CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 898 depositata il 13 gennaio 2023
Tributi – IRES – Debiti di imposta delle associazioni non riconosciute – Responsabilità – Attività negoziale concretamente svolta per conto dell’associazione – Responsabilità accessoria – Assimilabilità dell’obbligazione alla fideussione – Rappresentanza fiscale dell’ente – Accoglimento
Fatti di causa
1. P.C. s.r.l. in liquidazione (già A.H.I.A., già A.H. I.C.A.), A.P.D.M., G.I., M.M., I.T.I.D.M. e G.P. proponevano ricorso avanti alla Commissione tributaria provinciale di Lecce avverso l’avviso, notificato in data 8 maggio 2014, con il quale l’Agenzia delle entrate accertava il maggior reddito per l’anno 2008 di euro 671.491,00 ed operava riprese Ires per euro 184.648,00 ed Irap per euro 26.648,00.
2. La Commissione tributaria provinciale di Lecce rigettava il ricorso.
3. Sull’impugnazione proposta dai contribuenti, la Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione staccata di Lecce, accoglieva parzialmente il ricorso, non riconoscendo la responsabilità per i debiti fiscali di G.I., M.M., I.T.I.D.M. e G.P. e confermando la fondatezza dell’avviso di accertamento nei confronti dell’Associazione e del Presidente e legale rappresentante P.D.M..
In particolare, la CTR, premesso che per i debiti di imposta delle associazioni non riconosciute rispondono solidalmente i soggetti che abbiano diretto la gestione associativa nel periodo considerato, evidenziava che l’Ufficio non avesse dato la prova delle attività gestorie compiute dai medesimi e che quindi la responsabilità dovesse concentrarsi solo in capo ad A.P.D.M., che rivestiva il ruolo di Presidente dell’Associazione.
4. Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate affidandosi ad un unico motivo.
L’Associazione e G.I., M.M., I.T.I.D.M. e G.P. si sono costituiti depositando controricorso con ricorso incidentale condizionato.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte per l’accoglimento del ricorso dell’Agenzia e la declaratoria di inammissibilità del ricorso incidentale condizionato.
3. La causa è stata rimessa alla pubblica udienza del 6 dicembre 2022, svoltasi nelle forme di cui all’art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione degli artt. 38 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente escluso la sussistenza della responsabilità solidale di tutti i componenti del Comitato direttivo per il pagamento delle maggiori imposte accertate dall’Agenzia, non avendo l’Ufficio dato prova della concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’Associazione e non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente.
In particolare, i giudici di seconde cure non si sarebbero attenuti al consolidato orientamento giurisprudenziale che, in materia di obbligazioni tributarie, riconosce la responsabilità solidale dei soggetti che abbiano diretto la complessiva gestione organizzativa nel periodo di imposta.
I controricorrenti hanno altresì proposto ricorso incidentale affidato a due motivi.
Col primo hanno dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della l. n. 212 del 2000, sotto il profilo dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in relazione alla mancata pronuncia sull’eccezione di illegittimità per mancata allegazione all’atto impositivo del verbale redatto dai verificatori.
Col secondo hanno dedotto la violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., in relazione alla errata determinazione della base imponibile.
2. Preliminarmente si evidenzia che nell’intestazione del ricorso, nella parte dei destinatari del medesimo, non è indicato il nominativo di D.M.I.T.I., cui però il ricorso è stato notificato e che si è costituito.
Da ciò non può inferirsi la conseguenza che non vi sia stata impugnazione nei suoi confronti, in quanto, ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ., il ricorso per cassazione è inammissibile qualora manchi o vi sia incertezza assoluta sull’identificazione delle parti contro cui esso è diretto ma, ai fini dell’osservanza della norma predetta, non è necessario che le relative indicazioni siano premesse all’esposizione dei motivi di impugnazione o che siano altrove esplicitamente formulate, essendo sufficiente, analogamente a quanto previsto dall’art. 164 cod. proc. civ., che esse risultino in modo chiaro e inequivoco (e non, dunque, ingannevole), anche se implicitamente, dal contesto del ricorso, nonché dal riferimento ad atti dei precedenti gradi di giudizio, da cui sia agevole identificare con certezza la parte intimata (Cass. 7/09/2009, n. 19286; Cass. 26/09/2013, n. 22046), il che nel caso di specie consente di ritenere intimato anche I.T.I.D.M..
3. La quaestio iuris posta dall’unico motivo di ricorso dell’Agenzia si incentra sulla rilevanza, ai fini dell’attribuzione della responsabilità per i debiti tributari in capo a coloro che abbiano gestito l’associazione, della qualità formale attribuitagli dallo statuto o della prova di concrete attività gestorie dell’ente, affermando l’Agenzia che la responsabilità per le obbligazioni tributarie delle associazioni non riconosciute gravi su tutti i soggetti preposti, in ragione della carica ricoperta al loro interno, all’esercizio dei poteri di direzione e gestione.
