CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 marzo 2022, n. 6626
Tributi – Accertamento – Associazione non riconosciuta – Responsabilità personale e solidale – Mera titolarità della rappresentanza – Esclusione – Necessità di attività negoziale concretamente svolta per conto dell’associazione
Rilevato che
1. La Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia respinse i ricorsi riuniti dell’Associazione Sportiva Dilettantistica Pallamano S. e di alcuni suoi associati, tra cui G.L., avverso l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate ai fini del recupero a tassazione di IRES, IRAP ed I.V.A. per l’anno 2004.
La ripresa fiscale aveva tratto origine da una verifica nell’ambito della quale era emerso che nove associazioni sportive dilettantistiche, tutte collegate alla Associazione Sportiva Pallamano S., avevano usufruito del regime agevolato della legge n. 398 del 1991, pur non avendone i requisiti perché non iscritte al CONI o ad altre associazioni di categoria e perché non avevano svolto attività sportiva, non disponendo di squadre che potessero partecipare agli eventi. Secondo la ricostruzione operata dall’Ufficio, si trattava di associazioni sportive costituite al solo scopo di essere interposte nell’emissione delle fatture e di permettere alla capofila di dichiarare solo una minima parte dei ricavi incassati e di usufruire tutte del regime fiscale agevolato, avendo ciascuna di esse evitato di sforare la soglia massima dei ricavi di euro 250.000,00, oltre la quale non era possibile beneficiare di tali agevolazioni.
L’Ufficio finanziario aveva quindi emesso diversi avvisi di accertamento nei confronti dell’Associazione Sportiva dilettantistica Pallamano S., delle società satelliti, dei soci e di tutte le persone che, avendo agito in nome e per conto delle associazioni, erano responsabili in solido per le obbligazioni delle stesse, ai sensi dell’art. 38 cod. civ.
2. Interposto appello principale da G.L. ed appello incidentale dall’Agenzia delle entrate, la Commissione tributaria regionale li respinse entrambi. Ritenne, in particolare, che i giudici di primo grado avessero puntualmente motivato su tutti i punti di doglianza e che le ragioni esposte, totalmente condivisibili, fossero idonee a determinare il rigetto dell’appello del contribuente che si era limitato a riproporre i motivi già esaminati in primo grado. Risultava dimostrato, secondo i giudici regionali, che l’intera operazione era stata posta in essere al fine di permettere all’Associazione Sportiva Dilettantistica Pallamano S. di dichiarare solo una minima parte dei ricavi incassati; tale disegno evasivo si era potuto concretizzare attraverso la creazione di associazioni sportive satelliti interposte alle emissioni delle fatture e, soprattutto, attraverso l’attività di persone che consapevolmente e a vario titolo intrattenevano rapporti con gli sponsor, partecipavano alle operazioni di gestione, erano membri dei consigli direttivi, predisponevano i bilanci e <<complessivamente non potevano non essere a conoscenza di quanto posto in essere>>. Tali <<associati>>, in quanto partecipi ed agenti in nome e per conto della associazione, non potevano non essere responsabili in solido ai sensi dell’art. 38 cod. civ.; tra questi, secondo i giudici di appello, figurava anche G.L., «come dimostrato e provato negli atti di causa dall’Ufficio».
3. Avverso la decisione d’appello ha proposto ricorso per cassazione G.L., affidandosi a otto motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste mediante controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso il contribuente deduce la omessa o insufficiente motivazione circa fatti decisivi per il giudizio e comunque motivazione apparente della sentenza impugnata, lamentando che la C.T.R. non si sarebbe espressamente pronunciata su una serie di censure sollevate.
