Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 28031 depositata il 28 giugno 2023
reato di omesso versamento IVA oltre i limiti di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 – applicazione del nuovo art. 131-bis, c.p.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 19.09.2022, la Corte d’appello di MESSINA, in parziale riforma della sentenza del 22.09.2021 del tribunale di Messina, appellata da C.G., C.V. e C.P., ha riconosciuto agli stessi il beneficio della non menzione, revocando la disposta confisca, confermando nel resto l’appellata sentenza che li aveva riconosciuti colpevoli del reato omesso versamento IVA in relazione al periodo di imposta 2012 per un importo superiore alla soglia di punibilità.
2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, i predetti propongono ricorso per cassazione tramite il comune difensore di fiducia, deducendo due motivi, di seguito sommariamente indicati.
2.1 Deducono, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 27 ed agli artt. 42 e 43, c.p., e correlato vizio di motivazione con riferimento al profilo soggettivo del reato.
In sintesi, si duole la difesa del fatto che la Corte d’appello non si sarebbe confrontata con gli elementi fattuali dimostrativi dell’impossibilità di adempiere al debito IVA, tali da integrare gli estremi della forza maggiore, giungendo ad un’affermazione di responsabilità penale distonica rispetto alle emergenze istruttorie, che attestavano la mancanza di un margine di scelta da parte degli imputati e la non riconducibilità agli stessi della mancanza di provvista necessaria per l’adempimento dell’obbligazione tributaria. I giudici avrebbero inoltre ritenuto sussistente il dolo generico ancorandolo al dato formale della carica ricoperta, senza svolgere alcun accertamento circa l’effettiva volontà dei ricorrenti di attuare la condotta evasiva. Sarebbe mancato ogni approfondimento sulla prospettata incidenza della crisi finanziaria che, agendo ab externo come evento imponderabile, avrebbe impedito di adempiere all’obbligazione tributaria, senza valutare che la società era in crisi e i ricorrenti si erano adoperati in tutti i modi per reperire la liquidità necessaria per assolvere il debito fiscale, contestando l’affermazione della sentenza impugnata che avrebbe ancorato la mancanza di liquidità a costi affrontati per l’andamento della società, senza tuttavia indicare le spese sostenute. Diversamente, si sostiene in ricorso, l’impossibilità di adempiere all’obbligazione tributaria sarebbe stata imputabile ad una crisi di liquidità non riconducibile ad una negligente gestione societaria né a cause dipendenti dalla volontà degli imputati, ma a cause esterne ritenute erroneamente dalla Corte d’appello non qualificabili come fattori eccezionali incidenti sulla capacità dell’impresa di operare sul mercato.
Sul punto, viene dedotto in ricorso il vizio di travisamento probatorio per omissione con riferimento, da un lato, alla circostanza documentata della contrazione del mercato automobilistico con contestuale revoca degli affidamenti bancari e, dall’altro, alla circostanza dell’utilizzo della liquidità per il pagamento dei dipendenti e dei fornitori, con azzeramento da parte degli amministratori dei propri compensi. Richiamato un passaggio della relazione del c.t. Di Silvestro che avrebbe riferito sulla crisi del mercato automobilistico e sull’improvvisa depressione dei ricavi, si sostiene in ricorso che ciò avrebbe rivestito il ruolo di evenienza imprevedibile ed estranea alla sfera di dominio dei ricorrenti, come sarebbe stato attestato dalla relazione del c.t.p. Stella che dimostrerebbe come la crisi del settore automobilistico avrebbe causato alla società amministrata dagli imputati oltre il 70% di perdite, con revoca degli affidamenti bancari, atteso il ridursi dei ricavi tra il 2010 al 2013 dell’85%, con conseguente impossibilità di rispettare la scadenze degli oneri tributari ed in particolare dell’IVA dell’anno 2013.
