Corte di Cassazione, ordinanza n. 20016 depositata il 13 luglio 2023
legittimazione ad agire dell’ex liquidatore – estinzione della società e fenomeno successorio nei confronti dei soci
RITENUTO CHE
1. La società F.A. s.r.l. aveva presentato, in data 24 febbraio 2012, la dichiarazione Iva per l’anno 2011, con un credito di euro 173,00, richiesto a rimborso per la cessazione dell’attività, con cancellazione dal registro delle imprese, avvenuta in data 4 giugno 2012, che era stato oggetto di provvedimento di diniego.
2. La Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria, adita con ricorso da G.F., nella qualità di liquidatore e rappresentante legale della società, aveva accolto il ricorso.
3. La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, rilevando che il ricorso avverso il diniego di rimborso era stato proposto dall’ex liquidatore della società sia nella qualità di liquidatore della società ormai cessata, sia quale mandatario dei due soci della Foto Tarsia s.r.l. in virtù del mandato in tal senso ricevuto con apposita deliberazione dei detti soci in sede di assemblea del 20 dicembre 2011 nella quale era stato approvato il bilancio definitivo in vista della cancellazione.
4. I giudici di secondo grado, dunque, affermavano la legittimazione a proporre l’impugnazione dei due soci, verificandosi a seguito della cancellazione della società una successione dei soci nei rapporti attivi e passivi ancora pendenti e non definitivamente chiusi all’atto della cancellazione dall’Albo delle Imprese, per come si ricavava dall’art. 2495, secondo comma, cod. civ. (che prevedeva il diritto dei creditori di agire contro i soci per il recupero dei loro crediti residui verso la cessata società, sia pure nei limiti di quanto ad essi soci pervenuto in seguito alla liquidazione dei beni sociali) e dall’art. 30, comma primo, del d.P.R. n. 633/1972 (che prevedeva la possibilità di chiedere il rimborso delle eccedenze versate in caso di cessazione di attività).
5. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato ad un unico motivo.
6. G.F., già liquidatore e legale rappresentante della società F.A. s.r.l., in liquidazione, e la società B.E. s.r.l., socio successore della società F.A. s.r.l. resistono con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1. In via preliminare va disattesa la richiesta di riunione formulata dall’Agenzia delle Entrate, a 7 del ricorso per cassazione, fondata sulla sussistenza di un’ipotesi di connessione oggettiva impropria (decisione di più cause dipendenti dalla soluzione di identiche questioni di diritto), che richiede da un lato lo svolgimento contemporaneo di più cause dinanzi allo stesso giudice (collegamento processuale) e dall’altro che unica sia la sentenza che chiuda il simultaneo processo (collegamento materiale) (cfr. Cass., 3 giugno 1950, n. 1375), presupposti, nel caso in esame, mancanti.
2. In via gradatamente preliminare va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso ex 360 bis n. 1 cod. proc. civ, sollevata dalla parte controricorrente, posto che l’onere di indicare nel ricorso la contrarietà dell’impugnata sentenza alla conforme giurisprudenza di legittimità, previa esatta individuazione delle decisioni e degli argomenti sui quali l’orientamento contestato si fonderebbe sussiste solo nell’ipotesi di una giurisprudenza di legittimità consolidata nella materia oggetto di controversia, contraria alla tesi della parte ricorrente (Cass., 2 agosto 2017, n. 19190), che è circostanza nella specie insussistente.
3. In via ulteriormente preliminare va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso ex art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., sollevata dalla parte controricorrente, non essendo stato disatteso, nel caso in esame, l’onere previsto dall’art. 366, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., che impone alla parte ricorrente, nel giudizio di cassazione, trattandosi di rimedio a critica vincolata, l’indicazione di motivi aventi caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata e di indicare puntualmente le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente ad indicare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, (Cass., U., 28 ottobre 2020, n. 23745; Cass., 24 febbraio 2020, n. 4905).
4. Il primo ed unico motivo deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2495 cod. civ. (novellato dal decreto legislativo n. 6/2003), dell’art. 30 del d.P.R. n. 633/1972, in relazione all’art. 360, primo comma, 3, cod. proc. civ.. La sentenza impugnata era stata emessa in violazione dell’art. 2495 cod. civ. L’impugnazione del diniego del rimborso IVA anno 2011, per l’importo di euro 20.173,00 , emesso e notificato in data 21 maggio 2014 dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio Territoriale di Reggio Calabria, non era stata proposta dai soci della società, ma dalla società F.A. s.r.l., oramai estinta da ben due anni. Né era legittimato l’ex liquidatore della società ormai estinta, nella qualità di mandatario dei due soci «in virtù del mandato in tal senso ricevuto con apposita deliberazione dei detti soci in sede di assemblea del 20 dicembre 2011 nella quale è stato approvato il bilancio definitivo in vista della cancellazione». Era pacificamente riconosciuta dai giudici di legittimità la circostanza secondo la quale a seguito dell’estinzione della società l’azione intrapresa dall’ex liquidatore della società era da ritenersi assolutamente illegittima e, a tal fine, non si poteva ritenere che la delega contenuta nel bilancio di liquidazione potesse consentire all’ex liquidatore di intraprendere un’azione giudiziaria così da superare il dettato normativo. L’azione avrebbe dovuto essere proposta dagli ex soci ma, come risultava dagli atti del processo, e diversamente da quanto affermato dalla Commissione tributaria regionale, non era stata proposta da questi, nemmeno unitamente all’ex liquidatore della società, ma solo dall’ex liquidatore. Risultava, pertanto, violato o falsamente applicato l’art. 2495 cod. civ. in relazione all’articolo 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. e, per tale ragione, la sentenza doveva essere cassata.