3.1. Questa Corte ha precisato, in linea di principio e con riferimento alle obbligazioni comuni, che la responsabilità personale e solidale, prevista dall’art. 38 cod. civ., di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra l’ente ed i terzi.
Si è, altresì, chiarito che tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell’associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione, con la conseguenza che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege, assimilabili alla fideiussione (ex plurimis, Cass. 24/10/2008, n. 25748, Cass. 29/12/2011, n. 29733).
Si è spiegato che la ratio della previsione di una responsabilità personale e solidale, in aggiunta a quella del fondo comune, delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, è volta a contemperare l’assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell’ente con le esigenze di tutela dei creditori (che abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio di dette persone) e trascende, pertanto, la posizione astrattamente assunta dal soggetto nell’ambito della compagine sociale, ricollegandosi piuttosto ad una concreta ingerenza dell’agente nell’attività dell’ente.
Ne deriva, dunque, che chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente (Cass. 14/12/2007, n. 26290; Cass. 24/10/2008, n. 25748; Cass. 25/08/2014, n. 18188; Cass. 4/04/2017, n. 8752).
3.2. L’art. 38 cod. civ. è stato, poi, ritenuto da questa Suprema Corte applicabile anche ai debiti di natura tributaria (Cass. 12/03/2007, n. 5746; successivamente Cass. 17/06/2008, n. 16344; Cass. 10/09/2009, n. 19486 e numerose altre), pur senza trascurare, tuttavia, una caratteristica fondamentale che connota siffatte obbligazioni. Si è rilevato, in proposito, che il principio in questione non esclude che per i debiti d’imposta, i quali non sorgono su base negoziale ma ex lege al verificarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato, fermo restando che il richiamo all’effettività dell’ingerenza, implicito nel riferimento all’aver «agito in nome e per conto dell’associazione», contenuto nell’art. 38 cod. civ., vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni che siano concretamente insorte nel periodo di relativa investitura (in tal senso la già citata Cass. n. 5746 del 2007; poi Cass. 19/06/2015, n. 12473; Cass. 15/10/2018, n. 25650; Cass. 29/01/2018, n. 2169; Cass. 24/02/2020, n. 4747).
3.3. La generale applicabilità della disposizione alle obbligazioni tributarie ha portato poi questa Corte ad alcune ulteriori precisazioni.
Tale principio è stato successivamente infatti ulteriormente precisato in riferimento al rappresentante legale, considerati, da un lato, il principio di autonomia del diritto tributario rispetto a quello civile e la fonte legale dell’obbligazione tributaria, e, dall’altro, i poteri attribuiti dalle disposizioni in materia tributaria al rappresentante fiscale, poiché, nella misura in cui la rappresentanza fiscale dell’ente spetta, per definizione, al legale rappresentante ex art. 36 cod. civ., è costui che assume in via principale la qualità di soggetto passivo di imposta perché su di lui gravano gli obblighi tributari; egli non solo è obbligato a redigere e presentare una dichiarazione reddituale fedele ma anche ad operare, se del caso, le necessarie rettifiche provvedendo, dopo la presentazione, all’emenda delle dichiarazioni fiscali presentate con dati inesatti e ad effettuare i relativi adempimenti, ivi compreso il pagamento delle imposte, ovvero indicando esattamente i ricavi conseguiti e le spese sopportate dall’associazione che rappresenta; in tal senso Cass. 23/02/2018, n. 4478; Cass. 26/09/2018, n. 22861; Cass. 24/07/2019, n. 19985, che hanno quindi escluso che il rappresentante legale possa andare esente, a fini fiscali, da responsabilità solidale con l’ente semplicemente adducendo la mancata ingerenza nella concreta gestione del medesimo, dovendosi dare rilievo anche al corretto adempimento degli obblighi tributari sul medesimo incombenti ed in concreto accertare se il rappresentante, pur non essendosi ingerito nell’attività negoziale dell’ente, abbia adempiuto agli obblighi tributari, solo in tal caso potendo andare immune da corresponsabilità.
Cass. 29/01/2018, n. 2169 ha poi affermato che ai fini tributari non è necessaria la concreta prova dell’attività negoziale compiuta dal legale rappresentante di un’associazione non riconosciuta, dovendo di contro accertarsi in fatto l’effettiva <<direzione>> della medesima nel complessivo periodo fiscale oggetto degli atti impositivi impugnati e rispetto alle specifiche obbligazioni tributarie derivanti dagli stessi.
Cass. 22/01/2019, n. 1602 ha, in forza di tali principi, affermato sussistente un principio di presunzione idoneo a far supporre che i predetti soggetti concorrano nelle decisioni volte alla creazione di rapporti obbligatori di natura tributaria per conto dell’associazione (seguita in tal senso da Cass. 24/02/2020, n. 4747 e Cass. 26/10/2021, n. 30081).
