Corte di Cassazione sentenza n. 9348 del 26 aprile 2011
RAPPORTO DI LAVORO – CONDOTTA ANTISINDACALE – MANCATO VERSAMENTO DI CONTRIBUTI SINDACALI – CESSIONE DEL CREDITO
massima
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Il datore di lavoro, con il consenso dei sindacati, può scegliere, ai fini della mobilità, il lavoratore che ha i requisiti per la pensione, senza creare nessun tipo di discriminazione. Ciò è dovuto al fatto che si vuole mantenere in servizio coloro che andando in mobilità resterebbero disoccupati e senza reddito.
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Fatto e diritto
1. P.I. con comunicazione del 25 giugno 2001, ai sensi degli artt. 4 e 24 della legge 223 del 1991, iniziò una procedura per il licenziamento collettivo nei confronti di 9.000 lavoratori in eccedenza rispetto alla proprie esigenze tecnico-produttive.
2. In tale comunicazione, ai sensi del terzo comma dell’art. 4 su citato, venivano indicati: i motivi che determinano la situazione di eccedenza; i motivi per i quali si ritiene di non poter adottare misure dirette a porre rimedio alla situazione; numero, collocazione aziendale e profili professionali del personale in eccedenza e del personale abitualmente impiegato; tempi di attuazione del programma di mobilità; misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale dell’attuazione del programma.
3. Alla comunicazione erano allegati l’organico dei dipendenti alla data del 1 maggio 2001, distinto per regioni e diverse aree di inquadramento, nonché le eccedenze, alla medesima data, ripartite per regione e con riferimento alle diverse aree di inquadramento, poi ulteriormente specificate con successive comunicazioni.
4. L’esame congiunto con i sindacati, protrattosi in vari incontri, ebbe esito negativo. In seguito, però, presso il Ministero del lavoro, tra P.I. e sindacati venne raggiunto un accordo per la definizione della procedura. “Nell’intento comune di ridurre le conseguenze sul piano sociale” derivanti dall’attuazione del piano di riorganizzazione e ristrutturazione, le parti concordarono la risoluzione del rapporto di lavoro del personale che alla data del 31 dicembre 2001 e del 31 dicembre 2002 fosse in possesso dei requisiti per il pensionamento. P.I. ha quindi comunicato ai lavoratori in tale condizione la cessazione dal lavoro.
5. Fra costoro vi era (omissis), il quale impugnò il licenziamento dinanzi al Tribunale di Firenze, che accolse il ricorso e dichiarò illegittimo l’atto di recesso, ritenendo sussistente la violazione della procedura regolata dall’art. 4 della legge 233 del 1991.
6. La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza pubblicata il 10 luglio 2007, ha respinto l’impugnazione di P.I..
7. P.I. propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Il (omissis) ha depositato controricorso. Entrambe le parti hanno presentato una memoria.
8. Con il primo motivo P.I. denunzia violazione dell’art. 4, commi 2 e 9 della legge 223 del 1991, nonché dell’art. 1362 ss cc in relazione agli artt. 4 e 5 dell’accordo interconfederale 20 dicembre 1993, nonché vizio di motivazione sul punto. Il quesito è: “se nell’ipotesi in cui in ambito aziendale siano costituite RSU ai sensi dell’accordo interconfederale 20 dicembre 1993, i commi 2 e 9 dell’art. 4 L. 223 del 1991, debbano essere interpretati nel senso che le comunicazioni ivi contemplate siano da inviarsi alle RSU medesime”.
9. Con il secondo motivo si denunzia violazione dell’art. 4, terzo comma, della legge 223 del 1991, ponendo il sequente quesito: “se il 3 comma dell’art. 4 debba essere interpretato nel senso che l’imprenditore la cui azienda sia articolata sull’intero territorio nazionale e che intenda ridurre il numero dei dipendenti nell’ambito dell’intero complesso aziendale, abbia l’obbligo di specificare nella comunicazione di apertura della procedura di mobilità l’entità dell’esubero unità produttiva per unità produttiva”.
10. con il terzo ed ultimo motivo si denunzia violazione dell’art. 5, primo comma della legge 223 del 1991, ponendo il seguente quesito: “se tale norma debba essere interpretata nel senso che alle parti sarebbe vietato stabilire quale criterio di scelta dei lavoratori da licenziare il possesso dei requisiti anagrafici e contributivi per l’accesso ad un trattamento pensionistico”.
11. I motivi di ricorso sono fondati.
12. La prima censura riguarda l’affermazione della Corte d’appello in base alla quale P.I. avrebbe posto in essere una “patente violazione” del terzo e del nono comma dell’art. 4 della legge 223 del 1991 per il fatto che “ha omesso le comunicazioni alle articolazioni locali (RSA) privilegiando esclusivamente il rapporto con le sole istanze nazionali (le segreterie nazionali) delle organizzazioni dei lavoratori”.
13. Il secondo comma dell’art. 4 cit. prescrive che le comunicazioni di cui si discute devono essere fatte per iscritto alle rappresentanze sindacali aziendali costituite a norma dell’art. 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nonché alle rispettive associazioni di categoria (in mancanza delle prime, alle sole associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale).
14. Quel “nonché” indica che, se vi sono RSA, la comunicazione deve essere fatta tanto alle strutture aziendali che a quelle di categoria.
