CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 3508 depositata il 7 febbraio 2024
Lavoro – Omissione contributiva – Responsabilità dell’associazione – Attività negoziale svolta presso un’associazione – Spendita del nome dell’associazione – Accoglimento
Ritenuto che
La Corte d’appello di Bologna confermava la sentenza di primo grado che aveva accolto l’opposizione dell’Associazione C.A. di Guarda Ferrarese avverso un avviso di addebito emesso dall’Inps e notificato da Equitalia Centro s.p.a. (cui è succeduta Agenzia delle Entrate – Riscossione) e avente ad oggetto i contributi omessi relativamente alla dipendente E.P., chiamata a lavorare presso il bar dalla legale rappresentante dell’associazione O.I..
Riteneva la Corte che il rapporto lavorativo non intercorresse con l’associazione, ai sensi dell’art.38 c.c., bensì con O.I..
Avverso la sentenza ricorre l’Inps, in proprio e quale procuratore speciale della Società di cartolarizzazione dei Crediti Inps (S.C.C.I.) s.p.a., per un motivo.
L’Associazione C.A. di Guarda Ferrarese resiste con controricorso, illustrato da memoria.
Sono rimasti intimate O.I. e l’Agenzia delle Entrate-Riscossione.
All’adunanza il collegio si riservava il termine di 60 giorni per il deposito dell’ordinanza.
Considerato che
Con l’unico motivo di ricorso, l’Inps deduce violazione e falsa applicazione dell’art.38 c.c. per non avere la Corte d’appello considerato che O.I. aveva assunto la lavoratrice in qualità di legale rappresentante dell’associazione, e che la prestazione lavorativa si era svolta presso il bar utilizzato dall’associazione.
Va preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione per carenza d’interesse, avanzata dalla controricorrente. Poiché la Corte d’appello ha dichiarato assorbito l’esame della ratio decidendi posta a fondamento della sentenza di primo grado, Inps non era tenuto a proporre un motivo di ricorso ex art.360 c.p.c. sulla questione assorbita, che può di nuovo essere riproposta in sede di giudizio di rinvio ex art.346 c.p.c.
Tanto premesso, il motivo è fondato.
Questa Corte ha più volte affermato che, riguardo all’attività negoziale – nel caso di specie la conclusione di un contratto di lavoro subordinato – la responsabilità dell’associazione e quella, solidale, dei soggetti che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, poggia non sulla titolarità formale del potere rappresentativo dell’associazione, bensì sulla natura dell’attività concretamente svolta e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori con i terzi (Cass.18188/14, Cass.8752/17, Cass.14465/20).
Occorre del resto che il soggetto agisca in nome dell’associazione, spendendone la ragione sociale e attuando con l’attività negoziale lo scopo dell’associazione (Cass.16221/18).
La Corte d’appello non si è attenuta a tali principi, avendo motivato l’esclusione del debito in capo all’associazione sulla base di argomenti inconferenti, così non operando una corretta sussunzione della fattispecie concreta entro la fattispecie normativa dell’art. 38 c.c.
La Corte innanzitutto non ha considerato se O.I., chiamando a lavorare P.E., non abbia speso, anche per fatti concludenti, il nome dell’associazione. Nemmeno ha considerato la Corte se la proposta di un rapporto di lavoro da svolgersi come addetta al bar dell’associazione, frequentato dai soci, sia attività negoziale che non rientri nel perseguimento dello scopo dell’associazione, di talché debba escludersi che O. abbia agito per conto e nell’interesse dell’associazione.
La Corte ha invece motivato sul fatto che: a) mancava qualsiasi delibera del Consiglio Direttivo dell’associazione circa la chiamata e la cessazione del rapporto con la lavoratrice; dato irrilevante, poiché, ai sensi dell’art. 38 c.c., l’associazione risponde anche in assenza di atti decisionali assunti dai proprio organi gestorii, ma per atti posti in essere da chi abbia agito in nome e per conto dell’associazione, quand’anche privo di ruoli gestorii; b) l’associazione non aveva mai utilizzato somme proprie per retribuire la lavoratrice; dato anch’esso irrilevante, poiché ciò può dipendere da un inadempimento dell’associazione, la quale ad esempio riteneva di non essere obbligata ai sensi dell’art. 38 c.c.; nemmeno è stato accertato che la lavoratrice fu pagata da O.I. con risorse proprie; c) O. avrebbe ricevuto la notifica di cartelle esattoriali per il debito scaturito dalla posizione P.; dato ancora una volta irrilevante, poiché l’art. 38 c.c. afferma la responsabilità non solo dell’associazione ma, in solido, anche di chi ha agito in nome e per conto della stessa, non essendo perciò esclusa la presenza di titoli esecutivi verso soggetti diversi (O. e ARCI) per lo stesso debito.
Conclusivamente, la sentenza va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Bologna per i conseguenti accertamenti richiesti dalla presente pronuncia, nonché per la determinazione sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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