CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 giugno 2019, n. 16721
Tributi – Accertamento – Reddito d’impresa – Rideterminazione – Società estinta
Rilevato che
1. B.S., già liquidatore della F. s.r.I., ricorre con un unico motivo contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n.134/05/12 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (di seguito C.T.R.), depositata il 4/12/2012 e non notificata, che ha rigettato l’appello della ricorrente, in proprio e quale ex liquidatrice della società, confermando la sentenza della C.T.P. di Milano, sfavorevole alla società contribuente, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’avviso di accertamento di maggiori Iva ed Irap per l’anno di imposta 2004, con cui l’Amministrazione Finanziaria aveva accertato a carico della società l’indebita deduzione di costi privi dei requisiti di cui all’art. 109 del T.u.i.r.;
2. con la sentenza impugnata, la C.T.R., sul presupposto che l’avviso di accertamento rivolto alla società, ormai cancellata ed estinta, fosse stato correttamente notificato alla ex liquidatrice, nel merito ha rigettato l’appello della contribuente, ritenendo la fondatezza della pretesa tributaria;
3. a seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale condizionato;
4. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 9 aprile 2019, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;
Considerato che
1.1. la fattispecie in esame trae origine dalla notifica, in data 4 settembre 2009, alla sig. S., in qualità di ex liquidatrice, dell’avviso di accertamento, con cui l’Agenzia delle Entrate rideterminava il reddito di impresa dell’anno 2004 nei confronti della società F. s.r.I., la cui cancellazione dal registro delle imprese era stata annotata in data 15 ottobre 2007;
con l’unico motivo del ricorso principale, la ricorrente denunzia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2495 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n.3, c.p.c.;
la ricorrente sig. S. deduce che la sentenza della C.T.R., che ha ritenuto correttamente notificato l’avviso di accertamento rivolto alla società ormai estinta presso la ex liquidatrice, abbia violato il disposto dell’art. 2495 c.c.;
con il ricorso incidentale condizionato, l’Agenzia delle Entrate, a sua volta, denunzia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 53 d.lgs. n. 546/92, in relazione all’art.360, comma 1, n.4, c.p.c.; la ricorrente incidentale, deduce l’inammissibilità del ricorso in appello di controparte, per difetto del requisito di specificità dei motivi;
1.2. preliminare all’esame dei motivi di ricorso principale ed incidentale che rimangono così assorbiti appare il rilievo dell’improponibilità ab origine del ricorso presentato dal liquidatore della società;
è opportuno premettere che ai sensi dell’art. 2495 c.c. “approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società”;
con riguardo all’effetto estintivo delle società (di persone e di capitali) conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese in base alla riforma del diritto societario attuata dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, il successivo “D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175, art. 28, comma 4, in quanto recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità delle società cancellate dal registro delle imprese, non ha valenza interpretativa (neppure implicita) né efficacia retroattiva, sicché il differimento quinquennale degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’art. 2495 c.c., comma 2 — operante nei confronti soltanto dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione indicati nello stesso comma, con riguardo a tributi o contributi — si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese (che costituisce il presupposto di tale differimento) sia presentata nella vigenza della nuova disciplina di detto D.Lgs., ossia il 13 dicembre 2014, o successivamente” (Cass. n. 17791/2016);
come rilevato dalle Sezioni Unite di questa Corte, “dopo la riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali” (Cass. S.U. sent. n. 6070/2013);
nel caso di specie, costituisce circostanza incontestata che il ricorso originario avverso l’avviso di accertamento, emesso nei confronti della società per l’anno d’imposta 2004, è stato notificato nel 2009 all’ex liquidatore, dopo la cancellazione della società avvenuta nel 2007;
l’avviso di accertamento, emesso nei confronti della società ormai estinta, è stato impugnato dall’ex liquidatore, il quale non ha legittimazione in proprio, poichè non è il destinatario dell’avviso di accertamento, nè può agire nell’interesse della società, non più esistente;
va puntualizzato che nemmeno l’avviso di accertamento poteva essere emesso a carico della società, ormai inesistente, con la conseguenza che, ancorché l’ex liquidatore non avesse eventualmente impugnato il medesimo, nessun pregiudizio poteva comunque derivarne, atteso che alcuna esecuzione forzata era possibile promuovere a carico della società estinta; come è stato detto, “in tema di contenzioso tributario, la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento e dell’instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto della sua capacità processuale e il difetto di legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore, sicché, eliminandosi ogni possibilità di prosecuzione dell’azione, consegue l’annullamento senza rinvio, ex art. 382 c.p.c., della sentenza impugnata con ricorso per cassazione, ricorrendo un vizio insanabile originario del processo, che avrebbe dovuto condurre da subito ad una pronuncia declinatoria di merito” (Sez. 5, Sentenza n. 5736 del 23/03/2016; vedi anche Sez. 5, Ordinanza n. 33278 del 21/12/2018; Cass. n. 21125/2018; Cass. sent. n. 13/28187 );
l’inesistenza del ricorrente è rilevabile anche d’ufficio (Cass. sez. V, 5736/16, 20252/15, 21188/14), non essendovi spazio per ulteriori valutazioni circa la sorte dell’atto impugnato, proprio per il fatto di essere stato emesso nei confronti di un soggetto già estinto (Cass. sez. VI-5, 19142/16; v. anche Cass. sez. V, 2444/17, per l’inesistenza del ricorso proposto da una società estinta; conf., a contrario, Cass. sez. V, 4786/17);
in conclusione, nella fattispecie in esame il ricorso presentato dal liquidatore della società era ab origine improcedibile (e la pretesa creditoria nei confronti di quest’ultima era inammissibile), perché la società risultava cancellata ed estinta ancor prima della notifica dell’avviso di accertamento, che è stato impugnato dalla ricorrente;
l’accertamento del difetto di legitimatio ad causam, secondo giurisprudenza costante, comporta, a norma dell’art. 382 c.p.c., comma 3, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Cass. n. 22863/2011; n. 14266/2006; n. 2517/2000);
le spese processuali dell’intero giudizio vanno compensate, per il consolidarsi soltanto in corso di causa dell’orientamento di legittimità in materia;
sussistono i requisiti per porre a carico della ricorrente principale il pagamento del doppio contributo, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012;
P.Q.M.
decidendo sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e compensa tra le parti le spese di lite;
sussistono i requisiti per porre a carico della ricorrente principale il pagamento del doppio contributo, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012.