Evidenzia, in particolare, il ricorrente che in sede di appello aveva impugnato la sentenza di primo grado deducendo: a) l’illegittimità della verifica fiscale protrattasi per oltre quattro anni; b) il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento perché fondato, tra l’altro, sulle risultanze di processi verbali di constatazione emessi nei confronti di altre associazioni sportive dilettantistiche e non allegate all’atto impugnato; c) l’illegittimità dell’operato dell’Ufficio che, con un unico atto, aveva rettificato due diverse dichiarazioni riferite a due periodi di imposta diversi; d) l’illegittimità dell’avviso con il quale si pretendeva di duplicare l’imposta I.V.A. ritenuta evasa dalle associazioni sportive dilettantistiche minori, alle quali era stato comunque addebitato l’omesso versamento della stessa imposta pretesa nei confronti dell’associazione sportiva dilettantistica <<madre>>; e) l’illegittimità dell’avviso che pretendeva di addebitare ricavi all’ASD <<madre>> realizzati dalle ASD <<minori>>, senza tuttavia riconoscere la deducibilità in capo alle ASD <<minori>> dei costi sostenuti dalle ASD <<minori>>; f) l’illegittimità e l’infondatezza del procedimento sanzionatolo utilizzato dall’Ufficio. Con riferimento a tali questioni la motivazione della sentenza impugnata, ad avviso del ricorrente, risulta meramente apparente, poiché fa riferimento alla sentenza di primo grado, condividendone le conclusioni, ma non dà conto di avere valutato criticamente sia il provvedimento oggetto di gravame, sia le censure proposte e non consente, di conseguenza, di individuare le ragioni che stanno a fondamento del decisum.
2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la decisione gravata per violazione e falsa applicazione dell’art. 38 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui i giudici di appello hanno ritenuto di attribuirgli la responsabilità per tutte le violazioni addebitabili alla ASD Pallamano S.
Sottolinea, sul punto, che, alla luce del principio enunciato da questa Corte, secondo cui la responsabilità ex art. 38 cod. civ. non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’Associazione, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori tra questa e i terzi, non poteva essergli attribuita alcuna responsabilità poiché non aveva rivestito alcuna carica nell’ambito dell’ente, non aveva svolto e, comunque, non era stato dimostrato che avesse svolto attività negoziale in nome e per conto della ASD Pallamano S., né in nome e per conto delle ASD minori. Evidenzia che gli unici elementi di prova forniti dall’Ufficio, con il solo richiamo al p.v.c. allegato all’avviso di accertamento, erano state le dichiarazioni di due clienti sponsor (C.M. ne e E. s.r.l.) che avevano dichiarato di avere avuto contatti con lui e di avere sponsorizzato per poche migliaia di euro due ASD minori, la ASD R.H. e la ASD Pallamano Val di S., ma non la ASD <<madre>>, della quale era stato ritenuto solidalmente responsabile; non risultava, tuttavia, provata la stipula di contratti con tali sponsor, né la percezione di somme di denaro a qualsiasi titolo dai medesimi sponsor. Il che escluderebbe, ad avviso del contribuente, la sussistenza dei presupposti a cui l’art. 38 cod. civ. subordina la responsabilità solidale della persona fisica e quella dell’Ente.
3. Con il terzo motivo censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 3, 7 e 12, commi 1 e 5, della legge n. 212 del 2000 e 97 Cost., per avere i giudici di appello ritenuto che la durata della verifica non fosse eccessiva.
Ribadisce, al riguardo, che l’art. 12, comma 5, ha portata precettiva (<<…non può superare i trenta giorni lavorativi…>>), sicché la sanzione connessa alla violazione della norma non può che essere la nullità della verifica, implicitamente prevista dalla norma.
4. Con il quarto motivo, deducendo la violazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, contesta alla C.T.R. di avere erroneamente ritenuto che il destinatario dell’avviso di accertamento fosse stato reso edotto dei presupposti di fatto e delle ragioni di diritto che lo avevano determinato e che a tal fine fosse sufficiente l’allegazione del processo verbale di constatazione su cui risultava fondato.
Precisa il ricorrente che i giudici di merito hanno del tutto omesso la valutazione del fatto che all’ASD Pallamano S., destinataria della notifica, erano stati attribuiti i ricavi di altre ASD definite <<satelliti>> delle quali, però, l’ASD <<madre>> nulla conosceva. In ogni caso, né l’Agenzia delle entrate, né i giudici di merito avevano valutato la concreta situazione del ricorrente, cosicché non poteva che ritenersi il difetto di motivazione dell’atto impositivo.
