COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Friuli Venezia-Giulia sentenza n. 30 sez. 1 depositata il 28 gennaio 2016
Massima
La CTR friulana si è pronunciata su un caso riguardante una istanza di rimborso delle somme versate a titolo di IRAP presentata da una società calcistica che riteneva non assoggettabili a IRAP le plusvalenze nette conseguite in sede di cessione di contratti di prestazioni sportive di alcuni calciatori.
Il collegio, nel ritenere infondata la tesi della contribuente e, dunque, della Federazione Italiana Giuoco Calcio, al cui orientamento la stessa si era uniformata, cita la recentissima sentenza n. 24588/2015 della Corte di Cassazione che ha confermato l’imponibilità ai fini IRAP delle plusvalenze derivanti dalla cessione di calciatori e di diritti di compartecipazione da parte delle società sportive professionistiche.
I giudici condividono, infine, anche il parere n. 5285/2012 del Consiglio di Stato, il quale aveva rilevato che, con la cessione del contratto, si trasferisce il diritto all’uso esclusivo della prestazione dell’atleta verso corrispettivo, diritto integrante un bene immateriale strumentale all’esercizio dell’impresa anche sul piano tributario.
La “A” presentava all’Agenzia delle Entrate di Udine istanza di rimborso delle somme versate a titolo di IRAP in relazione alle plusvalenze nette conseguite in sede di cessione di contratti di prestazioni sportive di alcuni calciatori. Formatosi il silenzio rifiuto la Società proponeva ricorso alla competente Commissione Tributaria Provinciale di Udine assumendo che le cessioni in parola avrebbero avuto quale oggetto non la cessione di un contratto di lavoro ma il diritto di ottenere dalla società cedente la risoluzione anticipata del precedente contratto, diritto integrante la condizione necessaria per permettere la stipula di un nuovo contratto con il giocatore. Ne conseguiva che il provente realizzato non costituirebbe plusvalenza da cessione di beni immateriali strumentali e come tali non assoggettabili ad IRAP.
Si costituiva in giudizio l’Ufficio controdeducendo e concludendo per il rigetto del ricorso e la rifusione delle spese di lite .
I giudici di primo grado rigettavano il ricorso e condannavano la Società alla rifusione delle spese di lite.
Ha quindi proposto appello la Società contribuente concludendo per l’integrale riforma della pronuncia di primo grado con vittoria di spese di lite.
Resiste l’Ufficio costituendosi in giudizio e concludendo per il rigetto dell’appello e la conferma della pronuncia di primo grado con vittoria di spese di lite.
La vertenza è trattata in pubblica udienza.
L’appello è infondato.
Osserva il Collegio che con la sentenza n. 24588/2015, la Corte di Cassazione conferma l’imponibilità, ai fini IRAP, delle plusvalenze derivanti dalla cessione di calciatori e di diritti di compartecipazione da parte delle società sportive professionistiche, Viene, in tal modo avallato l’orientamento espresso dall’ Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 213/2001, dal Consiglio di Stato con il parere n. 5285/2012 e da parte della giurisprudenza (tra le ultime, C.T. Prov. Torino n. 1346/3/14). Per riepilogare brevemente i termini del problema si ricorda che con la risoluzione n. 213/2001, l’Agenzia delle Entrate aveva chiarito che le plusvalenze derivanti dalla cessione del contratto di prestazione sportiva dei calciatori concorrono alla determinazione della base imponibile IRAP, dal momento che, attraverso la cessione del contratto, viene trasferito il diritto all’utilizzo esclusivo della prestazione dell’atleta. Tale diritto rappresenta un bene immateriale strumentale, appartenente alla gestione ordinaria dell’impresa e, come tale, rilevante ai fini IRAP.
Nel documento di prassi, l’Amministrazione finanziaria sconfessa esplicitamente la tesi della Federazione italiana gioco calcio (FIGC), che si era espressa per la non imponibilità delle plusvalenze in esame.
Inoltre, la risoluzione n. 213/2001 ha affermato che le società che si sono uniformate all’orientamento della FIGC, non assoggettando al tributo regionale i componenti reddituali in oggetto, non possono “invocare, ai fini della disapplicazione delle sanzioni, la causa di non punibilità consistente nell’errore sul fatto o sull’obiettiva condizione di incertezza della portata della norma”.
Infatti, come rilevato dall’Agenzia delle Entrate, l’applicazione di tale disposizione “presuppone l’assunzione di comportamenti comunque ispirati alla normale diligenza da parte del contribuente”. Tale circostanza “non ricorre necessariamente per il semplice fatto di aver uniformato il proprio comportamento alle indicazioni dell’associazione della categoria di appartenenza”.
Nonostante la presa di posizione dell’ Agenzia, nel corso degli anni la questione è apparsa tutt’altro che pacifica. Secondo parte della dottrina, la cessione del contratto di un atleta professionista rappresenta, per la società cessionaria, un suo diritto a che la cedente risolva il contratto che la lega all’atleta. Tale diritto, pur rappresentando ontologicamente un bene, non è “strumentale” e, come tale, risulta irrilevante ai fini IRAP. A tale tesi, si sono uniformare anche alcune sentenze di merito.
Tuttavia, con il parere n. 5285/2012 qui condiviso, il Consiglio di Stato si è espresso in senso conforme all’Amministrazione finanziaria, rilevando che, con la cessione del contratto, viene trasferito il diritto all’utilizzo esclusivo della prestazione dell’atleta verso corrispettivo, diritto integrante un bene immateriale strumentale all’esercizio dell’ impresa, sia sul piano tributario, poiché ammortizzabile, sia su quello civilistico, in quanto necessario per il conseguimento dell’oggetto sociale.
In conclusione la sentenza di primo grado va confermata.
Relativamente alle spese di lite del presente grado di giudizio vanno integralmente compensate avuto riguardo dei contrasti giurisprudenziali.
Nel caso di specie, infatti, proprio a fronte dci citati contrasti giurisprudenziali, la Cassazione con la citata sentenza ritiene sussistente l’esimente dell’obiettiva incertezza normativa, consistente in una “condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata, e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione”.
Rigetta l’appello della società e conferma l’impugnata sentenza.
Compensa interamente fra le Parti le spese del presente grado di giudizio.
Così deciso in Trieste, 1.12.2015.
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