COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Bari sentenza n. 1072 sez. 13 del 27 aprile 2016
RIMBORSO IVA – NON SI SOSPENDE L’ESECUZIONE PER L’EVENTUALE COMPENSAZIONE RIMBORSO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Bari le Signore S.L. e C.R. impugnavano il rifiuto, notificato il 2/5/2013, opposto dall’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Bari (in seguito Ufficio) all’istanza di rimborso del credito IVA di € 19.406,00 presentata il 9/4/2013.
La suddetta istanza era giustificata dalia cessazione dell’attività di commercio al dettaglio di confezioni per bambini da parte della società “N.R. di S.L. & C.R. s.n.c.” – della quale le ricorrenti erano socie al 50% – che era stata posta in liquidazione il 1/7/2005 e cancellata dal registro delle imprese il 18/11/2005.
Il diniego dell’Ufficio era, invece, fondato sull’esistenza di un carico erariale definitivamente accertato nei confronti della società di € 30.826,86 riveniente da un avviso di accertamento notificato alla società il 6/12/2008, per cui il rimborso del credito IVA doveva ritenersi sospeso per l’esistenza di un carico fiscale pendente.
Con il suddetto ricorso le ricorrenti insistevano sul proprio diritto al rimborso del credito IVA eccependo che, per effetto della riforma del diritto societario (D.Lgs. n. 6 del 2003) il legislatore ha fatto discendere l’estinzione della società dalla sua cancellazione con contestuale trasferimento delle obbligazioni e dei diritti societari in capo ai soci. Ne conseguiva, secondo le ricorrenti, l’illegittimità del rifiuto del rimborso poiché l’eccezione posta dall’Ufficio circa l’esistenza del debito di € 30.826,86 era inammissibile in quanto tale debito non era mai stato contestato direttamente alle interessate bensì soltanto alla società estinta.
Le ricorrenti, pertanto, chiedevano che l’Ufficio fosse condannato al pagamento della somma di € 9.703,00 a ciascuna di esse oltre agli interessi di legge. Con salvezza delle spese di giudizio.
Resisteva l’Ufficio con controdeduzioni con le quali sosteneva che la comunicazione del 23/4/2013 non costituiva provvedimento di diniego del rimborso bensì sospensione dello stesso fino alla compensazione volontaria dei carichi erariali, ai sensi dell’art. 28-ter D.P.R. n. 602/73, pendenti sulla società “N.R. di S.L. & C.R. s.n.c.” conseguenti alla definitività dell’accertamento per l’anno d’imposta 2003, impugnato dalla società con ricorso rigettato dalla C.T.P. di Bari con sentenza divenuta definitiva per inammissibilità dell’appello rilevata dalla C.T.R. Puglia per tardiva proposizione dello stesso.
L’Ufficio chiedeva, pertanto, il rigetto del ricorso e la conferma della sospensione del rimborso. Con vittoria delle spese di lite.
Con memorie illustrative, le ricorrenti eccepivano che dalla copia del Mod. VR/2006 la richiesta del rimborso del credito IVA dell’anno 2005 era stata fatta dalla socia S.L. e non dalla società. Contestavano, inoltre, che non era stata notificata né a loro né alla società alcuna sospensione il 13/5/2008 ed affermavano l’inesistenza dell’avviso di accertamento asseritamente notificato alla fine del 2008 alla società estinta già da tre anni, per cui lo stesso non poteva esser opposto alle ricorrenti. Né hanno rilievo le sentenze riferite al contenzioso avverso l’avviso di accertamento notificato alla società per l’anno d’imposta 2003 poiché il fatto che quell’accertamento sia stato impugnato non può riportare in vita la società estinta da tre anni e nei suoi confronti non poteva sorgere alcuna obbligazione tributaria.
All’udienza del 20/11/2014 la Commissione Tributaria Provinciale di Bari Sez. 6 accoglieva il ricorso e compensava le spese di giudizio.