Quanto al secondo profilo di travisamento probatorio, si censura la sentenza per non aver tenuto conto del fatto che la società non avrebbe più potuto usufruire della liquidità versata sul conto anticipi, che sarebbe stata trattenuta dagli istituti bancari attesa l’esposizione debitoria della società. Non si sarebbe tenuto conto che la segnalazione effettuata dalla Banca Popolare di Lodi alla Centrale rischi, da cui era scattata la decisione degli istituti di credito di chiedere alla società l’immediato rientro dall’intera esposizione (e da cui era conseguita l’indisponibilità di nuovi accrediti sul conto anticipo), era avvenuta in maniera repentina ed imprevedibile, privando la società della possibilità di pagare l’IVA in quanto il modus procedendi della società consisteva nella presentazione alle banche delle fattura non scadute emesse richiedendo l’anticipo dei relativi importi.
Difetterebbe, dunque, l’elemento soggettivo del reato contestato, avendo gli imputati adottato tutte le possibili azioni dirette a consentire il recupero in presenza di una crisi di liquidità, delle somme necessarie ad assolvere al debito tributario, peraltro senza che la Corte d’appello abbia valutato il dolo generico alla luce della condotta degli imputati che, pur di garantire la continuità aziendale, avrebbero provveduto al pagamento di dipendenti e fornitori azzerando i propri compensi, nella convinzione che tale scelta potesse consentire la prosecuzione dell’attività di impresa attraverso il conseguimento di ricavi e utili.
2.2 Deducono, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 131-bis, c.p., ed il correlato vizio motivazionale.
In sintesi, premesso che dalle emergenze processuali risultava l’assoluta impossibilità dei ricorrenti di adempiere al debito tributario ed il loro pronto attivarsi al fine di reperire le risorse necessarie al fine di adempiere al debito tributario, si osserva come gli stessi avessero chiesto ed ottenuto dall’Erario la rateizzazione, con conseguente pagamento integrale del debito d’imposta, ciò che aveva giustificato la revoca della confisca.
Quanto sopra conduceva a ritenere dimostrata la particolare tenuità dell’offesa e il comportamento dei ricorrenti non abituale. Diversamente, la sentenza sul punto non avrebbe fornito alcuna motivazione e, in quanto, tale sarebbe censurabile.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato in data 31.03.2023, la propria requisitoria scritta, cui si è riportato in sede di discussione orale, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi per manifesta infondatezza.
Con le doglianze sviluppate nel primo e nel secondo motivo (rectius, con il solo primo motivo, n.d.r.) il ricorrente ha contestato l’esclusione della forza maggiore o comunque l’affermazione della sussistenza del dolo, deducendo che la sentenza impugnata ha omesso di considerare, in estrema sintesi, la difficile situazione finanziaria dell’impresa del ricorrente, la crisi del mercato automobilistico e l’improvvisa depressione dei ricavi aziendali, la contrazione del credito bancario e la chiusura del conto corrente. Secondo l’insegnamento consolidato della giurisprudenza, in tema di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, l’inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263128- 01, e Sez. 3, n. 2614 del 06/11/2013, dep. 2014, Saibene, Rv. 258595-01). In tempi più recenti, questa posizione è stata mitigata attraverso il riconoscimento di un più ampio contenuto alla categoria dolo, così da recuperare, in sostanza, spazio alla nozione della inesigibilità. In particolare, mentre in passato si affermava con nettezza che, nel reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, è richiesto il dolo generico, integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, a nulla rilevando i motivi della scelta dell’agente di non versare il tributo (cfr. Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263127-01), diverse decisioni attribuiscono oggi un ruolo particolarmente significativo alla mancata riscossione delle somme indicate nelle fatture, quando le stesse corrispondono ad un’elevatissima quota del complessivo fatturato (cfr., ad esempio Sez. 3, n. 31352 del 05/05/2021, Baracchino, Rv. 282237-01; Sez. 3, n. 19651 del 24/02/2022, Semprucci). La sentenza impugnata ha escluso che l’imputato abbia adottato tutte le misure necessarie per adempiere l’obbligo tributario; anzi, ha rilevato che: – “la crisi del mercato automobilistico … è un fattore di ordine generale che influisce sul rischio di impresa, ma che di per sé non legittima l’omesso versamento dell’iva”; – “non sono stati dedotti … fatti eccezionali che possano aver inciso sulla capacità dell’impresa di operare sul mercato”; – “il pagamento rateale dell’imposta dovuta, effettuato parzialmente dopo l’emissione della cartella esattoriale e dopo l’apertura del dibattimento, dimostra che i prevenuti, ove avessero voluto, avrebbero potuto attivarsi anche in epoca precedente per onerare i loro impegni fiscali …”. In sintesi, il collegio di secondo grado ha escluso una situazione di forza maggiore o di assenza di dolo.
