Avviso di accertamento – Prospetto calcolo degli studi di settore – Omesso
In fatto
1.- Con ricorso con contestuale istanza di reclamo ritualmente notificato a mezzo di consegna diretta il 07.10.2014 e ritualmente depositato il ricorrente ha impugnato, chiedendone l’annullamento, l’avviso di accertamento indicato in epigrafe, emesso dall’Agenzia delle Entrate di Enna, censurandolo per i seguenti, rubricati, motivi di diritto:
1. Nullità dell’avviso di accertamento per difetto di legittimazione attiva, quale conseguenza del difetto di sottoscrizione, in violazione dell’articolo 42 d.P.R. n. 600/73.
2. Nullità dell’avviso di accertamento per omessa allegazione del prospetto del calcolo degli studi di settore generato dal software Gerico.
3. Nullità dell’avviso di accertamento per violazione del divieto di doppia presunzione, nonché nullità per violazione degli artt. 2727 e ss. C.c. nonché dell’art. 39, comma 1, lett. d) in quanto la pretesa tributaria è sorretta da elementi di natura indiziaria.
4. Nullità dell’atto impugnato per difetto di motivazione.
5. Nullità dell’avviso di accertamento impugnato per carenza di motivazione in quanto apparente.
6. Erroneità da parte dell’ufficio finanziario nella determinazione delle maggiori imposte accertate.
7. Eccezione di nullità dell’atto impugnato nella parte in cui ha irrogato le sanzioni.
8. Motivi oggettivi/soggettivi che rendono non applicabile le risultanze dell’automatismo accertativo fondato sul software Gerico e che giustificano lo scostamento dalle risultanze degli studi di settore. L’avviso di accertamento notificato ha contestato al ricorrente per l’anno d’imposta 2010 un maggiore volume d’affari (rispetto a quello dichiarato pari ad 6 149.618,00), sia ai fini IVA che IRAP, per euro 22.284,00, oltre le sanzioni di legge, sulla base degli studi di settore di cui all’art. 62-bis del d.l. 30.08.1993, n. 331 conv. con modificazioni nella legge n. 427/1993.
2 – Si è costituita in giudizio l’Agenzia delle Entrate di Enna contestando ogni singolo motivo e producendo la delega di firma sulla cui base sarebbe stato adottato e sottoscritto l’avviso di accertamento.
In particolare, in uno alle controdeduzioni ha prodotto, tra l’altro, il provvedimento prot. n. 2014/24/Reg. D.O., atto dispositivo n. 12/2014, a firma del direttore provinciale dr. V.V. del 5 maggio 2014 con cui venivano confermate le deleghe di firma già conferite dal dr. G.L.R. nonché il provvedimento prot. n, 2013/48/Reg. D.O., atto dispositivo n. 09/2013 a firma del dr. G.L.R. del 4 luglio 2013, con cui il dr. Giuseppe Rubino, nella sua qualità di capo ufficio controlli, era stato incaricato di provvedere a firmare gli accertamenti tributari di importi inferiori ad un milione di euro.
Presa visione di tale documentazione il ricorrente ha ritenuto di proporre motivi aggiunti ai sensi dell’art. 24 d.lgs. 546/1992, riproponendo la prima censura dedotta col ricorso introduttivo sulla base di giurisprudenza di legittimità, deducendo l’assenza di un termine di efficacia della delega e della specificità dei motivi della medesima (carenza di personale, assenza, malattia ecc.).
2.1.- Con memoria depositata in data 21 settembre 2016 l’Agenzia delle Entrate di Enna ha eccepito l’inammissibilità dei motivi aggiunti per tardività, in quanto il ricorrente sarebbe stato a conoscenza dell’atto di delega fin dal momento in cui (7 gennaio 2015) gli era stata inviata la pec per comunicare il rigetto della proposta di mediazione (e non dal 14 luglio 2016 come dallo stesso dichiarato).
3.- Nelle conclusioni il ricorrente ha chiesto alla Commissione tributaria di dichiarare la nullità dell’atto impugnato in virtù degli otto motivi dedotti nonché per i motivi aggiunti successivamente notificati alla controparte.
3.1 – A sua volta l’Agenzia delle Entrate di Enna ha chiesto il rigetto del ricorso verbalizzando all’udienza di discussione orale la richiesta al Collegio di dichiarare inammissibile l’eccezione preliminare di nullità sollevata con l’atto impugnato.
