Corte di Cassazione sentenza n. 650 del 18 gennaio 2012
IMPOSTE SUI REDDITI – REDDITO D’IMPRESA – AGEVOLAZIONI – INVESTIMENTI – BENI STRUMENTALI – NIENTE BENEFICI PRIMA DI METTERE A FRUTTO L’INVESTIMENTO – AGEVOLAZIONI FISCALI LEGGE N. 133/1999 – INVESTIMENTO DA COMPUTARE NELL’ESERCIZIO IN CUI IL BENE E’ AMMORTIZZABILE
massima
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L’investimento per il quale rientra ai fini dell’agevolazione ex lege Visco (legge n. 133/1999), si computa nell’esercizio a partire dal quale il bene diventa ammortizzabile ai sensi dell’art. 67, comma 1, del TUIR, in quanto la semplice scelta contrattuale di frazionare il pagamento del prezzo in ratei parziali e anticipati, correlati agli stati di avanzamento lavori, non implica di per sé che le somme corrisposte – e i reciproci costi per l’effetto sostenuti – siano da considerare imputabili per competenza al periodo d’imposta dell’avvenuto pagamento I benefici fiscali contemplati dalla legge Visco (n. 133 del 1999), in buona sostanza , possono essere goduti dalla società a partire dall’esercizio in cui il bene è diventato ammortizzabile
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Banca p. di M., rettificando l’originaria dichiarazione dei redditi, propose un’istanza di rimborso di una quota parte dell’Irpeg versata nell’anno 2000, sostenendo di aver diritto all’agevolazione accordata dalla L. n. 133 del 1999 (c.d. Legge Visco) per alcuni investimenti imputabili al detto anno.
Formatosi il silenzio-rifiuto sull’istanza, lo impugnò dinanzi alla commissione tributaria provinciale di Vicenza sostenendo la stessa tesi.
L’amministrazione erariale, per quanto ancora unicamente rileva, si costituì replicando che, invece, la banca aveva correttamente imputato gli investimenti in questione all’anno 2001, atteso che la fruizione dei beneficio fiscale di cui alla citata legge Visco era subordinata, non solo all’acquisizione di beni nel periodo d’imposta, ma anche alla circostanza che i beni medesimi nello stesso periodo fossero stati messi in funzione.
Il ricorso della contribuente venne respinto dalla commissione provinciale.
Appellata la sentenza, la commissione tributaria regionale del Veneto, andando di diverso avviso, accolse il gravame sostenendo doversi far riferimento alla circolare ministeriale n. 51 del 20.3.2000, ma non nella parte dall’amministrazione richiamata, afferente gli investimenti in beni strumentali nuovi (per i quali, trattandosi di beni in condizioni di utilizzo, suscettibili di immediato inserimento nel processo produttivo dell’azienda, era in effetti da reputare legittimo, ai fini dell’agevolazione, il criterio di computo dall’esercizio in cui il bene fosse entrato in funzione), sebbene in quella di cui all’ultimo cpv. del punto 5.6, in base alla quale – affermò – “per i lavori eseguiti mediante contratto di appalto (come risultano essere quelli di cui trattasi) l’importo dell’investimento (..) è commisurato all’ammontare dei corrispettivi liquidati in base all’avanzamento lavori”.
Per la cassazione della sentenza di secondo grado, l’agenzia delle entrate ha proposto ricorso affidato a due motivi, cui l’intimata ha replicato con controricorso illustrato anche da memoria. Con atto notificato il 14.10.2011, depositato in cancelleria il successivo 28.10.2011, la ricorrente ha rinunciato al primo motivo del ricorso medesimo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I – La menzionata rinuncia, in quanto involgente soltanto il motivo di ricorso, e non il ricorso in sè, è consentita dal consolidato orientamento di questa Corte che assume che, a differenza della rinuncia al ricorso per cassazione, la rinuncia a uno o più motivi non esige un ulteriore speciale mandato (o, in mancanza, la sottoscrizione anche della parte), ma è rimessa alla discrezionalità tecnico – professionale del difensore, non realizzandosi in tal modo lo svuotamento sostanziale dell’impugnazione, attuato mediante un aggiramento della disciplina di cui all’art. 390 c.p.c., (v. Cass. n. 11154/2006; n. 15962/2003; n. 3949/1998). La domanda di cassazione della sentenza di merito resta dunque nella specie sorretta dal solo originario secondo mezzo, col quale l’amministrazione deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione della L. n. 133 del 1999, art. 2, comma 8, a misura del fatto che la fruizione del beneficio fiscale, ancorché in caso di appalto, è subordinata alla circostanza che nel periodo d’imposta il bene acquistato sia entrato in funzione, tenuto conto della ratio sottesa all’agevolazione, che non è volta a premiare semplicemente l’acquisto di beni strumentali.
