COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Campania sez. 47 sentenza n. 3362 depositata il 10 aprile 2017
1. Con istanza iscritta al n. 7281/2015 R.G.R., depositata alla segreteria della Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, la M. s.r.l. proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento n. TF7030102546, relativo all’anno 2012; avviso in cui era stato disposto il recupero di Iva, sanzioni, interessi ed aggi per complessivi € 121.839,03. Eccepiva, preliminarmente, la nullità dell’atto di accertamento in quanto sottoscritto dal direttore dell’Ufficio, signor CV, incaricato di funzioni dirigenziali, ma non nominato dirigente a seguito di un pubblico concorso; precisando che l’atto presentava tale sottoscrizione per delega del direttore, PE, giusta disposizione di servizio n. 158/2015. Nel merito, contestava la legittimità e la fondatezza della pretesa tributaria, lamentando che nell’atto impugnato – in sostanza – era richiamato l’avviso di accertamento indirizzato alla E. srl, senza addurre alcun elemento specifico concernente la posizione della odierna contribuente; pertanto, incriminandola senza dimostrarne in alcun modo la presenza del dolo o della colpa. Precisava di aver effettuato gli acquisti contestati a seguito di contatti avuti a mezzo email (allegate) e mediante l’utenza telefonica (0823/1606752) cui aveva sempre risposto l’amministratore della E. srl. Sottolineava che tale società (relativamente all’anno 2012), fino al maggio 2013 non avrebbe potuto presentare il bilancio presso la CCIAA. Aggiungeva di aver diligentemente controllato la regolarità di talei società acquisendo sia copia del certificato camerale, sia del documento d’identità dell’amministratore. Rappresentava che il procedimento penale proposto nei confronti del legale rappresentante della E. era stato archiviato. Concludeva per l’annullamento dell’atto di accertamento, non essendovi stata alcuna consapevolezza della società alla partecipazione ad un illecito fiscale, con vittoria delle spese di lite. Regolarmente instaurato il contraddittorio l’Agenzia delle entrate Direzione Provinciale di Caserta si costituiva in giudizio depositando controdeduzioni in cui chiedeva il rigetto del ricorso, con vittoria delle spese di lite. Precisava che con l’avviso di accertamento impugnato era stato recuperato l’importo di € 40.972,00 per IVA indetraibile concernente l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti emesse dalla E. srl; società di comodo, priva di dipendenti e mezzi di trasporto, che ha omesso di versare l’IVA pure in presenza di ingenti acquisti effettuati all’interno della Comunità Europea, e che non ha depositato il proprio bilancio presso la CCIAA, e che ha sistematicamente alienato beni sottocosto. Ribadiva che, come da verifica fiscale effettuata a carico di quest’ultima, il legale rappresentante. aveva dichiarato di non .avere alcuna documentazione fiscale per gli anni in questione. Precisava che nella fattispecie la opponente non aveva adeguatamente dimostrato la propria buona fede in ordine alle operazioni ritenute soggettivamente inesistenti dall’ufficio. La Commissione Tributaria Provinciale adita, con la sentenza n. 3575/15/2016 del 6.6.2016, rigettava il ricorso e condannava la società contribuente al pagamento delle spese di lite , liquidate in € 500,00 oltre accessori di legge.