5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce l’illegittimità della sentenza impugnata per avere ritenuto legittima la rettifica con un unico atto di due diverse dichiarazioni (I.V.A. e IRES/IRAP) riferite a due periodi di imposta diversi (1.1 – 31.12.2004 per l’I.V.A. e 1. 7.2004 – 30.6.2005 per IRES e IRAP). Alla ASD <<madre>> era stato addebitato, tra l’altro, il mancato versamento di I.V.A. relativa al fatturato realizzato dalle ASD satelliti anche nel 2005; se anche il fatturato 2005 delle ASD satelliti poteva essere riferito alla ASD madre, la relativa I.V.A. avrebbe dovuto essere ripartita tra diversi esercizi (2004 e 2005) e non essere solo imputata al 2004.
6. Con il sesto motivo (erroneamente indicato in ricorso come settimo motivo) il contribuente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 21 d.P.R. n. 633 del 1972 e 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, nella parte in cui i giudici di appello non hanno annullato il recupero con cui l’Ufficio pretendeva la duplicazione dell’imposta I.V.A.
Sostiene il ricorrente che, nel caso in esame, non sarebbe stata dimostrata l’interposizione fittizia dell’attività delle ASD <<minori>> rispetto a quella della ASD madre, alla quale non potevano pertanto essere attribuite tutte le operazioni attive svolte dalle ASD satelliti, senza, in tal modo, duplicare la pretesa impositiva.
7. Con il settimo motivo (erroneamente indicato in ricorso come ottavo motivo), il contribuente, in subordine rispetto al precedente motivo, censura la decisione gravata per violazione degli artt. 55, 56, 81 e ss. del d.P.R. n. 917 del 1986 e 53 Cost., per non avere i giudici di appello riconosciuto la deducibilità in capo all’ASD <<madre>> dei costi imputabili alle ASD <<minori>> per il conseguimento del fatturato attribuito alla madre.
8. Con l’ottavo motivo (erroneamente indicato in ricorso come nono motivo) il ricorrente deduce la violazione dell’art. 2, comma 2 e 12 del d.lgs. n. 472 del 1997, lamentando che i giudici di secondo grado, non avendo individuato gli autori delle violazioni contestate, non avrebbero potuto confermare le sanzioni irrogate.
Inoltre, ad avviso del ricorrente, non risulta applicato l’art. 12 del d.lgs. n. 472 del 1997, che invece avrebbe dovuto operare proprio in ragione del fatto che l’Agenzia delle entrate aveva ritenuto che le violazioni contestate alla ASD <<madre>> ed alle altre ASD <<satelliti>>, nonché ai presunti gestori, facessero parte di un unico disegno evasivo.
9. Il primo motivo è fondato.
9.1. Risultano, in primo luogo, soddisfatti i requisiti di specificità ed autosufficienza del motivo, come delineati dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., sez. U, 20/03/2017, n. 7074), secondo cui <<In tema di ricorso per cassazione, ove la sentenza di appello sia motivata per relationem alla pronuncia di primo grado, al fine ritenere assolto l’onere ex art. 366, n. 6, cod. proc. civ., occorre che la censura identifichi il tenore della motivazione del primo giudice specificamente condivisa dal giudice di appello, nonché le critiche ad essa mosse con l’atto di gravame, che è necessario individuare per evidenziare che, con la resa motivazione, il giudice di secondo grado ha, in realtà, eluso i suoi doveri motivazionali>>.
9.2. Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, deve considerarsi nulla la sentenza di appello motivata per relationem alla sentenza di primo grado, qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello (Cass., sez. 1, 5/08/2019, n. 20883; Cass., sez. 6-5, 21/09/2017, n. 22022; Cass., sez. 5, 14/10/2015, n. 20648; Cass., sez. 3, 2/02/2006, n. 2268).
9.3. Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 8053 del 2014, hanno letto la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione, con conseguente denunciabilità in cassazione della sola anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella <<mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico>>, nella «motivazione apparente>>, nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili>> e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile>>, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza della motivazione>>.
9.4. Come ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 22232 del 2016), «la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture».