Il motivo è concluso dal quesito di diritto “se l’agevolazione di cui alla L. 13 maggio 1999, n. 133, art. 2, comma 8, in relazione agli investimenti oggetto di contratti di appalto, rilevi rispetto ai corrispettivi liquidati in base allo stato di avanzamento dei lavori in periodi antecedenti a quello nel quale il bene strumentale è stato messo in funzione”.
II – Può osservarsi che la tesi della ricorrente muove dall’esegesi propugnata in apposita circolare ministeriale (la citata n. 51/E del 20 marzo 2000); la cui correttezza, quanto alla fattispecie in esame, è dalla sentenza contestata (con affermazione ripresa nell’attuale controricorso) in base alla asserita rilevanza, invece, di un altro passaggio della medesima circolare.
Per debito di chiarezza, va allora innanzi tutto rammentato che le circolari e, in genere, gli atti dell’amministrazione finanziaria possiedono efficacia meramente interna (v. Cass. n. 21154/2008; n. 14619/2000; ma già Cass. n. 2157/1988 e n. 2092/1983), questa Corte avendo più volte sottolineato (v. Cass. n. 11931/1995) che l’amministrazione non ha poteri discrezionali nella terminazione delle imposte dovute e che, di fronte alle norme tributarie, detta amministrazione e il contribuente si trovano su un piano di parità; per cui la cosiddetta interpretazione ministeriale, sia essa contenuta in circolari o risoluzioni, non vincola né i contribuenti, né tantomeno i giudici, né costituisce fonte di diritto (tanto che a detti atti ministeriali non si estende il controllo di legittimità esercitato dalla Corte di cassazione ex art. 111 Cost., e art. 360 c.p.c., in quanto essi non sono manifestazione di attività normativa, bensì atti interni della medesima p.a. destinati a esercitare una funzione direttiva nei confronti degli uffici dipendenti, inidonei, quindi, a incidere sul rapporto tributario).
Ciò chiarito, resta però la considerazione che, quanto al disposto ex art. 2, comma 8, della legge Visco, l’interpretazione offerta dalla circolare anzidetta, e qui dalla ricorrente posta a base del quesito di diritto, è corretta; sicché il motivo si palesa meritevole di accoglimento, seppure nei termini che seguono.
III – Giova altresì ulteriormente chiarire che, diversamente da quanto adombrato nell’impugnata sentenza, è del tutto pacifico che la condizione primaria per la fruizione delle agevolazioni dette, anche dinanzi a contratti di appalto, suppone che si tratti di investimenti “in beni strumentali nuovi”.
IV. – Ora, ai fini del computo dell’ammontare oggetto dell’agevolazione, il rinvio alle risultanze dello stato di avanzamento va armonizzato in rapporto alle condizioni stabilite dalla previsione agevolativa, il cui punto nodale è comunque rappresentato dagli “investimenti effettuati” [art. 2, comma 8, cit.: “Per il periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore della presente legge e per i due successivi, il reddito complessivo netto dichiarato dalle società e dagli enti commerciali indicati nel Testo Unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. a), b) e d), è assoggettabile all’imposta sul reddito delle persone giuridiche con l’aliquota del 19 per cento per la parte corrispondente al minore tra l’ammontare degli investimenti in beni strumentali nuovi di cui agli artt. 67 e 68 del citato testo unico, anche mediante contratti di locazione finanziaria, effettuati negli stessi periodi e quello dei conferimenti in denaro nonché degli accantonamenti di utili a riserva eseguiti nei periodi medesimi. Tuttavia, per il secondo dei predetti periodi sono computati anche gli importi, determinati ai sensi del comma 9, degli investimenti, dei conferimenti e degli accantonamenti di utili relativi al periodo precedente che non hanno rilevato ai fini dell’applicazione dell’agevolazione in detto periodo.