Queste conclusioni per il PG sono immuni da vizi. La sentenza impugnata, infatti, ha escluso, in relazione all’impresa cui si riferisce l’IVA non versata, una situazione di mancati incassi a fronte delle fatture emesse. Anzi, detta situazione non è stata nemmeno allegata dal ricorrente, non solo in questa sede, ma neppure in appello, posto che il medesimo ha piuttosto fatto riferimento ad una situazione generale, derivante dalle condizioni del mercato, evidentemente prevedibile, rispetto alla quale era ben possibile istituire correttivi. Non essendo state allegate situazioni di oggettiva impossibilità di effettuare i versamenti dovuti o di mancati incassi a fronte delle fatture emesse, non risultano evidenziati fatti integranti gli estremi della forza maggiore o di una inesigibilità soggettiva ridondante in difetto di dolo, tali da rendere manifestamente illogica l’affermazione di responsabilità sotto il profilo soggettivo.
Anche il terzo motivo (rectius, il secondo, n.d.r.) è per il PG manifestamente infondato. In tema di omesso versamento IVA, la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen., è applicabile laddove la omissione abbia riguardato un ammontare di poco superiore alla soglia di punibilità, fissata ad euro 250.000,00 dall’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, in ragione del fatto che il grado di offensività che fonda il reato è stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di rilevanza penale (cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 12906 del 13/11/2018, dep. 2019, Rv. 276546 – 01). La causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. è applicabile laddove la omissione abbia riguardato un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilità (Sez. 3, n. 16599 del 20/02/2020, Rv. 278946 – 01).
4. In data 12.05.2023, la difesa dei ricorrenti (Avv. Isabella Giuffrida), in replica alle conclusioni del PG, con memoria telematicamente depositata ha insistito nell’accoglimento del secondo motivo, valorizzando in particolare l’intervenuta modifica dell’art. 131-bis, cod. pen. per effetto del D.lgs. n. 150 del 2002, che consente di valorizzare la condotta susseguente al reato.
Nella specie, l’intervenuta estinzione del debito tributario, oggetto di definizione integrale a seguito della rateizzazione, come attestato dalla sentenza d’appello, consentirebbe di ritenere applicabile la predetta causa di non punibilità, dimostrando la particolare tenuità del fatto, alla luce del comportamento successivo dei ricorrenti, che, pagando integralmente il debito tributario, hanno dimostrato di non volersi sottrarre agli impegni con l’Erario.
Si rileva, in ogni caso, che il reato risulterebbe estinto per prescrizione, chiedendosi pertanto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
5. In data 17.03.2023 è pervenuta istanza di trattazione orale da parte della difesa dei ricorrenti, accolta con provvedimento del Presidente titolare del 03.2023.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, trattato oralmente, è fondato quanto al secondo motivo.
2. Il primo motivo è, infatti, manifestamente infondato.
3. La censura ruota attorno alla valenza esimente della crisi di liquidità che, secondo la difesa, sarebbe stata determinata da fatti estranei alla volontà imprenditoriale e determinata, da un lato dalla crisi del mercato automobilistico e dalla contestuale contrazione progressiva dei ricavi nel triennio 2010/2013, e dall’altro, dalla circostanza dell’utilizzo della liquidità per il pagamento dei dipendenti e dei fornitori, con azzeramento da parte degli amministratori dei propri compensi, elementi che sarebbe stati oggetto di un travisamento probatorio per omissione da parte della sentenza impugnata.
Quest’ultima, diversamente da quanto sostenuto, si misura rispetto a tali elementi suppostamente travisati nella motivazione, precisando i giudici di appello che ciò che non era stata fornita dagli imputati era la presenza di fatti “eccezionali” (e non semplicemente estranei) incidenti sulla capacità dell’impresa di operare sul mercato, elencandone a titolo semplificativo alcuni (perdita di beni aziendali; malattie o incapacità fisica degli amministratori; mancato pagamento dei corrispettivi da parte dei clienti per importi significativi).
