COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Friuli Venezia Giulia sez. 4 sentenza n. 123 depositata il 24 maggio 2017
Con sentenza n. 466/03/2014, emessa il 6.7.2014 e depositata il 9.10.2014, la Commissione Tributaria Provinciale di Udine ha respinto i ricorsi (salvo per quanto concerne le sanzioni irrogate, che venivano annullate, con compensazione delle spese) con cui la ” A ” srl, allora in liquidazione e quindi fallita, aveva impugnato gli Avvisi di Accertamento n. TI9030300050/2012 relativo a IVA/2009 (R.G.R. n. 301/12) e n. TI9030XXXX1/2012 relativo a IVA/2010 (R.G.R. n. 302/2012) emessi dalla Direzione Provinciale di Udine della Agenzia delle Entrate, dopo aver ordinato alla ricorrente l’integrazione del contraddittorio mediante la chiamata in causa: a) della Azienda ” B “; b) della Azienda ” C “; c) della Azienda ” D “, tutte socie e committenti della ” A ” srl ed in seguito alla chiamata intervenute in causa associandosi alle domande della medesima.
Gli avvisi di accertamento avevano negato alla ” A ” srl la non imponibilità ai fini IVA delle prestazioni di servizi di assistenza diretta, di assistenza infermieristica e di supporto alla persona rese a favore delle tre aziende in causa. Nelle proprie fatture la ” A ” srl aveva invocato la non imponibilità prevista dall’art. 10, n. 21, del DPR n. 633/72, ma gli avvisi contestavano l’applicabilità di tale esenzione, ritenendo che la non imponibilità dell’IVA, relativamente alle prestazioni proprie dei brefotrofi, orfanotrofi, asili, case di riposo per anziani e simili, comprese le somministrazioni di vitto, indumenti e medicinali, le prestazioni curative e le altre prestazioni aventi natura accessoria, richiedesse che le prestazioni in questione fossero svolte nell’ambito di una gestione globale di una casa di riposo o asilo, mentre nel caso di specie la società accertata si era limitata ad effettuare alcune prestazioni specifiche.
Contestualmente all’emissione degli avvisi nei confronti della ” A ” srl, l’Agenzia delle Entrate ha emesso atti di irrogazione delle sanzioni nei confronti delle tre aziende pubbliche chiamate in causa, che avevano ricevuto le prestazioni, per l’omessa regolarizzazione delle fatture d’acquisto. Impugnati questi atti davanti alla CTP di Udine, i giudici di primo grado hanno accolti i relativi ricorsi.
La decisione della Commissione Provinciale espone le vicende di causa rifacendosi al contenuto degli avvisi, precisando che:
- la ” A ” srl era stata costituita della Azienda ” B ” affinché gestisse la sua casa albergo per anziani autosufficienti “Omissis”;
- in seguito, la ” A ” srl aveva ricevuto in affidamento dell’Azienda ” B ” l’esecuzione di alcuni servizi socio-assistenziali e sanitari e collaterali di assistenza e cura della persona a favore di soggetti non autosufficienti con patologie croniche plurime ed invalidanti accolti presso alcuni reparti della casa albergo;
- successivamente, la ” A ” srl aveva ricevuto analoghi affidamenti dalla Azienda ” C ” e dalla Azienda ” D “, che avevano acquisto il 5% delle sue quote;
- la ” A ” srl era sempre stata una società ad intera partecipazione pubblica;
- nel 2006 le tre Aziende (” B “,” C ” e ” D “), socie della ” A “, avevano sottoscritto dei patti para-sociali, con la validità di cinque anni, dai quali risulta l’impegno al reinvestimento in attività sociali degli eventuali utili della ” A “;
- la ” B “e le altre due Aziende operavano secondo le disposizioni (di riordino del sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) di cui all’art. 6, comma 3, del D. Lgs. n. 207 del 2001, e di cui alla legge regionale n. 19/2003;
- per le prestazioni rese alle tre Aziende (” B “,” C ” e ” D “), la ” A ” srl aveva emesso fatture in esenzione IVA, ex art 10, n. 21 del DPR 633 del 1972; in alcune di queste fatture vi era la dizione “Diaria per prestazioni per servizi di assistenza diretta, di assistenza infermieristica e di supporto alla persona, c/o la Vs. struttura…”, mentre altre si riferivano a “Diaria per prestazioni c/o vostra struttura…”.
- l’Azienda ” A “, nel 2002, aveva comunicato all’Agenzia delle Entrate di Udine di avere “disposto di affidare ..alla propria società a responsabilità limitata ” A ” srl nell’ambito delle sue strutture concesse in comodato e/o in locazione alla ” A ” stessa varie prestazioni socio sanitarie, quali quelle infermieristiche, di assistenza diretta alla persona, fisioterapiche.
In questo contesto fattuale, l’Agenzia, negli atti di accertamento, ha negato l’esenzione dall’IVA ex art. 10, n. 21, DPR n. 633/72 perché questa è applicabile solo per le prestazioni proprie delle case di riposo per anziani, dovendosi intendere per prestazione “propria” la fornitura di alloggi a determinati soggetti e non anche la fornitura di prestazioni accessorie; né sarebbe invocabile l’esenzione di cui al successivo n. 27 ter dell’art. 10 del decreto sull’IVA, dato che si tratterebbe di prestazioni rese da un soggetto, ” A ” srl, diverso da quello individuato dalla norma in parola.
