COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Lombardia sentenza n. 983 sez. 36 depositata il 17 marzo 2015
Massima
I giudici della CTR Lombardia si sono pronunciati in merito al Contributo unificato civile, dovuto per la querela di falso.
Nella sentenza qui pubblicata essi giungono alla conclusione che la querela di falso vada annoverata tra i giudizi dal valore indeterminato dal momento che la Suprema Corte con sentenza n. 12399/2007 ha affermato che “la sentenza che decide sulla querela di falso non è una sentenza parziale (cioè non definitiva), ma rappresenta l’epilogo di un procedimento che – pur se attivato in via incidentale – è comunque autonomo ed ha per oggetto l’accertamento della falsità o meno di un atto avente fede privilegiata”. In conclusione è dunque tale carattere di autonomia del procedimento per querela di falso ad impedire che, ai fini della determinazione del contributo unificato, si faccia riferimento al contenzioso che lo ha generato.
Il contributo unificato, relativamente alla querela di falso, è quello previsto per le vertenze annoverabili tra quelle di valore indeterminato in quanto la sentenza che decide sulla querela di falso rappresenta l’epilogo di un procedimento che, pur se attivato in via incidentale, è comunque autonomo ed ha per oggetto l’accertamento della falsità o meno di un atto avente fede privilegiata. L’autonomia dei procedimenti non consente, per il calcolo del contributo unificato, di far riferimento, nell’an o nel quantum, a quello che lo ha generato, riferendola così alle vertenze di valore indeterminabile.
Testo:
Svolgimento del Processo e Richieste delle Parti
Il sig. Y. Z., difeso dall’avv. R. M., ha appellato la sentenza n. 162/1/14 del 05.05.2014, depositata il 20.05.201 4, resa dalla Commissione tributaria provinciale di Lecco che aveva confermato l’atto emesso dal Tribunale Civile e Penale di Lecco per ottenere il pagamento di euro 413,00, quale maggiore contributo unificato asseritamente dovuto per la causa n. 2987/2013 RG avente ad oggetto la querela di falso.
Detta sentenza aveva disatteso tutte le doglianze del contribuente in quanto: (a) non era rilevante l’omessa indicazione sull’invito impugnato del numero del registro recupero crediti e del numero di partita di credito; (b) non era ravvisabile un vizio di motivazione perché il contribuente aveva ben compreso il contenuto dell’atto ed aveva esercitato appieno le sue conseguenti difese; (c) i giudizi di querela di falso vanno annoverati tra quelli di valore indeterminabile, non potendosi fare riferimento né all’origine previdenziale della controversia, né al valore della cartella di paga mento alla quale la querela si riferiva. Le spese erano state compensate.
Il contribuente ha censurato detta sentenza: (a) perché si era pronunciata solo sulla questione relativa al numero ed al registro di recupero crediti e non anche sulla mancata indicazione dei termini e dell’autorità alla quale proporre ricorso, omissioni che comporterebbero la nullità dell’atto impositivo; (b) perché non aveva rilevato la carenza motivazionale dell’invito al pagamento nonostante la somma richiesta fosse stata sviluppata solo con le controdeduzioni in giudizio; (c) perché le cause per querela di falso non sono annoverabili tra quelle di valore indeterminato, ma debbono essere riferite o al tipo della vertenza che le origina (nel caso di specie, previdenziale, che non farebbe emergere alcun ulteriore contributo unificato da versare), o al valore di queste ultime (sempre nel caso di specie, di euro 8.816,73). Il contribuente ha quindi concluso chiedendo: in via principale, la declaratoria di non debenza di alcun maggiore contributo unificato ed, in via subordinata, la sua quantificazione in euro 169,00, pari a quanto previsto in più per le causa del valore di euro 8.816,73.
L’Ufficio recupero crediti del Tribunale di Lecco si è costituito per chiedere che la sentenza di primo grado sia confermata e per evidenziare: (a) che la procedura seguita per il recupero dei contributi unificati è quella disciplinata con la convenzione legge 24/12/2007 n. 244 e che, nel caso di specie, è stato utilizzato il modello standard predisposto dal Ministero; (b) che l’atto impugnato era stato preceduto da un fax inviato al difensore del contribuente nel quale erano stati precisati i conteggi che avevano portato alla quantificazione della somma da versare a titolo di integrazione; (c) che l’art. 9 del cp.c. attribuisce al Tribunale in via esclusiva la competenza per le cause riguardanti querele di falso che devono essere considerate di valore indeterminabile perché dirette ad ottenere l’accertamento della falsità di un atto pubblico o di una scrittura privata, tanto in ordine al contenuto, quanto della provenienza; mentre la materia previdenziale è trattata dal Giudice del lavoro; (d) che l’atto introduttivo del giudizio era stato qualificato come querela di falso per cui non si poteva fare riferimento alla cartelle di pagamento originariamente impugnate.