Ritenevano i primi giudici che per effetto della cancellazione della società “N.R. di S.L. & C.R. s.n.c.” in data 18/11/2005 l’accertamento per l’anno 2003 era stato notificato ad una società inesistente perché estinta. E per consolidata giurisprudenza i creditori insoddisfatti possono rivalersi sui soci, per cui l’avviso di accertamento sarebbe stato valido solo se notificato singolarmente agli stessi in quanto tali. Quanto alla richiesta di rimborso, invece, la stessa è pienamente legittima perché avanzata dai singoli soci in nome della società estinta.
L’Ufficio ha proposto appello avverso la sentenza di primo grado lamentando travisamento dei fatti e difetto di motivazione non avendo proceduto a quella necessaria disamina delle risultanze di causa.
Sostiene l’Ufficio che oggetto del contendere non è un provvedimento di diniego o rifiuto bensì trattasi di una sospensione del rimborso del credito IVA subordinato alla presenza del carico fiscale di € 30.826,86 definitivamente accertato con sentenza nei confronti della “N.R. di S.L. & C.R. s.n.c.”.
Lamenta l’Ufficio, dunque, che i primi giudici hanno violato l’art. 112 c.p.c. circa la corrispondenza fra chiesto e pronunciato in quanto per un verso si sono pronunciati sull’accertamento nei confronti della società per l’anno 2003 che non è oggetto del presente giudizio e per altro verso hanno omesso di pronunciarsi sulla legittimità del provvedimento di sospensione del rimborso per l’esistenza di carichi pendenti divenuti definitivi.
Sostiene” l’Ufficio che la definitività dell’avviso di accertamento rende insuscettibili di esame tutte le eccezioni sollevate dalle contribuenti nel ricorso che non possono essere riproposte in questa sede.
Conclude l’Ufficio con la richiesta di riforma della sentenza impugnata e accoglimento dell’appello e la condanna delle soccombenti alle spese del doppio grado di giudizio.
Le contribuenti hanno depositato atto di controdeduzioni con le quali richiamano tutte le eccezioni già sollevate in primo grado ed eccepiscono l’ininfluenza della denominazione di diniego o rifiuto o di sospensione del rimborso dell’atto emesso dall’Ufficio ai fini della decisione dei primi giudici, poiché comunque il contenuto dell’atto espone chiaramente che l’Ufficio non può dar corso alla richiesta, il che equivale a negare/rifiutare il rimborso sull’errato presupposto di una compensazione fra un credito attribuibile alle contribuenti e un debito attribuibile alla società.
Eccepiscono, altresì, le appellate l’inammissibilità dell’appello tendente esclusivamente al mutamento letterale della motivazione della sentenza riferita alla sospensione invece che al rifiuto del rimborso, ferma restando la sostanza della sentenza stessa.
Rilevano ancora le contribuenti che la motivazione della sentenza impugnata è correttamente e logicamente motivata in base ai fatti di causa considerati, né essa può essere tacciata di ultrapetizione poiché i primi giudici hanno dovuto necessariamente valutare la legittimità sia delle domande proposte dalle ricorrenti che delle eccezioni avanzate dall’Ufficio riguardo all’accertamento eseguito nei confronti della società, al fine di rilevare che il rapporto credito-debito coinvolgeva diversi ed autonomi soggetti e la compensazione non avrebbe potuto mai aver luogo. Il che, secondo le appellate, rende l’appello basato su motivi vacui e inconsistenti.
Le contribuenti chiedono, pertanto, l’inammissibilità dell’appello e, in subordine, nel merito il rigetto dell’appello stesso e la condanna dell’Ufficio al rimborso del credito IVA e degli interessi come per legge e al pagamento sia delle spese di giudizio che di una somma a titolo di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.
Con successive memorie illustrative le contribuenti insistono sui motivi già esposti con le proprie controdeduzioni all’appello.
Le parti sono state ritualmente avvisate.