(.. )”]
E tanto significa che l’assunto interpretativo, che per le opere eseguite in appalto l’importo dell’investimento deve essere sempre commisurato, per ciascuno dei periodi rilevanti in base all’art. 2, comma 8, all’ammontare dei corrispettivi liquidati in base allo stato di avanzamento (tale è la tesi fatta propria dalla commissione regionale), non può prescindere dalla necessaria ulteriore considerazione dell’entrata in funzione del bene.
Quel che conta, quindi, non è il semplice frazionamento del corrispettivo rispetto alla fattispecie negoziale astratta (l’appalto), sebbene il concreto tipo contrattuale a mezzo del quale l’investimento è effettuato, cui rapportare la funzione del costo sostenuto a mezzo del pagamento del corrispettivo. In quanto, da un lato, gli investimenti de quibus vengono assunti in ragione del requisito della loro “effettuazione”, a prescindere dal fatto che l’investimento si concretizzi in un acquisto o, come nella specie, nella realizzazione del bene mediante appalto – e nel significato corrente in lingua italiana un investimento in beni strumentali può dirsi “effettuato” quando il bene viene destinato effettivamente all’uso (produttivo) cui è strumentale; dall’altro, e testualmente, il riferimento della norma ai “beni strumentali di cui agli artt. 67 e 68” del TUIR (nel testo pro tempore vigente) presuppone che la relativa quota di ammortamento resti comunque deducibile (art. 67, comma 1) “a partire dall’esercizio di entrata in funzione del bene”.
Vale a dire a partire dall’esercizio in cui il bene è inserito nel processo produttivo, ancora un volta in coerenza con la qualificazione giuridica del medesimo quale bene, appunto, strumentale.
Il che vai come dire che il momento in cui deve ritenersi effettuato l’investimento mediante appalto di diritto comune è, agli specifici fini dell’imputazione del costo, in ogni caso quello in cui interviene la entrata in funzione (id est, l’inserimento nel processo produttivo) del bene strumentale.
V – Tale regola non patisce eccezioni nel caso di pagamenti a stati di avanzamento, perché – nell’ottica appena esposta – la loro rilevanza deve intendersi limitata all’eventualità che si tratti di appalto a porzioni, da eseguire per partite ai sensi dell’art. 1666 c.c.
Tale difatti è l’appalto in cui il pagamento (in base agli stati di avanzamento lavori) non riflette gli acconti, sebbene il completamento e l’accettazione (e quindi la messa in atto, previo collaudo) della porzione dell’opera eseguita (la singola partita di cui al ripetuto art. 1666 c.c.) (v. per tutte Cass. n. 8752/1993).
In sostanza, la disciplina codicistica e l’elaborazione giurisprudenziale non autorizzano le immediate conclusioni cui è giunto il giudice d’appello, dal momento che non in ogni appalto, per il quale sia pattuito il pagamento di parte del prezzo in base a stati di avanzamento, l’accettazione di questi ultimi può essere qualificata come “accettazione dell’opera in tutto o in parte”; e, quindi, come presupposto al verificarsi del quale il corrispettivo pattuito e correlato al s.a.l. può considerarsi dovuto, o il prezzo corrisposto può considerarsi versato a titolo definitivo (con l’ulteriore conseguenza dell’imputazione al periodo di imposta del pagamento così eseguito, in base a stato di avanzamento o in base ad approvazione dello stato di avanzamento). Per cui può essere fissato il principio che l’investimento, ai fini dell’agevolazione ex lege Visco, si computa nell’esercizio a partire dal quale il bene diventa ammortizzabile ai sensi dell’art. 67, comma 1, del TUIR, in quanto la semplice scelta contrattuale di frazionare il pagamento del prezzo in ratei parziali e anticipati, correlati agli stati di avanzamento lavori, non implica di per sé che le somme corrisposte – e i reciproci costi per l’effetto sostenuti – siano da considerare imputabili per competenza al periodo d’imposta dell’avvenuto pagamento.
VI. – Appare evidente che il profilo che in effetti rileva l’impugnata sentenza non ha considerato affatto, essendo stato omesso l’accertamento previo in ordine alla natura dell’appalto a mezzo del quale l’investimento venne eseguito.
Per tale ragione, e in applicazione del surriportato principio di diritto, la sentenza va cassata con rinvio ad altra sezione della medesima commissione regionale.
La quale provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo; cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla commissione tributaria regionale del Veneto anche per le spese del giudizio di cassazione.
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