2. Con il presente appello ritualmente notificato, la M. s.r.l. impugnava innanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Napoli la predetta sentenza. Eccepiva, preliminarmente, la omessa pronuncia in ordine alla questione della nullità dell’atto sottoscritto da soggetto non abilitato. Nel merito, insisteva per la regolarità del proprio comportamento, lamentando che i giudici di prime cure non avevano valutato ed adeguatamente motivato l’insieme delle argomentazioni sollevate in primo grado, ribadendo la infondatezza della pretesa tributaria, in quanto trattandosi di operazioni soggettivamente inesistenti sarebbe stato necessario provare la malafede della odierna contribuente, che non si può certamente fare carico delle irregolarità contabili e fiscali accertate nei confronti di soggetti terzi. Evidenziava, inoltre, di non aver avuto alcun vantaggio nell’utilizzo di tali fatture, essendo stati gli acquisti della merce effettuati al prezzo di mercato, per cui non vi sono elementi per affermare la propria mala fede. Censurava la decisione di primo grado e ne chiedeva la riforma, con annullamento dell’avviso di accertamento. Con vittoria delle spese del doppio grado. L’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Caserta, si costituiva in giudizio depositando controdeduzioni in cui insisteva per il rigetto dell’appello, con vittoria delle spese di lite. All’uopo evidenziava la infondatezza dei motivi sollevati, e la piena legittimità dell’atto sottoscritto da soggetto al momento rivestente la qualifica di capo dell’ufficio. Nel merito, ribadiva la correttezza del proprio operato, come ampiamente riconosciuto dai giudici di prime cure. All’esito della camera di consiglio, la Commissione deliberava come da dispositivo versati in atti.
3. L’appello è infondato e va, pertanto, rigettato. Sebbene i giudici di prime cure non si siano pronunciati sul punto, va rigettato il primo motivo di appello concernente la sottoscrizione dell’atto impugnato da parte di soggetto privo della qualifica dirigenziale. Infatti, questo collegio condivide l’orientamento secondo cui “in ordine agli avvisi di accertamento in rettifica e agli accertamenti d’ufficio, il d.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, impone sotto pena di nullità che l’atto sia sottoscritto dal “capo dell’ufficio” o “da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”, senza richiedere che il capo dell’ufficio o il funzionario delegato abbia a rivestire anche una qualifica dirigenziale. In esito alla evoluzione legislativa e ordinamentale, sono impiegati della carriera direttiva, ai sensi della norma evocata, i “funzionairi della terza area” di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005. In questo senso la norma individua l’agente capace di manifestare la volontà della amministrazione finanziaria negli atti a rilevanza esterna, identificando quale debba essere la professionalità per legge idonea a emettere quegli atti. Essendo la materia tributaria governata dal principio di tasatività delle cause di nullità degli atti fiscali, e non occorrendo, ai meri fini della validità di tali atti, che i funzionari (delegati o deleganti) possiedano qualifiche dirigenziali, ne consegue che la sorte degli atti impositivi formati anteriormente alla sentenza n. 37 del 2015 della Corte Costituzionale, sottoscritti da soggetti al momento rivestenti funzioni di capo dell’ufficio, ovvero da funzionari della carriera direttiva appositamente delegati, e dunque da soggetti idonei a esprimere, ai sensi dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, la volontà dell’amministrazione nei rapporti esterni, non è condizionata dalla validità o meno della qualifica dirigenziale attribuita per effetto della censurata disposizione di cui art. 8, 24° comma, del d.I. n. 16 del 2012 (Cass. Sent. n. 22810 del 9 novembre 2015 e n. 24020 del 24 novembre 2016).