4.1 Il motivo è fondato.
4.2 Va rilevato che le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la cancellazione della società dal registro delle imprese ne determina ipso facto l’estinzione, avendo assunto la formalità della cancellazione a seguito della vicenda riformatrice la medesima efficacia costitutiva che per le società di capitali riveste la formalità dell’iscrizione, e ciò, con un significativo mutamento di rotta rispetto all’orientamento giurisprudenziale prevalente sino ad allora, ed indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti giuridici ad essa facenti capo (Cass., U., 22 febbraio 2010, nn. 4060, 4061 e 4062).
4.3 Inoltre, è stato ripetutamente chiarito, con riferimento sia a diverse tipologie di enti collettivi (società di capitali, società di persone, associazioni non riconosciute) che a diverse tipologie di atti (avvisi di accertamento, cartelle di pagamento), che «in tema di contenzioso tributario, la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento e dell’instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto della sua capacità processuale e il difetto di legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore, sicché eliminandosi ogni possibilità di prosecuzione dell’azione, consegue l’annullamento senza rinvio ex art. 382 c.p.c., della sentenza impugnata con ricorso per cassazione, ricorrendo un vizio insanabile originario del processo, che avrebbe dovuto condurre da subito ad una pronuncia declinatoria di merito, trattandosi di impugnazione “improponibile”, poiché l’inesistenza del ricorrente è rilevabile anche d’ufficio non essendovi spazio per ulteriori valutazioni circa la sorte dell’atto impugnato, proprio per il fatto di essere stato emesso nei confronti di un soggetto già estinto» (Cass., 19 settembre 2019, n. 23365; Cass., 15 giugno 2018, n. 15844; Cass., 23 marzo 2016, n. 5736).
4.4 Le Sezioni Unite, invero, hanno ulteriormente precisato che, a seguito dell’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, che interviene nel processo (e così non è nel caso in esame), viene a determinarsi un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono (il che sacrificherebbe ingiustamente i diritti dei creditori sociali), ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate. Ne discende che i soci peculiari successori della società, subentrano, altresì, nella legittimazione processuale facente capo all’ente — la cui estinzione è in parte equiparabile alla morte della persona fisica, ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ. — in situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, ovverosia a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale (Cass., Sez. U., 12 marzo 2013, nn. 6070, 6071 e 6072).
In particolare, le Sezioni Unite richiamate hanno affermato che, dopo la riforma del diritto societario, attuata dal decreto legislativo n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo (Cass., Sez. U., 12 marzo 2013, nn. 6070, citata).
Più di recente, avuto riguardo alla vicenda in esame, che ha ad oggetto un’istanza di rimborso di un credito Iva per cessazione attività, questa Corte ha affermato che in tema di legittimazione ad agire degli ex soci di società di capitali estinta, per i rapporti facenti capo a questa ed ancora pendenti dopo la cancellazione dal registro delle imprese si determina un fenomeno successorio rispetto al quale occorre distinguere: se l’ex socio agisce per un debito della società estinta, non definito in sede di liquidazione, la successione interessa tutti i soci esistenti al momento della cancellazione, posto che essi succedono nei rapporti debitori già facenti capo alla società, sicché sussiste un litisconsorzio di natura processuale e tutti i soci debbono essere chiamati in giudizio, ciascuno quale successore della società e nei limiti della propria quota di partecipazione; se invece l’ex socio agisce per un credito della società estinta, pur rimanendo immutato il meccanismo successorio, la mancata liquidazione comporta soltanto che si instaurerà tra i soci medesimi un regime di contitolarità o comunione indivisa, onde anche la relativa gestione ne seguirà il regime proprio, con esclusione del litisconsorzio (Cass., 4 luglio 20018, n. 17492; Cass., 11 giugno 2019, n. 15637).
