cagionava a M.A.M., cliente presente presso il suo laboratorio per ritirare un paio di scarpe, lesioni personali gravi, consistite in “scoppio traumatico del bulbo dell’occhio destro con ipoema-rottura dell’occhio, con perdita parziale del tessuto intraoculare” guarite in oltre quaranta giorni, lesioni riportate allorché la donna, dopo aver atteso che il D.F. completasse la rifinitura delle scarpe, nel mentre si sporgeva sul bancone di lavoro per prenderle, veniva violentemente risucchiata attraverso il foulard indossato al collo, dalla spazzola metallica del banco di rifinissaggio, strumento di lavoro collocato all’interno del laboratorio in posizione tale da far sporgere le due spazzole oltre la metà del banco di lavoro e risultato privo di protezione ? accorgimento tesi ad evitare il contatto accidentale con terzi durante il suo funzionamento, sicché la donna batteva violentemente la testa sulla spazzola metallica riportando lesioni personali gravi, evento che non si sarebbe verificato qualora gli organi operatori della macchina di rifinissaggio e la zona di operazione fossero stati protetti o segregati ? provvisti di dispositivi di sicurezza (schermi di protezione delle spazzole rotanti) in conformità all’art. 68 D.P.R. n. 547/1955.
2. Avverso tale decisione propone ricorso il D.F. a mezzo dei propri difensori censurando la gravata sentenza per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ex art. 606 1 comma lett. b) ed e) in relazione agli artt. 590, 41 42 e 43 c.p.; inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ex art. 606 1° comma c.p.p. lett. b) e c) per mancanza di motivazione relativa alla richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ex art. 603 c.p.p, nonché per erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 192 e 194 c.p.p. 606 lett. e) per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
DIRITTO
3. Va premesso che nel caso in cui le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente e forma con essa un unico complessivo corpo argomentativo (cfr. da ultimo Cass. n. 13926/2011; Sez. 4, n. 15227 dell’1/4/2008, Baratti, Rv. 239735; Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorché i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116). Il principio deve essere riaffermato anche nel caso di cui si tratta in cui la Corte territoriale ha costantemente richiamato, riportandone ampi stralci la sentenza del Tribunale.
4. Con il primo motivo di gravame il ricorrente sostiene che la signora M.A.M., dopo essersi incautamente avvicinata al macchinario “per curiosità”, si sarebbe accasciata sul macchinario stesso, al momento non in funzione a seguito di un malore, che ne aveva determinato la successiva caduta così come riferito dal testimone oculare S.G. Il motivo è da ritenersi infondato. Invero esso è teso ad una diversa ricostruzione delle dinamiche del fatto come tale inammissibile in sede di legittimità. Come è noto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto, pressocchè costantemente, che “l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p., è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali” (cfr. Cass. 24.9.2003 n. 18; conformi, sempre a sezioni unite Cass. n. 12/2000; n. 24/1999; n. 6402/1997). Più specificamente “esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità, la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali” (Cass. sezioni unite 30.4.1997, Dessimone). Il riferimento dell’art. 606 lett. e) c.p.p. alla “mancanza o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato” significa in modo assolutamente inequivocabile che in Cassazione non si svolge un terzo grado di merito, e che il sindacato di legittimità è limitato alla valutazione del testo impugnato. Peraltro i giudici di merito – contrariamente a quanto affermato in ricorso- hanno preso espressamente in considerazione anche la testimonianza del S., portandola anzi ad ulteriore conferma della ritenuta responsabilità del D.F. in quanto il teste ha “anche ricordato che la M.A.M. aveva oltrepassato il banchetto e si era avvicinata al banco di finissaggio, mentre il D.F. le dava le spalle”, mentre “era onere dell’imputato impedire l’accesso della cliente nella zona lavoro o, ove avvenuto, invitare la stessa ad allontanarsi”.
4. Con il secondo motivo il ricorrente reitera la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, già avanzata nei motivi di appello avente ad oggetto l’integrazione del materiale probatorio in atti e consistente nella ammissione di un’ulteriore perizia tecnica, tesa ad accertare l’immutazione nel tempo dello stato dei luoghi. Osserva la Corte: l’indagine richiesta non può fornire alcun serio apporto conoscitivo o diversamente valutativo. Per vero il motivo di ricorso non chiarisce su quali particolari e concreti dati si focalizzi ex adverso la reale e attuale rilevanza (decisività ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d, in rel. art. 603 c.p.p.) dell’oggetto della rinnovazione istruttoria. La mancanza di decisività della richiesta emerge peraltro con tutta evidenza, solo ove si consideri- come già accennato- che la Corte territoriale, pur ritenendo “credibile che vi sia stata un’immutazione dei luoghi per evitare situazioni di pericolo” ha affermato la sostanziale irrilevanza di tale accertamento, ritenendo comunque la responsabilità del D.F.”ove pure la disposizione dei luoghi (all’atto dell’infortunio) fosse quella effigiata dalle fotografie”. La censura di mancata ammissione di una prova decisiva si risolve, una volta che il giudice abbia indicato in sentenza le ragioni della non ammissione della prova ex art. 603 c.p.p., in una verifica della logicità e congruenza della relativa motivazione correlata al materiale probatorio raccolto e apprezzato. E l’impugnata sentenza di appello motiva diffusamente le ragioni della raggiunta completezza dell’indagine probatoria. Del resto non è superfluo rammentare che l’esercizio del potere di rinnovazione istruttoria si sottrae, per la sua natura discrezionale, allo scrutinio di legittimità, nei limiti in cui la decisione del giudice di appello (tenuto ad offrire specifica giustificazione soltanto dell’ammessa rinnovazione) presenti una struttura argomentativa evidenziarne – in caso di denegata rinnovazione – l’esistenza di fonti sufficienti per una compiuta e logica valutazione in punto di responsabilità (cfr. Cass. Sez. 6, 18.12.2006 n. 5782, Gagliano, rv. 236064). Ciò che è quanto deve constatarsi alla luce della motivazione dell’impugnata sentenza della Corte di Lecce.
4. Con il terzo motivo, infine, il ricorrente sostiene che i giudici di merito sarebbero pervenuti all’affermazione della sua penale responsabilità unicamente sulla base delle dichiarazioni rese dalla stessa parte offesa e dalla teste Se., senza “attribuire la benché minima fede alle risultanze oggettive dell’accertamento effettuato dall’ispettore della ASL né alla consulenza a firma del dott. P., entrambe conclamanti l’esclusione di qualsivoglia responsabilità in capo al D.”. Anche tale motivo va disatteso. Ed invero, premesso che la sentenza impugnata ha espressamente preso in considerazione la consulenza del CT dell’imputato confutandola alla luce delle complesso delle risultanze istruttorie, va osservato che le dichiarazioni della M.A.M. sono state vagliate dalla Corte territoriale con la dovuta attenzione e ritenute intrinsecamente coerenti, non viziate da illogicità o esagerazioni, né mosse da intenti persecutori nei confronti dell’imputato e che alle stesse sono state forniti gli opportuni riscontri (nella specie consistiti oltre alle dichiarazioni della Se. richiamate dallo stesso ricorrente, nell’esame dei danni riportati dal foulard della parte offesa).
5. Il ricorso va pertanto rigettato. Ne consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
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