L’Ufficio ha chiesto la discussione in pubblica udienza alla quale è comparso, con delega, il Dott. M.C.
Per le contribuenti è presente il difensore costituito Avv. G.C.
MOTIVI DELLA SENTENZA
L’appello è infondato e va, pertanto, rigettato.
Rileva il collegio l’oziosità della questione posta dall’appellante circa il contenuto dell’atto impugnato che sarebbe di sospensione invece che di rifiuto di esecuzione del rimborso IVA richiesto dalle contribuenti. Ciò perché l’effetto pratico del provvedimento è stato la mancata effettuazione del rimborso che ha costituito oggetto della richiesta opposta dall’Ufficio, a nulla rilevando per quale motivo – giusto o errato che fosse – non è stata eseguita la restituzione.
Appare, poi, del tutto incomprensibile l’eccezione di mancata osservanza da parte dei primi giudici del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato poiché è stato lo stesso Ufficio a sollevare la questione relativa alla definitività dell’accertamento del reddito della società dal quale è scaturito il debito verso la stessa di imposte per € 30.826,86. Onde il riferimento alla legittimità o meno della pretesa del suddetto credito nei confronti delle ricorrenti era imprescindibile per la corretta interpretazione dei fatti e per la motivazione della sentenza.
Le eccezioni sollevate dall’Ufficio, dunque, appaiono pretestuose in quanto la dinamica dei fatti va letta alla luce della riforma del diritto societario avvenuta col D.Lgs. n. 6/2003 in virtù della quale, a decorrere dal 1° gennaio 2004, la cancellazione di una società dal registro delle imprese ha efficacia costitutiva, per cui la società non esiste più come soggetto giuridico capace di legittimazione attiva e passiva.
Ed infatti l’art. 2495, comma 2, C.C. dispone che “dopo la cancellazione della società i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi.
Appare, dunque, logica, nel caso concreto, anche se non determinante ai fini del giudicato, la semplice considerazione dei primi giudici che la società cancellata non poteva più essere destinataria di un avviso di accertamento, con l’ulteriore logica conseguenza della “cessazione della sua capacità processuale, il cui difetto originario è rilevabile di ufficio anche in sede di legittimità” (Cass. civ. Sez. V, 08-10-2014, n. 21188). Ma ciò al solo scopo di corroborare l’impossibilità di compensazione fra il credito IVA dei soci e il debito per imposte della società.
Orbene, per quanto sopra rilevato questo collegio, senza voler entrare nel merito della sentenza passata in giudicato che ha definito il debito erariale dovuto dalla società “N.R. di S.L. & C.R. s.n.c.” con riferimento all’esercizio d’imposta 2003, non può non rilevare che tale debito è sorto successivamente alla cancellazione della società stessa dal registro delle imprese e che lo stesso non è stato mai opposto ai soci della società così come previsto dal citato art. 2495 comma 2 C.C., per cui ritiene che il suddetto debito non possa essere oggetto di compensazione ex art. 28-ter DPR n. 602/73 in quanto riferito a soggetto giuridico, la società, comunque diverso dai soggetti persone fisiche delle Sig.re S. e C., le quali, invece, hanno richiesto il rimborso del credito IVA nella loro qualità di socie della società estinta.
Allo stato degli atti, dunque, tale credito del quale l’Ufficio non ha sollevato nel merito alcuna eccezione circa la legittimità, non può essere assoggettato ad alcuna restrizione, neanche sospensiva, per effetto di inesistenti rapporti di compensazione fra debito della società e credito delle socie e deve essere rimborsato alle aventi diritto aumentato degli interessi di legge.
La peculiarità dei profili esaminati giustifica la mancata adesione alla richiesta di condanna della parte soccombente al pagamento di una somma a titolo di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.
P.T.M.
La Commissione Sez. 13 così provvede:
1) Rigetta l’appello e conferma la sentenza impugnata.
2) Condanna l’Ufficio al pagamento delle spese di giudizio che determina in € 2.000,00 oltre accessori di legge.