4. Nemmeno merita accoglimento il secondo motivo di appello. L’avviso di accertamento risulta essere stato congruamente motivato. Nel p.v.c. (dopo una accurata ricostruzione della cd frode Carosello in cui era coinvolta la E. s.r.l., con sede in Caserta, che ha svolto il ruolo di cartiera procedendo all’acquisto della merce dall’estero ricorrendo al sistematico omesso versamento dell’imposta), la Guardia di Finanza dava atto del compimento di operazioni che sono state ritenute frutto di fatture soggettivamente fittizie – tanto da inviare notizie di reato alla Procura della Repubblica competente. Nello stesso processo verbale si legge che tra le destinatarie delle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti vi era anche la M. s.r.l., che – per quanto interessa in questa sede – in relazione all’anno 2012 ha effettuato acquisti di telefonia, computer ed accessori per € 276.406,40 (imponibile di € 228.435,04), ed ha detratto l’IVA (calcolata al 21%) per ? 47.971,36. Per cui veniva contestata sia la indebita detrazione di IVA per operazioni soggettivamente inesistenti, sia la infedele presentazione annuale IVA Come si evince dalla documentazione depositata dall’ufficio, i militari chiarivano, con dovizia di p9rticolari, nel p.v.c. redatto a carico della E. s.r.l. che quest’ultima risulta essere stata creata con l’intento di utilizzarla in un ampio disegno evasivo/elusivo, atteso che: non risulta aver presentato dichiarazioni dei redditi; non risulta possedere libri, registro o documentazione idonea a rilevare gli atti di gestione; l’indirizzo della sede legale è costituito da un negozio di abbigliamento (JC Outlet); il titolare non ha saputo fornire alcuna documentazione per gli anni 2011/2013, salvo 16 fatture di acquisto e 42 di vendita, ed ha ammesso di aver gestito l’attività dalla propria abitazione in S. Maria C.V. Ciò detto, la M. s.r.l. ribadiva che nella fattispecie mancherebbe la prova della propria malafede o della consapevolezza della frode, ma tale prospettazione non è condivisibile. Con l’espressione “fattura inesistente” si intende non solo l’ipotesi di mancanza assoluta dell’operazione fatturata, ma anche ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, ivi compresa l’ipotesi di inesistenza soggettiva, che ricorre quando, pur risultando i beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice delle fatture, venga accertato che uno o entrambi i soggetti del rapporto siano falsi. Come detto, la M. s.r.l. è stata destinataria di fatture emesse da un soggetto giuridico correttamente ritenuto come una mera società “cartiera”; ed ha portato in detrazione l’IVA relativa ad operazioni fatturate da detto operatore, ritenute dall’ufficio come “soggettivamente inesistenti”. In siffatta evenienza, mentre l’obbligo di corrispondere l’imposta sull’operazione soggettivamente inesistente deriva per l’emittente dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, resta evasa l’imposta relativa alla diversa operazione effettivamente realizzata (cfr. Cass. 6378/06, 18907/11). E viene alterato lo schema applicativo dell’IVA ed, in particolare, i presupposti per l’esercizio del diritto alla detrazione, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19. Va ricordato che per i soggetti passivi obbligati nei confronti dell’Erario l’applicazione dell’imposta è neutrale, atteso che l’IVA sulle operazioni attive è da essi trasferita sui clienti mediante la rivalsa; mentre l’imposta sulle operazioni passive (acquisti effettuati) è recuperata mediante detrazione dall’imposta dovuta, sub specie di un credito, derivante da compensazione, vantato nei confronti dell’Erario. Quest’ultimo acquisisce, invero, ad ogni passaggio del ciclo produttivo-distributivo (produttore – grossista – dettagliante – consumatore) solo l’eventuale differenza tra l’imposta sulle operazioni attive e quella sugli acquisti, owero la cifra maturata a debito del soggetto passivo obbligato, nella periodica sommatoria di IVA a credito ed a debito (c.d. valore aggiunto). In tal senso, l’IVA corrisposta dai soggetti passivi è periodica e neutrale, giacchè il tributo viene in definitiva a gravare sul consumatore finale, che subisce la rivalsa giuridica senza potere, a sua volta, detrarre l’imposta. L’IVA si atteggia, pertanto, secondo quanto sancito anche dal diritto comunitario (cfr. Direttiva 77/388/CEE), come un’imposta generale sul consumo di beni e servizi che, attraverso il sistema delle rivalse e delle detrazioni, persegue l’obiettivo di operare un prelievo definitivo sul consumatore finale. La giustificazione comunitaria e costituzionale (cfr, gli artt. 3 e 53 Cast.) del tributo risiede nel tassare il consumo e nel rendere neutrale, per i soggetti passivi dell’imposta, il prelievo nelle fasi precedenti del ciclo produttivo-distributivo. Sotto tale profilo, la detrazione costituisce un diritto – non assoluto, nè incondizionato – del soggetto di imposta, finalizzato a sgravare totalmente l’imprenditore dall’onere dell’IVA pagata nell’effettuazione delle operazioni passive concernenti l’esercizio dell’impresa o dell’attività professionale autonoma, sì da assicurare la totale neutralità dell’imposta in parola (C. Giust. CE, 21.2.2006, C-255/02, C. Giust. CE, 22.12.10, C- 438/09, C. Giust. Ce, 21.6.12, C – 80/11, C. Giust. 12.7.12, C – 284/11).