4. La sentenza, sul punto, non merita censura, atteso che è giurisprudenza pacifica di questa Corte che in tema di reato di omesso versamento dell’IVA, la colpevolezza del contribuente non è esclusa dalla crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo e, nel caso in cui l’omesso versamento dipenda dal mancato incasso dell’IVA per altrui inadempimento, non siano provati i motivi che hanno determinato l’emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo (Sez. 3, n. 23796 del 29/05/2019, Rv. 275967 – 01).
Dunque, sotto il profilo psicologico, secondo la giurisprudenza, nel reato di omesso versamento di Iva (art. 10-ter D.lgs. n. 74 del 2000) ai fini dell’esclusione della colpevolezza è irrilevante la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo (Sez. 3, n. 2614 del 21/01/2014, Rv. 258595 – 01).
E, nella specie, le emergenze processuali non danno conto di quali fossero dette iniziative finalizzate alla corresponsione, nel termine, di quanto dovuto all’Erario, emergendo, anzi, al contrario, come il modus procedendi dell’impresa fosse invece del tutto improntato a operare mediante l’anticipo su fatture, strumento finanziario che viene messo a disposizione dalla banca allo scopo di soddisfare le esigenze di liquidità dell’impresa.
In altri termini, la modalità di reperimento di liquidità da parte della società, parte della quale avrebbe dovuto essere finalizzata all’assolvimento del debito tributario maturato, avveniva mediante uno strumento, l’anticipo su fatture, equiparabile ad un finanziamento a breve termine, atteso che l’istituto bancario erogava una somma di denaro all’impresa da riscuotere in base ad una fattura non ancora pagata e che ha una scadenza futura. In sostanza, attraverso questo strumento finanziario l’impresa cedeva alle banche con cui intratteneva rapporti i propri crediti commerciali per ottenere in cambio immediata liquidità.
5. Alla stregua di quanto sopra, dunque, vi è prova in atti che lo stesso meccanismo escogitato dall’impresa per garantirsi la liquidità necessaria anche per il pagamento del debito tributario costituiva frutto di una precisa scelta di politica imprenditoriale, con la conseguenza che l’inadempimento della obbligazione tributaria non poteva dirsi attribuito a forza maggiore, atteso che la mancanza della provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria – dovuta, secondo la difesa alla improvvisa decisione degli istituti bancari di “rientrare” nell’intera posizione debitoria per effetto della segnalazione della BPL alla centrale rischi, cui era seguita l’indisponibilità del conto anticipi – aveva la sua origine in una scelta di politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità che non era nemmeno da considerarsi improvvisa, considerato che il meccanismo degli anticipi su fatture costituiva l’ordinario mezzo di finanziamento della società e non era legato, come sembra emergere dagli atti, al contingente periodo di crisi del mercato dell’auto e alla conseguente contrazione dei ricavi nel triennio 2010/2013 (Sez. 3, 8352 del 25/02/2015, Rv. 263128 – 01).
6. Quanto, poi, all’ulteriore asserito travisamento probatorio, legato alla mancata valutazione della scelta imprenditoriale di utilizzare la liquidità disponibile per garantire la continuità aziendale attraverso il pagamento di dipendenti e fornitori, si tratta di censura che parimenti non ha pregio, alla luce della giurisprudenza di questa Corte formatasi con riferimento all’omologo reato omissivo previsto dalla 638/1983, secondo cui il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali (al pari di quello di omesso versamento IVA) è a dolo generico, ed è integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti (o, come nella specie, di omettere il pagamento dell’IVA dovuta all’Erario), ravvisabile anche qualora il datore di lavoro (nella specie, imprenditore), in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario (o, come nella specie, dell’IVA dovuta all’Erario), essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare (Sez. 3, n. 43811 del 22/09/2017, Rv. 271189 – 01). Comunque dovendosi evidenziare che detta scelta, dettata dalla volontà di garantire la continuità imprenditoriale piuttosto che di soddisfare il debito tributario, è pur sempre frutto di una deliberata volontà dell’imprenditore, essendo quindi ascrivibile la scelta di “preferire” la continuità di impresa anziché di pagare l’obbligazione tributaria al dolo generico dell’imprenditore, mancando peraltro la dimostrazione che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo (Sez. 3, n. 2614 del 21/01/2014, Rv. 258595 – 01), non essendo sufficiente la mera scelta di azzerare i compensi agli amministratori, ma essendo invece necessario porre in essere idonee misure anche sfavorevoli per il patrimonio personale, come richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 5467 del 4/02/2014, Rv. 258055; Sez. 3, n. 20266 del 15/05/2014, Rv. 259190 – 01).