3.4. Le conclusioni cui la giurisprudenza perviene nella materia fiscale, cui questo collegio intende dare continuità, hanno comportato un’ulteriore conseguente considerazione, incidente sulla prova e sul riparto del suo onere. Se infatti con riguardo alle obbligazioni in generale si è affermato il principio secondo cui chi invoca in giudizio tale responsabilità è gravato dall’onere di provare la concreta attività di chi agisce in nome e nell’interesse dell’associazione, deve invece affermarsi che nelle obbligazioni ex lege -in cui l’attenzione si sposta dalla concreta attività espletata dall’associato ai fini dell’insorgenza della specifica obbligazione alla verifica della partecipazione e gestione dell’ente da parte del soggetto- tale onere probatorio va diversamente ripartito. Infatti, grava su colui che invoca in giudizio la responsabilità dell’agente l’onere della prova degli elementi da cui desumere la sua qualità di rappresentante e/o di gestore di tutta o di parte dell’attività dell’associazione, mentre grava sul chiamato a rispondere delle obbligazioni ex lege dare prova della sua estraneità alla gestione dell’ente (Cass. 21/02/2021, n. 3093; successivamente Cass. 31/05/2022, n. 4522; Cass. 08/03/2022, n. 7461).
4. Posti tali principi, la CTR, nella sentenza impugnata, ha errato laddove, pur correttamente premettendo l’applicabilità dell’art. 38 cod. civ. alle obbligazioni tributarie, e la responsabilità per tale titolo del soggetto che abbia diretto la gestione associativa, ha poi addossato all’ufficio l’onere di provare la concreta attività gestoria svolta da G.I., M.M., I.T.I.D.M. e G.P., nonostante l’ufficio avesse allegato che per statuto il potere di amministrazione ordinaria e straordinaria era attribuito collegialmente all’intero consiglio direttivo, investito del potere di dare attuazione agli scopi dell’associazione e della direzione ordinaria e straordinaria della stessa.
Il ricorso dell’Agenzia va quindi accolto.
5. Occorre quindi esaminare il ricorso incidentale condizionato, i cui motivi sono inammissibili (anche se per ragioni parzialmente diverse da quelle dedotte dal Procuratore generale, non potendosi ritenere che la CTR abbia ritenuto assorbite le questioni con essi dedotte, in quanto invece esse risultano espressamente decise).
5.1. Il primo motivo, infatti, censura la violazione dell’art. 7 della l. n. 212 del 2000 per mancata allegazione del pvc all’accertamento notificato, allegazione di cui non vi era prova in atti, eccezione di cui i ricorrenti incidentali deducono l’omesso esame.
Il motivo è inammissibile, non solo per la sua genericità, ma perchè non si confronta con la motivazione data dalla CTR (a prescindere dalla sua correttezza) che ha evidenziato che l’avviso di accertamento abbia carattere di provocatio ad opponendum e che soddisfacesse l’obbligo motivazionale poiché l’amministrazione aveva posto i contribuenti in grado di conoscere la pretesa tributaria e quindi di contestarne efficacemente l’an e il quantum debeatur.
5.2. Col secondo motivo i ricorrenti incidentali deducono l’omesso esame di un fatto decisivo ai fini della soluzione della controversia, in riferimento all’eccezione proposta nel merito secondo cui dai maggiori ricavi accertati dovessero essere previamente dedotti i costi sostenuti.
Anche tale motivo è inammissibile.
Giova infatti premettere che il fatto di cui si lamenta l’omesso esame ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., deve essere un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come richiesto in plurimi interventi di questa Corte (Cass. 03/10/2018, n. 24035; Cass. 08/10/2014, n. 21152); il fatto in questione deve essere decisivo; per potersi configurare il vizio è necessario che la sua considerazione avrebbe condotto a diversa decisione con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data (Cass. 23/12/2013, n. 28634) e non deve essere stato esaminato dal giudice.
In primo luogo, nel caso di specie, la doglianza è del tutto generica e priva di autosufficienza; non è infatti indicato (se non con del tutto generico riferimento al ricorso in appello) il luogo processuale in cui tale questione sia stata dedotta e i termini in cui ciò sia avvenuto.
In secondo luogo, la questione dei costi è stata espressamente esaminata e decisa dalla CTR, che sul punto ha richiamato la motivazione della CTP in merito alla natura non documentata dei medesimi, per cui non può considerarsi un fatto il cui esame sia stato omesso.
6. La sentenza impugnata va quindi, in accoglimento del ricorso dell’Agenzia delle entrate, cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, sezione staccata di Lecce, in diversa composizione, che deciderà secondo il principio di cui al paragrafo n. 3.4, e cui è demandato di regolare altresì le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, sezione staccata di Lecce, in diversa composizione, cui demanda di regolare altresì le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.