In diritto
4. – Il Collegio valuta opportuno rilevare, sebbene con approccio sintetico, che nell’ambito del giudizio tributario (ma eguale regola vale anche in altri processi, quale quello civile ed amministrativo) il giudice ha il dovere di decidere la controversia, ai sensi dell’art. 276, comma 2, c.p.c. (in base al richiamo effettuato al codice di procedura civile di cui all’art. 1, comma 2, D. Lgs. 546/1992), secondo l’ordine logico che, di regola, pone la priorità della definizione delle questioni di rito rispetto alle questioni di merito e, fra le prime, la priorità dell’accertamento della ricorrenza dei presupposti processuali rispetto alle condizioni dell’azione.
Tra i presupposti processuali rientrano (oltre alle ovvie questioni di giurisdizione, competenza, capacità delle parti ecc.), nell’ordine, sia l’astratta ammissibilità del ricorso con riferimento alla sua proposizione (inclusa la fase del deposito) sia con riferimento alla regolare instaurazione del contraddittorio.
L’eccezione di tardività della proposizione dei motivi aggiunti è stata energicamente sostenuta dall’Agenzia delle Entrate di Enna con la memoria di replica del 21.09.2016, il cui assunto questo Collegio non ritiene, tuttavia, di poter condividere.
L’Agenzia delle Entrate di Enna in data 21 settembre 2016 ha depositato, contrassegnandolo al n. 1 dell’indice, una fotocopia di quattro diversi atti: a) l’accettazione di una PEC inviata in data 7 gennaio 2015 al difensore del ricorrente dalla quale si evince l’avvenuta accettazione e consegna della mail; b) la consegna della stessa PEC (ma le due ricevute di accettazione e consegna sono atti autonomi); c) una “stampa registro” (stampa avvenuta in data 19.09.2016, ore 15:31) del protocollo n. 80 del 7 gennaio 2015, relativo all’invio in uscita avente ad oggetto “proposta di mediazione con la sola riduzione sanzioni M001053”, inviata al dr. V.M.; tale stampa specifica che viene inviato un “documento generico”; d) una stampa presuntivamente rappresentativa dell’indice di otto documenti allegati al messaggio di posta elettronica, tra i quali un file denominato “DS 122014 deleghe di firma V..pdf”; tale ultima stampa è anch’essa autonoma rispetto alle stampe di accettazione e consegna della PEC, in quanto consta di una pagina a sé.
Sebbene tale produzione in fotocopia non è stata contestata dal ricorrente, la stessa non risulta nel complesso dei quattro diversi atti di cui consta idonea a dimostrare la circostanza che è posta a base dell’eccezione. Infatti, dall’esame della produzione in questione (che in realtà si compone di quattro autonomi atti) ed in particolare dai rapporti di accettazione e consegna della PEC non è possibile stabilire quali atti siano stati spediti in allegato in data 7 gennaio 2015; né la stampa rappresentativa degli allegati (che è atto autonomo) può essere, in alcun modo, messa in relazione all’invio della PEC.
E tale conclusione già consentirebbe la reiezione dell’eccezione.
Ma anche a voler ammettere come dimostrata la presenza nella PEC del 7 gennaio 2015 di un file denominato “DS 122014 deleghe di firma V.pdf”, ugualmente l’Agenzia delle Entrate di Enna non avrebbe dato sostanza alla predetta eccezione in quanto non vi è prova in atti della reale immagine contenuta in tale file di formato PDF, cioè che tale file fosse rappresentativo delle deleghe depositate in data 21 settembre 2016.
In conclusione: l’eccezione va disattesa ed i motivi aggiunti dichiarati ammissibili.
5. – Il Collegio ritiene che il ricorso ed i motivi aggiunti debbano essere accolti e dichiarata la nullità dell’avviso di accertamento impugnato.
5.1.- In applicazione del principio della c.d. “ragione più liquida”, ovvero in conseguenza dell’esame esclusivo di una questione assorbente, idonea, di per sé sola, a sorreggere la decisione e tale da non richiedere alcuna ulteriore valutazione sulle altre questioni dedotte in giudizio – senza che sia necessario esaminare previamente tutte le altre secondo l’ordine previsto dall’art. 276 c.p.c. (cfr: Cass. Civ., S.U. n. 26242/14 del 12.12.2014) – il Collegio ritiene fondato il motivo formulato con la prima censura rubricata sotto la lettera A) (pag. 3 del ricorso) ed ulteriormente integrato per mezzo del motivo aggiunto, con i quali viene dedotta la violazione dell’articolo 42 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
6. – Nell’ordinamento tributario, la delega di firma trova fondamento normativo nell’articolo 42 del d.P.R. 600/1973, il quale prevede che “Gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato” (comma 1) e che “L’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione… di cui al presente articolo…” (comma 3), nonché nell’articolo 12, comma 4, del d.P.R. 602/1973, secondo cui “il ruolo è sottoscritto, anche mediante firma elettronica, dal titolare dell’ufficio o da un suo delegato..