7. Fondato è invece il secondo motivo.
8. La Corte d’appello ha motivato sulla doglianza valorizzando la particolare entità della somma dovuta a titolo di IVA non versata, superiore quasi al triplo della soglia di punibilità (ciò che escluderebbe, di per sé, la particolare tenuità del fatto, anche secondo la prospettazione del G.: v., tra le tante, Sez. 3, n. 16599 del 3/06/2020, Rv. 278946).
9. Deve, tuttavia, valutarsi l’incidenza sulla vicenda processuale in esame della novella del 2022 che ha, con indubbi effetti sul piano sostanziale, determinato la modifica della disciplina della speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.
Incontestata è la circostanza che gli imputati abbiano successivamente regolarizzato la propria posizione nei confronti dell’Erario, provvedendo all’integrale pagamento rateale del debito tributario. Orbene, come anticipato, sul punto rileva la circostanza che sia stata medio tempore modificata la previsione dell’art. 131- bis, comma 1, cod. pen. per effetto della riforma “Cartabia” (D. lgs. n. 150 del 2022) mediante il riferimento alla condotta susseguente al reato come parametro da doversi considerare per stabilire se l’offesa sia di particolare tenuità.
E’ ben vero che già questa stessa Sezione si è pronunciata sulla questione affermando il principio secondo cui, da un lato, ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, acquista rilievo, per effetto della novellazione dell’art. 131-bis cod. pen. ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. c), n. 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, anche la condotta dell’imputato successiva alla commissione del reato, che, tuttavia, non potrà, di per sé sola, rendere di particolare tenuità un’offesa che tale non era al momento del fatto, potendo essere valorizzata solo nell’ambito del giudizio complessivo sull’entità dell’offesa recata, da effettuarsi alla stregua dei parametri di cui all’art. 133, comma primo, cod. pen. (Sez. 3, n. 18029 del 2/05/2023, Rv. 284497 – 01), e, dall’altro, che il giudizio sulla tenuità dell’offesa dev’essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133, comma primo, cod. pen., non essendo tuttavia necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6, n. 55107 del 10/12/2018, Rv. 274647 – 01).
10. Ciò posto, nella vicenda in esame, assume particolare rilevanza la con siderazione, ai fini della valutazione della gravità dell’offesa, anche della condotta susseguente al reato, elemento che la giurisprudenza di questa Corte, con riferimento alla previgente formulazione della norma, escludeva dal novero degli elementi da apprezzare proprio perché non espressamente previsto, e dovendosi perciò valutare la misura dell’offesa nel momento di consumazione del reato (cfr., ad esempio, Sez. 5 , n. 660 del 02/12/2019), rilevandosi al contempo che, per effetto dell’indicata modifica, invece, la condotta post factum è uno – ma non certamente l’unico, né il principale – degli elementi che il giudice è chiamato ad apprezzare ai fini del giudizio avente ad oggetto l’offesa, tenuto conto altresì del fatto che, come si desume dalla Relazione illustrativa all’indicato d.lgs. 150 del 2022, il Legislatore delegato ha volutamente utilizzato un’espressione ampia e scarsamente selettiva – quale, appunto, «condotta susseguente al reato» – allo scopo di «non limitare la discrezionalità del giudice che, nel valorizzare le condotte post delictum, potrà [ .. ] fare affidamento su una locuzione elastica ben nota alla prassi giurisprudenziale, figurando tra i criteri di commisurazione della pena di cui all’art. 133, comma secondo, n. 3 cod. pen.».