9.5. La motivazione della sentenza in questa sede impugnata non consente di comprendere quale fosse la decisione del primo giudice e quali le censure mosse col ricorso in appello, esaurendosi in una affermazione di condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni adoperate dai giudici provinciali, richiamate attraverso un mero rinvio senza alcuna trascrizione dei passi motivazionali e senza alcun esame critico degli stessi attraverso il filtro delle censure di parte appellante; sicché rimangono del tutto oscure sia le ragioni che sorreggono la decisione della C.T.P. e sia la tenuta delle stesse rispetto alle critiche mosse col ricorso in appello.
9.6. Le anomalie appena descritte rendono la sentenza impugnata affetta da difetto assoluto di motivazione, in quanto corredata da motivazione solo apparente, non espressione di un autonomo processo deliberativo, in ordine alle questioni prospettate dal contribuente nel giudizio di appello, meglio indicate nell’illustrazione del mezzo in esame.
Né, del resto, una siffatta motivazione può ritenersi legittimamente resa per relationem, in assenza – come detto – di un comprensibile richiamo ai contenuti degli atti cui si rinvia, ai fatti allegati dall’appellante e alle ragioni del gravame, così da risolversi in una acritica adesione ai provvedimenti soltanto menzionati, senza che emerga una effettiva valutazione, propria del giudice di appello, della infondatezza dei motivi di gravame (tra le altre, Cass., sez. 1, 5/08/2019, n. 20883).
La fondatezza del primo motivo consente di ritenere assorbiti il terzo, il quarto, il quinto, il sesto, il settimo e l’ottavo motivo del ricorso.
10. Merita, altresì, accoglimento il secondo motivo.
10.1. Questa Corte ha precisato che la responsabilità personale e solidale, prevista dall’art. 38 cod. civ., di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra l’ente ed i terzi. Si è, altresì, chiarito che tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell’associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione, con la conseguenza che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege, assimilabili alla fideiussione (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 3, 24/10/2008, n. 25748, Cass., sez. 3, 29/12/2011, n. 29733).
Si è spiegato che la ratio della previsione di una responsabilità personale e solidale, in aggiunta a quella del fondo comune, delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, è volta a contemperare l’assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell’ente, con le esigenze di tutela dei creditori (che abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio di dette persone), e trascende, pertanto, la posizione astrattamente assunta dal soggetto nell’ambito della compagine sociale, ricollegandosi piuttosto ad una concreta ingerenza dell’agente nell’attività dell’ente (Cass., sez. 5, 12/03/2007, n. 5746; Cass., sez. 5, 10/09/2009, n. 19486).
Ne deriva, dunque, che chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente (Cass., sez. 3, 14/12/2007, n. 26290, Cass., sez. 3, 24/10/2008, n. 25748; Cass., sez. 3, 25/08/2014, n. 18188; Cass., sez. 6-L, 4/04/2017, n. 8752).
10.2. Il principio suesposto è stato, poi, ritenuto da questa Suprema Corte applicabile anche ai debiti di natura tributaria (v. Cass., sez. 5, 17/06/2008, n. 16344; Cass., sez. 5, 10/09/2009, n. 19486), pur senza trascurare, tuttavia, una caratteristica fondamentale che connota siffatte obbligazioni. Si è rilevato, in proposito, che il principio in questione non esclude che per i debiti d’imposta, i quali non sorgono su base negoziale, ma ex lege al verificarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato, fermo restando che il richiamo all’effettività dell’ingerenza, implicito nel riferimento all’aver <<agito in nome e per conto dell’associazione>>, contenuto nell’art. 38 cod. civ., vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni che siano concretamente insorte nel periodo di relativa investitura (Cass., sez. 5, 12/03/2007, n. 5746; Cass., sez. 6-5, 19/06/2015, n. 12473; Cass., sez. 5, 15/10/2018, n. 25650; Cass., sez. 6-5, 29/01/2018, n. 2169; Cass., sez. 6-5, 24/02/2020, n. 4747).