Nel sistema sopra descritto è di palmare evidenza che l’IVA, che il cessionario assume di avere pagato al preteso cedente per l’operazione soggettivamente inesistente, in quanto corrisposta ad un soggetto che non era legittimato ad operare la rivalsa, giacchè non era neppure assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta, non può essere detraibile. Sia la Corte di Giustizia Europea che la Corte di Cassazione hanno affermato che il beneficio della detrazione non è accordabile qualora sia dimostrato che questo sia invocato fraudolentemente o abusivamente. Secondo la Corte Europea, invero, il diritto alla detrazione può essere negato quando risulti dimostrato da parte dell’amministrazione finanziaria, “alla luce di elementi oggettivi’ , che il soggetto passivo al quale siano stati forniti i beni o i servizi, posti a fondamento del diritto alla detrazione, “sapeva o avrebbe dovuto sapere che tale operazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore a monte”. In tale evenienza il soggetto che intende fruire della detrazione deve essere considerato come ”partecipante a tale evasione”, laddove di certo non lo sarebbe colui che ignorasse – senza sua colpa – che il fornitore effettivo della merce o dei servizi ricevuti non era il fatturante, ma un altro soggetto. Ovviamente, l’onere di provare tale circostanze liberatoria – a fronte degli elementi dimostrativi forniti dall’amministrazione – non può che cedere a carico del contribuente (v. C. Giust. CE, 6.7.06, C- 439/04, C. Giust. CE, 21.2.06, C – 255/02, C. Giust. CE, 21.6.12, C – 80/11). In piena sintonia la giurisprudenza comunitaria, anche la Suprema Corte ha affermato che il committente-cessionario, al quale sia contestata la detrazione dell’IVA versata in rivalsa al soggetto diverso dal cedente-prestatore che ha emesso la fattura, ha il diritto di detrarre l’imposta soltanto se provi, ex art. 2697 e.e., comma 2, che non sapeva o non poteva sapere di partecipare ad un’operazione fraudolenta. Evidentemente, l’amministrazione ha l’onere di provare che l’operazione commerciale oggetto della fattura non è stata posta in essere, o non lo è stata tra i soggetti che figurano nella fattura; ma non può revocarsi in dubbio che tale prova possa essere fornita anche mediante presunzioni, come espressamente prevede, per l’IVA, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2. Nè può in alcun modo ritenersi che le pronunce della Suprema Corte si pongano in contrasto con le decisioni della Corte di Lussemburgo, nella parte in cui quest’ultima richiede che la prova della consapevolezza dell’inesistenza dell’operazione e dell’evasione a monte della stessa debbano risultare da “elementi oggettivi”, laddove potrebbe sembrare che la prova per presunzioni si traduca in un mero ragionamento logico, come tale fortemente permeato di valutazioni soggettive e, dunque, privo della stessa consistenza obiettiva che connota le altre prove precostituite o costituende. La stessa Corte Europea mostra di valorizzare appieno la prova indiziaria o presuntiva, laddove afferma che la sussistenza di “indizi”, che consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni nella sfera dell’emittente delle fatture, deve indurre l’operatore avveduto ad assumere informazioni sul soggetto dal quale intenda acquisare beni o servizi. In dif_etto, non potrà che essere escluso – per le ragioni suindicate – il diritto del medesimo alla detrazione di imposta (C. Giust. CE, 21.6.12, cit.). Anche le elaborazioni della dottrina e della Suprema Corte, in ordine al valore probatorio della prova presuntiva, inducono a far ritenerne del tutto legittimo il ricorso a tale strumento in materia di fatturazione per operazioni inesistenti. Invero, va anzitutto rilevato che la prova per presunzioni è ricompresa nel catalogo delle prove utilizzabili in giudizio, di cui al titolo 2 del libro 6 del codice civile (artt. 2697 e ss.), ed il suo regime giuridico è del tutto assimilato a quello della prova testimoniale (art. 2729 e.e.). Per il che, il carattere di prova piena ed oggettiva, attribuibile alle presunzioni, appare difficilmente contestabile. Ne discende che non occorre – ai fini della prova del carattere fittizio delle operazioni risultanti dalle fatture contestate dall’ufficio – l’acquisizione, a conforto, di ulteriori