I primi giudici, dopo aver respinto il motivo di ricorso che per l’anno 2010 chiedeva l’annullamento dell’avviso per mancata osservanza del termine dilatorio di 60 giorni tra il processo verbale di consegna dei documenti e la notifica dell’avviso di accertamento, hanno negato, nel merito, il diritto all’esenzione dall’IVA. Con riferimento al n. 27 ter dell’art.10, hanno rilevato, da una parte, che i soggetti anziani che beneficiavano direttamente delle prestazioni della ” A ” srl erano diversi dalle tre Aziende, destinatarie delle fatture; dall’altra, che la complessiva attività della “A” srl era un’attività commerciale in concorrenza con altre imprese operanti nel settore, tanto è vero che le prestazioni effettuate da ” A ” srl presso la casa albergo “omissis” venivano fatturate con IVA. Con riferimento al n. 21 dello stesso articolo, la sentenza di primo grado ha osservato che le prestazioni accessorie fornite dalla ” A ” srl non erano legate ad una sua complessiva gestione delle case di riposo per anziani.
L’Agenzia delle Entrate ha impugnato questa sentenza con ricorso in appello depositato il 16.4.2015, chiedendo la riforma della sentenza di primo grado nel punto in cui ha annullato le sanzioni, con vittoria di spese del doppio grado. Il Fallimento della ” A ” srl, e le tre Aziende, hanno depositato una memoria di costituzione con appello incidentale il 26.5.2015, in cui si chiede la riforma della sentenza impugnata nei capi relativi alla intempestività dell’emanazione dell’avviso relativo al 2010 ed alla fondatezza della pretesa sull’IVA, ed in ogni caso il rigetto dell’appello principale sulle sanzioni. Con il motivo dell’appello incidentale concernente l’esenzione dall’IVA delle prestazioni effettuate dall’appellante alle tre Aziende la pronuncia impugnata viene censurata per l’interpretazione sia del n. 27 ter dell’art. 10 del decreto sull’IVA sia del n. 21 dell’art. 10 dello stesso decreto.
Quanto alla prima norma, ” A ” srl sostiene che tra gli “enti aventi finalità di assistenza sociale” che effettuano “prestazioni socio-sanitarie …in comunità e simili”, in favore di anziani e numerosi altri soggetti deboli ivi indicati, beneficiando dell’esenzione dall’IVA, rientrino anche le società commerciali costituite e controllate da enti pubblici per svolgere, secondo previsioni di legge, attività socio-sanitarie analoghe a quelle effettuate dall’ente pubblico che le ha costituite e le controlla, dato che, delineando questo modo di erogazione delle prestazioni in parola, basato sul modello dell’ “in house providing”, il legislatore avrebbe riconosciuto la precipua funzione socio-assistenziale svolta da tali società, le quali , in virtù del controllo dell’ente pubblico, diverrebbero strutture operative di quest’ultimo, perdendo la propria connotazione privatistica ed identificandosi totalmente con i fini istituzionali dell’ente. Quanto alla seconda norma, l’appellante ritiene di rientrare nell’ambito dell’esenzione, dato che il n. 21 dell’art. 10 si riferisce alle prestazioni proprie delle case di riposo, ricomprendendo tutte le prestazioni di servizi socio-sanitari ed assistenziali rese nell’ambito delle case di riposo, comprese quelle accessorie, a prescindere dalla circostanza che tali prestazioni siano rese dal medesimo soggetto che gestisce la casa di riposo.
Quest’ultime, nel corso del giudizio di secondo grado, hanno trovato un accordo transattivo con l’Agenzia, a spese compensate, e con riguardo ad esse deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere, proseguendo il giudizio solo tra l’Agenzia e la ” A ” srl.
La Commissione ritiene di dover esaminare per primi i motivi di appello proposti dalla società ” A ” srl, dato che il loro eventuale accoglimento porrebbe fine alla causa, rendendo inutile l’esame dell’appello dell’Agenzia.
Il primo motivo è infondato.
Pur essendo condivisibile, in quanto conforme ad un orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione, il rilievo della difesa di ” A ” srl per il quale nel caso di accertamenti che hanno per oggetto l’IVA, vale a dire un tributo armonizzato, è sempre necessario il contradditorio endoprocedimentale, è altrettanto vero che tale indirizzo precisa che la violazione dell’obbligo di tale contraddittorio comporta l’invalidità dell’atto di accertamento, anche in mancanza di una norma interna che la preveda, solo se “in giudizio il contribuente assolva l’onere di enunziare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto” (v. da ultimo Cass. S.U. 24823/2015; Cass. 17.8.2016, n. 17160). Nel caso di specie l’accertamento concerne l’IVA ed il contraddittorio endoprocedimentale non è stato attivato dall’Agenzia, ma la società contribuente non ha enunciato le ragioni che avrebbe potuto far valere prima dell’emissione degli avvisi e che avrebbero potuto risolvere subito la questione in suo favore.