Si è anzi affermato che, in ragione del principio di autonomia del diritto tributario rispetto a quello civile e della fonte legale dell’obbligazione tributaria, nell’ipotesi di avvicendamento nella carica sociale di un’associazione non riconosciuta, anche per evitare strumentalizzazioni elusive, il rappresentante legale subentrante non può andare esente, ai fini fiscali, da responsabilità solidale con l’associazione soltanto per la mancata ingerenza nella pregressa gestione dell’ente, in quanto è obbligato a redigere ed a presentare la dichiarazione dei redditi e ad operare, ove necessario, le rettifiche della stessa: ne deriva che, per l’accertamento della responsabilità personale e solidale del legale rappresentante dell’associazione non riconosciuta con quest’ultima, occorre tenere conto non solo della partecipazione di tale soggetto all’attività dell’ente, ma anche del corretto adempimento degli obblighi tributari incombenti sul medesimo (Cass., sez. 6-5, 23/02/2018, n. 4478; Cass., sez. 6-5, 28/09/2018, n. 22861). E che è consequenziale a tale principio di diritto che gli adempimenti relativi alla presentazione della dichiarazione possano afferire ad annualità d’imposta che almeno in parte non siano comprese nel periodo in cui il rappresentante abbia partecipato alla gestione dell’ente, perché non ancora a ciò preposto, o addirittura all’intera annualità, come in ipotesi di formazione e presentazione di dichiarazione integrativa (Cass., sez. 5, 9/02/2021, n. 3093).
10.3. Da quanto appena detto, come sottolineato da questa Sezione (Cass., sez. 5, 9/02/2021, n. 3093), discende un’ulteriore conseguente considerazione, incidente sulla prova e sul riparto del suo onere. Se infatti con riguardo alle obbligazioni in generale si è affermato il principio secondo cui chi invoca in giudizio tale responsabilità è gravato dall’onere di provare la concreta attività di chi agisce in nome e nell’interesse dell’associazione, deve invece affermarsi che nelle obbligazioni ex lege – in cui l’attenzione si sposta dalla concreta attività espletata dall’associato ai fini dell’insorgenza della specifica obbligazione alla verifica della partecipazione e gestione dell’ente da parte del soggetto – tale onere probatorio va diversamente ripartito. Infatti, grava su colui che invoca in giudizio la responsabilità dell’agente l’onere della prova degli elementi da cui desumere la sua qualità di rappresentante e/o di gestore di tutta o di parte dell’attività dell’associazione, grava invece sul chiamato a rispondere delle obbligazioni ex lege dare prova della sua estraneità alla gestione dell’ente.
10.4. La C.T.R., dopo avere precisato che l’operazione contestata dall’Ufficio nascondeva un intento elusivo finalizzato a consentire alla Associazione sportiva dilettantistica Pallamano S. di dichiarare solo una minima parte dei ricavi conseguiti, che è stato realizzato mediante la creazione di associazioni sportive <<satelliti>> interposte alle emissioni delle fatture, nonché attraverso l’attività di persone che, a vario titolo, intrattenevano rapporti con gli sponsor, partecipavano alla gestione, erano membri dei consigli direttivi e predisponevano bilanci, ha poi laconicamente affermato che tra tali <<associati>>, che agivano in nome e per conto dell’associazione sportiva, figurava anche l’odierno ricorrente, senza tuttavia compiere alcuna valutazione dell’attività concretamente svolta dal Licata al quale, in via solidale, è stata estesa la responsabilità solidale per i debiti tributari dell’ente.
La decisione non si pone, dunque, in linea con gli arresti giurisprudenziali sopra richiamati ed è, dunque, viziata, avendo ritenuto dimostrata la responsabilità solidale ex art. 38 cod. civ. senza previamente accertare, con specifico riferimento alla posizione del Licata, quale ruolo egli abbia rivestito all’interno dell’Associazione madre e se e in che misura egli abbia partecipato ad operazioni di gestione in nome e per conto dell’Associazione sportiva dilettantistica Pallamano S.
11. In conclusione, in accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, assorbiti i restanti motivi, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla competente Commissione tributaria regionale perché proceda a nuovo esame nonché alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il secondo motivo e dichiara assorbiti i restanti motivi del ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.