La causa è stata discussa in pubblica udienza in data odierna.
Motivi della decisione
1. L’appello, non essendo fondato, non può trovare accoglimento.
2. Il Consiglio di Stato, in relazione all’art. 3, comma 3, della L. n. 241/1990, al quale rinvia l’art. 7 della L. n. 212/2000 (statuto dei diritti del contribuente), ha ripetutamente chiarito (per tutte n. 347/2013) che “La mancanza, nel provvedimento amministrativo, dell’indicazione del termine e dell’autorità cui è possibile ricorrere non costituisce vizio di legittimità, ma può eventualmente giustificare la rimessione in termini per errore scusabile”.
Un siffatto vizio non può essere desunto neppure dall’art. 7, comma 2, della L. n. 212/2000, lettera c), secondo la quale gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono “tassativamente” indicare, tra l’altro, le modalità, il termine, l’organo giurisdizionale o l’autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili in quanto il Giudice di legittimità (Cass. S.U. n. 11722/2010), facendo riferimento anche alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 58/2009, ha chiarito che detta previsione è volta ad assicurare la trasparenza amministrativa, l’informazione del cittadino e il suo diritto di difesa, senza però precisare gli effetti della violazione dell’obbligo ivi indicato, e detta norma, a differenza di quanto fa con riferimento ad altre disposizioni, non commina la nullità per la violazione della disposizione indicata. Né la nullità, in mancanza di un’espressa previsione normativa, ha aggiunto la suddetta sentenza, può dedursi dai principi di cui all’art. 97 Cost. o da quelli del diritto tributario e dell’azione amministrativa. Ed il principio di diritto di cui sopra si riferisce a tutte le indicazioni previste “tassativamente” nel citato comma 2 dell’art. 7 della L. n. 212/2000, tra le quali quella di cui è causa, avendo le medesime finalità.
E non può ritenersi superato il menzionato principio di diritto, pienamente condiviso, da quanto espresso della Cassazione sez. III con la sentenza n. 4777/2013 perché solo in considerazione del pregiudizio grave ed imminente connesso all’esecuzione esattoriale, non rinvenibile nelle ordinarie richieste di pagamento, ha ritenuto essenziale che siano rigorosamente rispettati gli adempimenti di carattere generale, tra i quali quello di comunicare all’interessato i termini e le modalità con cui può proporre opposizione e far valere le sue ragioni.
Conclusivamente, il primo motivo d’appello non può trovare accoglimento.
2. La censura dell’atto impugnato per carenza di motivazione non appare fondata perché esso precisa, oltre alla somma richiesta, anche il numero e la data di iscrizione a ruolo della causa interessata all’ integrazione del contributo.
Di conseguenza, il contribuente era stato reso edotto dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa del Tribunale perché, sommando al contributo integrativo richiesto quello già da lui versato, poteva individuare che la somma complessivamente richiesta si riferiva alle causa dal valore indeterminabile e non a quelle comprese nell’intervallo tra gli euro 26.000 e gli euro 52.000, essendo estraneo, quest’ultimo valore, tanto ai giudizi previdenziali, quanto a quelli di opposizione alla cartelle di pagamento che avevano generato la querela di falso.
3. Da ultimo, la querela di falso deve essere annoverata tra i giudizi dal valore indeterminato atteso che la Cassazione (n. 12399/2007) ha già avuto modo di chiarire che “La sentenza che decide sulla querela di falso non è una sentenza parziale (cioè non definitiva), ma rappresenta l’epilogo di un procedimento che – pur se attivato in via incidentale – è comunque autonomo ed ha per oggetto l ‘accertamento della falsità o meno di un atto avente fede privilegiata”.
E l’autonomia del procedimento per querela di falso osta a che, ai fini della determinazione del contributo unificato, si faccia riferimento, nell’ an o nel quantum, a quello che lo ha generato.
4. La novità della questione costituisce giustificato motivo per l ‘integrale compensazione, tra le parti, delle spese del grado.
P.Q.M.
La CTR respinge l’appello del contribuente e conferma la sentenza impugnata. Spese compensate.
Milano, 09 marzo 2015.
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