elementi presuntivi o probatori desunti dall’esame della documentazione contabile o bancaria del contribuente, atteso che, se gli indizi raccolti sono sufficienti non occorre di ricercarne altri, o di assumere ulteriori fonti di prova (Cass. n. 9108/2012). Tanto premesso, a fronte degli specifici elementi di prova presuntiva forniti dall’amministrazione in giudizio, come correttamente affermato dai Giudici di prime cure, viene a ricadere sul contribuente l’onere di fornire la prova piena in ordine all’esistenza, sul piano soggettivo, degli acquisiti operati e documentati dalle fatture in contestazione e circa la buona fede in ordine al carattere fraudolento delle operazioni a monte del proprio acquisto. In tal senso è stato recentemente confermato che “Fatto impeditivo del diritto alla detrazione del/’/ VA non è però soltanto la consapevolezza dell’iscrizione dell’operazione, a fondamento del diritto a detrazione, in un’evasione a monte nella catena di prestazioni, ma anche il fatto che l’operatore, sulla base della diligenza esigibile dall’operatore accorto in relazione alle circostanze, avrebbe dovuto sapere dell’esistenza dell’evasione. Ha affermato il giudice comunitario (Corte giust. 21 giugno 2012, cause riunite C-80/11 e 142111) che va negato il beneficio del diritto a detrazione dell’IVA ove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo, al quale sono stati forniti i beni o i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che tale operazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore a monte. Per la corte comunitaria è legittimo “esigere che un operatore adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente e richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare ad un’evasione fiscale”, ma la diligenza esigibile dall’operatore dipende essenzialmente dalle circostanze della fattispecie. Così “qualora sussistano indizi che consentono di sospettare /’esistenza di irregolarità o di evasioni, un operatore accorto potrebbe, secondo le circostanze del caso di specie, vedersi obbligato ad assumere informazioni su un altro operatore, presso il quale prevede di acquistare beni o servizi, al fine di sincerarsi della sua affidabilità”. Sulla base della giurisprudenza comunitaria questa Corte ha quindi affermato che, qualora l’amministrazione contesti ad un operatore il diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto in ragione di una supposta inesistenza soggettiva delle operazioni Oggetto dell’accertamento, è onere della medesima amministrazione provare, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva – per l’esistenza nella specie di indizi idonei ad avvalorare il sospetto in tal senso indicati dall’amministrazione – in un’evasione commessa dall’emittente delle fatture contestate o da un altro operatore intervenuta a monte nella catena di prestazioni (Cass. 20 dicembre 2012, n. 23560). Restringere, come si fa nel motivo in esame, l’onere probatorio alla sola consapevolezza della fittizietà dell’operazione, senza considerare che per l’Amministrazione finanziaria è sufficiente dimostrare che il contribuente avrebbe dovuto sapere della detta fittizietà, adoperandosi con la diligenza esigibile, significa intendere non in modo corretto la regola sull’onere della prova prevista çlall’ordinamento. Per le stesse ragioni infondato è anche il secondo motivo, che espressamente esclude l’onere di diligenza del contribuente nell’accertamento dell’esistenza della frode (trattasi peraltro di motivo ammissibile perché la mancata indicazione delle norme di diritto non è idonea a determinare l’inammissibilità del motivo, potendo le ragioni giuridiche e le relative norme di riferimento essere desumibili dall’insieme degli argomenti addotti” (cfr. Cass. 26 gennaio 2005, n. 1606; 20 gennaio 2016, n. 973) Applicando tali condivisibili principi alla fattispecie, a fronte dei gravi, precisi e concordanti elementi indiziari assunti, la M. s.r.l. è venuta meno all’onere di fornire la prova in ordine alla propria buona fede in ordine al carattere fraudolento delle operazioni a monte del proprio acquisto, a nulla rilevando che la merce sia stata effettivamente acquistata con pagamenti tracciabili. In definitiva, in mancanza di altri elementi di segno contrario, il ., costante orientamento della Suprema Corte in