Tale istituto giuridico va tenuto distinto dalla c.d. “delega di funzioni” che è invece prevista dall’articolo 17, comma 1 -bis, del d.lgs. n. 165/2001, il quale stabilisce che “i dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze comprese nelle funzioni di cui alle lettere b), d) ed e) del comma 1 a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell’ambito degli uffici ad essi affidati…”.
Sulla differenza fra i due istituti merita di essere menzionato il pronunciamento del Consiglio di Stato del 24 marzo 2015, n. 1573, ove si chiarisce che “non è configurabile un vizio di incompetenza qualora si sia in presenza non già di delega di funzioni, ma di mera delega di firma che, senza alterare l’ordine delle competenze, attribuisca al soggetto titolare dell’ufficio delegato… il potere di sottoscrivere atti che continuano ad essere, sostanzialmente, atti dell’autorità delegante e non di quella delegata”.
Omologa e convergente interpretazione ha adottato anche la Corte di Cassazione che ha chiarito che “la differenza che passa tra la delega interorganica e la cosiddetta (mera) delega di firma, che si ha quando un organo, pur mantenendo la piena titolarità circa l’esercizio di un determinato potere, delega ad altro organo, ma anche a funzionario non titolare di organo, il compito di firmare gli atti dì esercizio del potere stesso. In questi casi, l’atto firmato dal delegato, pur essendo certamente frutto dell’attività decisionale di quest’ultimo, resta formalmente imputato all’organo delegante, senza nessuna alterazione dell’ordine delle competenze (non è ammissibile, ad esempio, il ricorso gerarchico al delegante contro l’atto firmato dal delegato)” (in tal senso: cfr: Cass. civ. Sez. lavoro, 22-03-2005, n. 6113).
In conclusione, la delega di firma – che tiene inevitabilmente conto delle esigenze di organizzazione dei pubblici uffici – non comporta alcuno spostamento della competenza dal delegante al delegato, ma consente al secondo di sottoscrivere l’atto “per il delegante”, fermo restando che la paternità dell’atto sottoscritto (e la conseguente responsabilità) rimane in capo al primo.
L’istituto della “delega di firma”, inoltre, va tenuto distinto dagli atti di conferimento di incarichi dirigenziali, emanati sulla base della disposizione normativa dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 37 del 17 marzo 2015.
Ciò in quanto il responsabile di un’articolazione interna non sottoscrive l’atto in virtù dell’incarico dirigenziale ricevuto, ma per effetto della delega di firma del direttore dell’ufficio.
In sostanza, in base alla richiamata disposizione (art. 42 d.P.R. 600/1973) il potere di rappresentanza (organica) dell’ufficio spetta al suo direttore (che è l’unico organo), mentre i responsabili delle articolazioni interne o gli altri dipendenti in servizio (purché appartenenti all’area terza) presso la struttura necessitano della delega di firma del direttore: ne consegue che l’invalidità dell’incarico dirigenziale conferito a un funzionario non travolge la validità della delega di firma conferita al medesimo funzionario.
7. – Occorre ancora formulare delle necessarie precisazioni di raccordo tra la nullità testuale prevista nell’ambito tributario con la normativa generale della corrispondente nullità disciplinata dalla legge 241/1990 e dal codice del processo amministrativo (approvato con d. lgs. 104/2010). Alla sanzione della nullità comminata dall’art. 42, comma 3, d.P.R. n. 600/1973 all’avviso di accertamento privo di sottoscrizione, delle indicazioni e della motivazione di cui al precedente comma 2, o ad al quale non risulti allegata la documentazione non anteriormente conosciuta dal contribuente, al pari delle altre norme che prevedono analoghe ipotesi di nullità degli atti tributari nelle diverse discipline d’imposta, non è direttamente applicabile il regime e la normativa di diritto sostanziale e processuale dei vizi di “nullità” dell’atto amministrativo (che hanno trovato riconoscimento positivo nell’art. 21/septies della legge n. 241/1990 e sistemazione processuale nell’art. 31, comma 4, c.p.a. – approvato con il d.lgs. 2 luglio 2010 n. 104) nell’autonoma azione di accertamento della nullità sottoposta a termine di decadenza, e nella attribuzione del potere di rilevazione “ex officio” da parte del Giudice amministrativo (“La domanda volta all’accertamento delle nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di centottanta giorni. La nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice. Le disposizioni del presente comma non sì applicano alle nullità di cui all’articolo 114, comma 4, lettera b), per le quali restano ferme le disposizioni del Titolo I del Libro IV’).
La diversità di regime scaturisce dal fatto che l’ordinamento tributario costituisce un sotto-sistema del diritto amministrativo, con il quale è in rapporto di “species ad genus”, potendo pertanto trovare applicazione le norme generali sugli atti del procedimento amministrativo (l. n. 241/1990) soltanto nei limiti in cui non siano derogate o non risultino incompatibili con le norme speciali di diritto tributario che disciplinano gli atti del procedimento impositivo.