Il secondo motivo d’appello è, invece, fondato e conduce alla riforma della sentenza appellata.
La Commissione Regionale, in vero, non ritiene di poter seguire i giudici di primo grado nella loro interpretazione della normativa che esclude dall’applicazione dell’IVA le operazioni di cui si discute nel presente procedimento.
Tra le operazioni esenti dall’IVA figurano, innanzitutto, quelle descritte dal n. 21 dell’art. 10 del DPR n. 633/1972, e cioè “le prestazioni proprie dei brefotrofi, orfanotrofi, asili, case di riposo per anziani e simili, delle colonie… degli alberghi ed ostelli della gioventù…, comprese le somministrazioni di vitto, indumenti e medicinali, le prestazioni curative e le altre prestazioni accessorie”. Nel caso di specie ” A ” srl effettuava prestazioni a favore di soggetti ospitati da case di riposo, ma per la sentenza impugnata, che sul punto segue le tesi dell’Agenzia delle Entrate, l’esenzione in parola concerne solo le prestazioni che siano svolte nell’ambito di una gestione globale di una casa dí riposo, mentre ” A ” srl si era limitata ad effettuare alcune prestazioni specifiche.
Per questa Commissione Regionale la limitazione introdotta dai primi giudici non trova fondamento alcuno né nella lettera della legge né nella sua ratio. Il legislatore interno, che sul punto è tenuto a seguire quello euro unitario, intende non aggravare dell’IVA il costo di prestazioni di assistenza sociale rese a favore di utenti non paganti in stato di particolare bisogno: se certe prestazioni, come, ad esempio, la somministrazione del vitto, non possono essere effettuate direttamente (o costano di meno se affidate a terzi) meritano comunque un trattamento fiscale di favore, perché vanno a sopperire alle prestazioni non rese dal gestore generale della casa di riposo.
La sentenza impugnata va riformata anche per ciò che concerne l’interpretazione della disposizione di cui al n. 27 ter dell’art. 10 del DPR n. 633/1972, che esenta dall’IVA le prestazioni socio-sanitarie, di assistenza domiciliare o ambulatoriale, in comunità e simili, in favore di anziani e numerosi altri soggetti deboli ivi indicati, “rese da organismi di diritto pubblico, da istituzioni sanitarie riconosciute che erogano assistenza pubblica… o da enti aventi finalità di assistenza sociale o da ONLUS”. Per i primi giudici nel caso di specie questa esenzione non poteva essere applicata perché la complessiva attività di ” A ” srl era un’attività commerciale svolta in concorrenza con altre imprese operanti nel settore. Per questa Commissione l’esenzione, invece, spetta, perché ” A ” srl può definirsi “ente con finalità di assistenza sociale”, qualifica che può essere attribuita, in relazione all’attività svolta ed alla loro configurazione specifica, anche a società commerciali che siano costituite e controllate da enti pubblici per svolgere, secondo previsioni di legge, attività socio-sanitarie analoghe a quelle effettuate dall’ente pubblico che le ha costituite e le controlla: con il sistema dell’ “in house providing”, infatti, queste società, in virtù del controllo dell’ente pubblico, diventano strutture operative di quest’ultimo, perdendo la propria connotazione privatistica ed identificandosi totalmente con i fini istituzionali dell’ente. Come ben chiarito nella sentenza n. 31/10/13 di questa Commissione Regionale, la legislazione nazionale italiana e quella della Regione Friuli Venezia Giulia hanno favorito la costituzione, da parte delle Aziende pubbliche di servizi alla persona, di società per la erogazione di servizi ed interventi sociali, come è successo per la ” A ” srl; e nel caso di specie a quest’ultima dovevano essere attribuite le caratteristiche sostanziali di un ente con carattere sociale per il fatto che era stata costituita da aziende pubbliche di servizi alla persona, per il fatto che svolgeva la propria attività solo a beneficio di tali aziende, per il fatto che era obbligata, in virtù di patti parasociali, a reinvestire eventuali utili di gestione a vantaggio degli utenti, perdendo in tal modo lo scopo di lucro.
L’esito del giudizio d’appello non giustifica, peraltro, la condanna dell’Agenzia alle spese, perché la disciplina qui esaminata è particolarmente contorta e si avvale di espressioni letterali tutt’altro che nitide, potendo indurre in errore sia i contribuenti che l’amministrazione finanziaria.
la Commissione Tributaria Regionale di Trieste, visti gli atti depositati dall’Agenzia delle Entrate e dalla Azienda ” B “; dalla Azienda ” C ” e dalla Azienda ” D “, dichiara l’estinzione del giudizio instauratosi tra queste parti, a spese compensate, per cessazione della materia del contendere; accoglie l’appello della ” A ” srl, e per l’effetto annulla gli avvisi di accertamento impugnati con il ricorso di primo grado; conferma la compensazione delle spese di primo grado; compensa le spese anche del secondo grado di giudizio.
Trieste, 9.11.2016
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