15. La Corte assume che non è stata fatta comunicazione alle RSA, mentre P.I. sostiene che è stata fatta comunicazione alle RSU.
16. La Corte non chiarisce se ha accertato che la comunicazione non è stata fatta neanche alle RSU o se invece ritiene che la comunicazione alle RSU non possa essere considerata alla pari della comunicazione alle RSA.
17. Qualora la comunicazione fosse stata fatta alle RSU, la norma sarebbe stata rispettata, perché l’accordo interconfederale 20 dicembre 1993 sulla costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie stabilì che “le rappresentanze sindacali unitarie (RSU) subentrano alle rappresentanze sindacali aziendali (RSA) ed ai loro dirigenti nelle titolarità dei poteri e nell’esercizio delle funzioni ad essi spettanti per effetto di disposizioni di legge”.
18. Pertanto se le comunicazioni previste dalla legge 223 del 1991 non sono state fatte alle RSA, ma sono state fatte alle RSU che presero il posto di quelle in base all’accordo su richiamato, non vi è stata violazione di legge.
19. Poiché la sentenza non ha chiarito questo punto, fondamentale, deve essere cassata con rinvio ad altro giudice di merito che dovrà procedere alla relativa verifica.
20. Il problema posto con il secondo motivo è stato affrontato in più occasioni da questa Corte. In particolare, nella pronunzia 12 agosto 2009, n. 18253, si è affermato il seguente principio di diritto “in tema di verifica del rispetto delle regole procedurali dettate per i licenziamenti collettivi per riduzione del personale dalla legge n. 223 del 1991, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui all’art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, sottratti al controllo giurisdizionale, cosicché, nel caso di progetto imprenditoriale diretto a ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti suddiviso tra i diversi profili professionali contemplati dalla classificazione del personale occupato nell’azienda, tanto più se si esclude qualsiasi limitazione del controllo sindacale e in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all’esito della procedura, che, nell’ambito delle misure idonee a ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio di scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione”.
21. La motivazione della sentenza, alla quale si rinvia, spiega perché, in quel contesto specifico, le indicazioni fornite nella comunicazione del datore di lavoro siano conformi a quanto richiesto dall’art. 4, terzo comma, della legge 223 del 1991 e spiega, più in generale, perché il criterio adottato per la individuazione dei lavoratori da licenziare sia conforme ai principi desumibili dagli artt. 1 e 24 della legge 223 del 1991 e dall’assetto complessivo dell’ordinamento (schematizzati al paragrafo n. 7).
22. Con riferimento al terzo ed ultimo motivo, deve rilevarsi che non può condividersi il pensiero della Corte d’appello di Firenze quando considera illegittimo il criterio concordato tra azienda e sindacati, costituito dalla pensionabilità dei lavoratori.
23. La Corte di Firenze ritiene che adottare come criterio di individuazione del personale da licenziare quello del possesso dei requisiti per andare in pensione sia una discriminazione in base al fattore età e considera tale scelta illegittima.
24. In realtà, l’affermazione che ha portato la Corte a ritenere illegittimo il criterio non è decisa, ma alquanto problematica, perché nel passaggio cruciale della sentenza si parla di “consistenti perplessità” sulla legittimità del criterio di scelta dei licenziandi “basato unicamente sul fattore dell’età, qual è il criterio dell’anzianità contributiva utilizzato dall’accordo”.
25. Queste perplessità, invero, non sono idonee a fondare l’illegittimità del criterio, per una duplice ragione. In primo luogo, il criterio concordato tra l’azienda e le organizzazioni sindacali non è basato sull’età in sé, ma sulla presenza dei requisiti per andare in pensione. Non è affatto detto che i lavoratori così individuati siano i più anziani. Possono aversi casi di lavoratori più anziani di età, che a causa della loro storia lavorativa non presentano i requisiti per andare in pensione, che invece hanno lavoratori meno anziani di loro.
26.In secondo luogo, una volta accertato che sussisteva la necessità di licenziare parte dei lavoratori, la scelta, condivisa dai sindacati, di individuare i lavoratori da licenziare in coloro che avevano i requisiti per passare dal lavoro alla pensione, mantenendo in servizio coloro che invece sarebbero passati dal lavoro alla disoccupazione rimanendo privi di fonti di reddito, è una scelta di cui è difficile negare la ragionevolezza.
27. Non può, pertanto, condividersi la tesi della Corte di Firenze che da una perplessità, per quanto forte, fa derivare l’illegittimità del criterio concordato in sede di autonomia collettiva.
28. In più occasioni il criterio della prossimità al trattamento pensionistico è stato ritenuto da questa Corte conforme al principio di non discriminazione in ragione dell’anzianità, anche nella sua dimensione europea, nonché a criteri di razionalità ed equità (cfr, in particolare, 24 aprile 2007, n. 9866; e 21 settembre 2006, n. 20455, alla cui motivazioni si rinvia).
29. In conclusione, i tre motivi di ricorso devono essere accolti. La sentenza deve essere cassata, con rinvio al giudice di merito per l’accertamento reso necessario dall’accoglimento del primo motivo nei termini di cui si è detto.
30. La Corte di appello di Firenze, in altra composizione, deciderà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, che deciderà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 25 febbraio 2011.
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