Quindi, conseguenza sul piano processuale tributario di tale ontologica diversità tra le due diverse tipologie di nullità è quella secondo cui le nullità tributarie debbono, a pena di decadenza, essere tempestivamente rilevate ed eccepite dal contribuente mediante impugnazione da proporsi, con ricorso, entro il termine di cui all’art. 21 d.lgs. n. 546/1992: in difetto il provvedimento tributario, anche se in astratto nullo, si consolida, divenendo inoppugnabile e legittimando l’Amministrazione finanziaria alla riscossione coattiva dell’imposta.
8. – Premesse le fondamentali coordinate teoriche dell’istituto in argomento, valuta opportuno il Collegio puntualizzare che la competenza amministrativa è tendenzialmente inderogabile attesa la riserva (relativa) di legge posta dall’art. 97 Cost. ed in base alla condivisa giurisprudenza di legittimità (v. per tutte Cassazione, sez. V, 09.11.2015, n. 22803) quella indicata dalla disposizione censurata (art. 42 d.P.R. 600/1973) è riconducibile ad una “delega di firma” che deve essere non solo nominativa (escludendosi le deleghe in bianco), ma anche motivata con l’indicazione di specifiche ragioni di servizio e circoscritta in un lasso di tempo ridotto e determinato, poiché in caso contrario l’indeterminatezza temporale della delega e l’assenza dell’indicazione di specifiche ragioni di servizio non affrontabili in modo diverso, determinerebbe, nella sostanza, un elusivo (e vietato) spostamento dell’ordine delle competenze fissate dal legislatore (art. 97 Cost. “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizione di legge (…) nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari”).
E’ quello che emerge dall’esame delle due deleghe in atti ed in particolare da quella del 5 maggio 2014 che ha provveduto a confermare tutte le precedenti deleghe di firma sulla sola base del mutamento del soggetto fisico preposto alle funzioni di direttore provinciale, senza alcuna specifica e concreta indicazione di ragioni di servizio diversa da quella della generica “continuità di servizio e al fine di non pregiudicare l’attività delle strutture interne” e senza alcuna indicazione temporale.
Va, al riguardo, osservato come non appaia decisiva la modalità di attribuzione della delega che può essere conferita o con atto proprio o con ordine di servizio, purché venga indicato, unitamente alle ragioni della delega (ossia le cause che ne hanno resa necessaria l’adozione, quali carenza di personale, assenza, vacanza, malattia, etc) – del tutto mancanti nel caso in esame – il termine di validità e il nominativo del soggetto delegato (V. Cassazione sez. V, n. 22803/2015).
E’ indicato il soggetto delegato ma non è nella delega previsto alcun termine di operatività e tale mancanza determina una ultrattività della delega che non è conforme allo spirito della legge.
In conclusione, sia la mancanza di motivazione delle ragioni che hanno reso indispensabile l’adozione delle delega di firma sia la mancanza di un termine di validità rendono la stessa difforme dal modello legale previsto dall’art. 42 d.P.R. 600/1973; l’avviso di accertamento impugnato è, dunque, non conforme allo schema normativo richiamato (art. 42) e ne va dichiarata la nullità ad ogni effetto di legge, con assorbimento di tutte le rimanenti questioni e censure fatte valere dal ricorrente, in ordine alle quali non è predicabile alcuno scrutinio da parte del Collegio non solo in applicazione del principio di risparmio delle risorse di giustizia, ma soprattutto perché la dichiarazione di nullità dell’atto impositivo – che ha natura assorbente di ogni altra questione dedotta dal ricorrente – è idonea a sterilizzare ogni suo residuo interesse ex art. 100 c.p.c.: condizione dell’azione che il giudice, ex officio, può e deve valutare in ogni momento del giudizio compreso quello di decisione della controversia.
9. – Per quanto inerisce il regolamento delle spese del giudizio, ai sensi del combinato disposto dell’art. 15, 1° comma, D. L.vo 31.12.1992, n. 546 e 92, 2° comma, c.p.c., seguono la soccombenza e possono essere liquidate – tenuto conto dell’attività difensiva effettivamente svolta in giudizio – in favore del ricorrente in euro 750,00 (euro secentocinquanta/00) oltre maggiorazioni di legge.
P.Q.M.
Pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe lo accoglie e per l’effetto accerta e dichiara la nullità del provvedimento impugnato.
Condanna l’Agenzia delle Entrate di Enna, in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento in favore del ricorrente delle spese di giudizio che liquida in euro 750,00 (euro settecentocinquanta/00) oltre maggiorazioni di legge e alla restituzione del contributo unificato.