Da quanto appena esposto ne discende che il giudice potrà perciò valutare una vasta gamma di condotte definite solo dal punto di vista cronologico-temporale, dovendo essere “susseguenti” al reato, ed evidentemente in grado di incidere sulla misura dell’offesa, e ciò vale non solo nel caso in cui le condotte susseguenti riducano il grado dell’offesa – quali le restituzioni, il risarcimento del danno, le condotte riparatorie, le condotte di ripristino dello stato dei luoghi, l’accesso a programmi di giustizia riparativa, o, come nel caso in esame, l’intervenuto adempimento dell’obbligo tributario mediante l’integrale pagamento del debito erariale secondo il piano di rateizzazione concordato con il Fisco – ma anche, e specularmente, quando delle condotte aggravino la lesione – inizialmente “tenue” – del bene protetto.
Va, infine, precisato, come pure emerge dalla Relazione illustrativa (p. 346), che la condotta susseguente al reato acquista rilievo, nella disciplina dell’art. 131-bis cod. pen., non come esclusivo e autosufficiente indice-requisito di tenuità dell’offesa, bensì come ulteriore criterio, accanto a tutti quelli contemplati dall’art. 133, comma primo, cod. pen. (ossia la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell’azione; la gravità del danno o del peri colo; l’intensità del dolo o della colpa): elementi tutti che, nell’ambito di un giudizio complessivo e unitario, il giudice è chiamato a valutare per apprezzare il grado dell’offesa, e ciò comporta che le condotte post delictum non potranno di per sé sole rendere di particolare tenuità un’offesa che tale non era al momento della commissione del fatto – dando così luogo a una sorte di esiguità sopravvenuta di un’offesa in precedenza non tenue – ma, come detto, potranno essere valorizzate nel complessivo giudizio sulla misura dell’offesa, giudizio in cui rimane centrale, come primo termine di relazione, il momento della commissione del fatto, e, quindi, la valutazione del danno o del pericolo verificatisi in conseguenza della condotta.
11. Nel caso di specie, è indubbio che la condotta “susseguente” al reato (che, ove intervenuta “prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado”, avrebbe certamente consentito l’applicabilità dell’altra speciale causa di non punibilità prevista dall’art. 13, comma 1, D.lgs. n. 74 del 2000), ha sostanzialmente neutralizzato la gravità dell’offesa, originariamente consistente (notevole essendo indubbiamente l’importo il cui versamento era stato omesso, pari a poco meno di 710.000 euro), provocata all’Erario, avendo i ricorrenti dimostrato con il proprio comportamento la volontà di assolvere il debito tributario, provvedendo tempestivamente ad onorare il piano rateale concordato con il Fisco, tanto da determinare l’adozione in appello del provvedimento di revoca della disposta confisca in primo grado.
Nella specie, dalla motivazione dei giudici di appello, tuttavia, emerge come il successivo versamento rateale del debito tributario non è stato valutato in termini di condotta “susseguente” al reato nei termini richiesti dalla nuova previsione (e non poteva, del resto, esserlo, non essendo a tale data ancora entrata in vigore la novella dell’art. 131-bis, cod. pen.), essendosi limitata la Corte territoriale ad esprimere una semplice valutazione in termini recessivi di tale condotta, a fronte del danno erariale cagionato sia in assoluto sia in rapporto alla soglia di punibilità, in considerazione del notevole importo il cui versamento era stato omesso.
La necessità, invece, di dover apprezzare tale condotta alla luce della nuova previsione (che esplica indubbi effetti sostanziali, incidendo sulla punibilità del fatto, ed è quindi soggetta alla regola iuris dettata dall’art. 2, comma quarto, cod. pen.), imporrebbe pertanto l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice d’appello per una rinnovata valutazione del fatto.
12. Deve, tuttavia, rilevarsi che, nel caso in esame, assume valenza assorbente la circostanza che il termine di prescrizione del reato, pur tenuto conto della sospensione di 431 gg. verificatasi nel giudizio di merito, è maturato in data antecedente alla pronuncia della sentenza d’appello (ossia in data 1.09.2022, laddove la sentenza d’appello è stata emessa in data 09.2022).
Ne consegue, pertanto, l’adozione doverosa di una declaratoria di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.