tema di IVA nelle cd. “frodi carosello” (fondate sul mancato versamento dell’imposta incassata da società “cartiere” a seguito di acquisti intracomunitari, o altrimenti esenti, e successive rivendite anche attraverso l’interposizione di una o più società filtro, il meccanismo dell’operazione e gli scopi che la stessa si propone al fine di praticare prezzi di vendita più bassi, con alterazione a proprio favore del libero mercato), fa presumere la piena conoscenza della frode e la consapevole partecipazione all’accordo simulatorio del beneficiario finale. Con la conseguenza che, in applicazione del relativo principio sancito dall’art. 17 della direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, l’IVA assolta nelle operazioni commerciali con la società filtro non è detraibile ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, anche se le predette op_erazioni siano state effettivamente compiute e le relative fatture, al pari dell’intera documentazione contabile, sembrino perfettamente regolari (Cass. n. 867/2010 e 10167/2012). La M. s.r.l. nulla ha provato, in ordine alla propria buona fede, come era suo onere a fronte di operazioni soggettivamente inesistenti di cui alle fattura di acquisto emesse dalla E. s.r.l. La stessa deduceva circostanze del tutto irrilevanti, limitandosi ad allegare alcune mail a fronte di pagamenti effettuati con ben 18 bonifici per complessivi € 276.406,40. E ciò anche in considerazione della vicinanza tra la sede legale della appellante (all’epoca sita in Casapulla (CE)) e la E. s.r.l. (con sede fittizia in Caserta), che avrebbe potuto consentire facilmente di verificare non trattarsi di una mera cartiera. Conseguentemente, è stato legittimamente emesso nei confronti dell’appellante l’avviso di accertamento al fine di recuperare l’IVA inerente tale operazione, con atto adeguatamente motivato nella parte in cui ricostruisce dettagliatamente il fatto storico e specifica il recupero effettuato dall’ufficio. Alla stregua delle esposte considerazioni l’appello va integralmente rigettato.
5. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate in favore dell’ufficio, come in dispositivo.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale di Napoli, definitivamente pronunciando, così provvede:
– rigetta l’appello;
– condanna la M. s.r.l al pagamento delle spese del presente grado, liquidate in € 2.615,00, oltre accessori di legge.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Commissione Tributaria Regionale per la Basilicata sez. 1 sentenza n. 3 depositata il 4 gennaio 2022 - Possono considerarsi soggettivamente inesistenti quelle operazioni commerciali che pur essendo avvenute e per le quali il prezzo è stato regolarmente…
- CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 5396 depositata il 29 febbraio 2024 - In tema di IVA, il diritto del contribuente alla relativa detrazione costituisce principio fondamentale del sistema comune europeo e non è suscettibile, in…
- Corte di Cassazione, ordinanza n. 20395 depositata il 14 luglio 2023 - In caso di contestazione di operazioni oggettivamente inesistenti, l’Amministrazione, ha soltanto l'onere di provare, anche mediante presunzioni semplici, che le operazioni non…
- Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 50362 depositata il 12 dicembre 2019 - L'indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione, avvalendosi di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, anziché relative ad operazioni…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 giugno 2021, n. 15860 - In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 16836 depositata il 7 agosto 2020 - In tema di operazioni soggettivamente inesistenti l'Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- ISA 2024 le cause di esclusione per l’anno 2
La legge istitutiva degli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (ISA) ha una…
- Il diritto riconosciuto dall’uso aziendale n
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10120 depositat…
- L’indennità sostitutiva di ferie non godute
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9009 depositata…
- Il giudice tributario è tenuto a valutare la corre
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5894 deposi…
- Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10267 depositat…