4.5 Ciò posto, il profilo preso in considerazione dalla Commissione tributaria regionale investe da un lato la problematica della legitimatio ad causam del ricorrente e, dunque, della titolarità del potere di promuovere (o subire) un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto nel giudizio e dall’altro declina tale problematica sul versante (del tutto diverso) dell’effettiva titolarità del rapporto controverso nel processo (profilo che attiene al mandato che sarebbe stato conferito dai soci nell’assemblea del 20 dicembre 2011, da cui la conclusione che il ricorrente era soggetto legittimato a ricevere il rimborso del credito, sia quale ex liquidatore della società ormai cessata, sia quale mandatario dei due soci della Foto Altamonte r.l.. Più in particolare, i giudici di secondo grado, pur avendo affermato che doveva ritenersi del tutto pacifico che la società F.A. s.r.l. (e non già per come erroneamente indicato, a pag. 2 della sentenza impugnata, la società Foto Tarsia s.r.l.) fosse estinta al momento della proposizione del ricorso introduttivo del giudizio, hanno, poi, ritenuto, erroneamente, la legittimazione dell’ex liquidatore della società perché questi aveva agito nella duplice veste di liquidatore della società oramai cessata (poiché, in tale veste, per quanto diffusamente rilevato, non aveva alcuna legittimazione) e di mandatario dei due soci della società Foto Altamonte s.r.l., in virtù del mandato in tal senso ricevuto con apposita deliberazione dei detti soci in sede di assemblea del 20 dicembre 2011; con tale mandato, per come si legge a pag. 5 del controricorso, i soci avevano conferito al liquidatore la facoltà, qualora necessario, di agire per il recupero dei crediti residui risultanti dal piano di riparto finale e vantati verso l’erario per Iva e verso soci e di agire e resistere in giudizio in nome e per conto della società cessata e dei soci della medesima nelle controversie derivanti da richieste avanzate da terzi a qualsiasi titolo; ciò posto, in disparte un difetto di autosufficienza della censura con specifico riferimento al contenuto del mandato di cui all’assemblea del 20 dicembre 2011, quel che assume specifica rilevanza, nel caso in esame, per come si ricava dalla lettura di pag. 9 del ricorso per cassazione (dove è trascritta l’intestazione del ricorso di primo grado), è che il ricorso è stato presentato da G.F., nella sola qualità di legale rappresentante della società F.A. s.r.l. e che questi non ha mai speso la qualità di mandatario dei soci della società cessata, ciò che invece era necessario in ragione del diverso profilo dell’effettiva titolarità del rapporto controverso nel giudizio (che implica, peraltro, un’eccezione di merito che deve essere rilevata dalla parte che vi abbia interesse), rispetto alla legittimazione processuale, che rileva sul diverso piano della titolarità del potere di promuovere il giudizio, il cui difetto è rilevabile anche d’ufficio.
4.5.1 Giova richiamare, al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte secondo cui «La legittimazione ad agire e contraddire deve essere accertata in relazione non alla sua sussistenza effettiva ma alla sua affermazione con l’atto introduttivo del giudizio, nell’ambito d’una preliminare valutazione formale dell’ipotetica accoglibilità della domanda. Tale accertamento, pertanto, deve rivolgersi alla coincidenza, dal lato attivo, tra il soggetto che propone la domanda ed il soggetto che nella domanda stessa è affermato titolare del diritto e, da quello passivo, tra il soggetto contro il quale la domanda è proposta e quello che nella domanda è affermato soggetto passivo del diritto o comunque violatore di quel diritto. Inoltre, il difetto della relativa allegazione e dimostrazione, in quanto attinente alla regolare costituzione del contraddittorio e, quindi, disciplinata da inderogabile norma di diritto pubblico processuale, è rilevabile anche di ufficio. Invece, l’accertamento dell’effettiva titolarità del rapporto controverso, così dal lato attivo come da quello passivo, attiene al merito della causa, investendo i concreti requisiti d’accoglibilità della domanda e, quindi, la sua fondatezza» (cfr. Cass., 6 marzo 2008, n. 6132).
4.5.2 Così, nella specie, da un lato il ricorrente non aveva la legittimazione ad agire quale ex liquidatore della società cessata e dall’altro non ha agito quale mandatario dei soci della società cessata, con la conseguenza che il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado doveva essere dichiarato inammissibile.
5. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso dell’Agenzia delle Entrate va accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, con il rigetto del ricorso proposto G.F., quale legale rappresentante della società F.A. s.r.l., avverso il provvedimento di diniego del rimborso Iva, anno 2011, notificato in data 21 maggio 2014.
5.1 Il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate, mentre le spese processuali dei giudizi di merito vanno compensate tenuto conto della peculiarità della vicenda.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso proposto da G.F., quale legale rappresentante della società F.A. s.r.l., avverso il provvedimento di diniego del rimborso Iva, anno 2011, notificato in data 21 maggio 2014.
Compensa le spese processuali dei giudizi di merito e condanna G. F., nella qualità, al pagamento delle spese processuali, in favore dell’Agenzia delle Entrate, che liquida nella misura di euro 2.900,00, oltre le spese prenotate a debito.