COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE MARCHE – Sentenza 07 giugno 2021, n. 602
Tributi – IRES – Determinazione del reddito – Costi deducibili – Costi di sponsorizzazione in favore di ASD – Principio di inerenza
A. s.p.a. unipersonale ricorreva avverso l’avviso di accertamento emesso dall’Ufficio con riferimento all’anno d’imposta 2010, facente seguito ad una verifica fiscale svolta dall’Agenzia delle Entrate di Ancona, conclusasi con la redazione di un processo verbale di constatazione (d’ora in poi p.v.c.), mediante il quale veniva contestata alla società una indebita deduzione di una pluralità di costi, inerenti sponsorizzazioni, lavorazioni di terzi, vitto ed alloggio non documentati, ammortamento di beni, compensi amministratore, rimborso spese non documentate e non deducibili, consulenze commerciali, ricerche di mercato, sopravvenienze passive, resi su vendite, vendite nazionali, ammortamento oneri pluriennali, affitti considerati come antieconomici, con conseguente accertamento di un maggiore debito per IRES ed IRAP.
Il contribuente proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, censurando, in via pregiudiziale, l’illegittimità dell’atto sulla base dei seguenti elementi: a) violazione dell’art. 12 L. n. 212/2000, con riferimento alle modalità di svolgimento della verifica, condotta in parte in assenza del legale rappresentante; b) difetto di motivazione dell’avviso, nella parte in cui non aveva dato conto della fonte di innesco della verifica e si era richiamato acriticamente al precedente pvc.
Nel merito contestava sostanzialmente tutti i rilievi.
L’Ufficio si costituiva chiedendo il rigetto del ricorso, evidenziando la legittimità formale e sostanziale della pretesa impositiva.
I giudici di primo grado, con l’impugnata sentenza, accoglievano parzialmente il ricorso, annullando l’avviso, con riferimento ai recuperi inerenti i costi di pubblicità fatturati da M. per euro 139.000, ai costi per sponsorizzazioni, alle lavorazioni effettuate a fini manutentivi da terzi limitatamente ad euro 12.000, ai compensi dell’amministratore ed ai canoni di locazione relativi ai contratti stipulati con D. e ritenuti non equi secondo i valori di mercato, confermandolo nel resto e compensando tra le parti le spese del giudizio.
L’Ufficio proponeva appello, evidenziando con riferimento: ai costi di pubblicità fatturati da M., come i giudici avessero errato nel ritenere il costo deducibile, in quanto la M.S. risultava essere, sulla base della segnalazione ricevuta dalla Direzione Regionale della Lombardia, una società dedita ad emettere fatture “in tutto o in parte” oggettivamente inesistenti; alle spese sostenute per pubblicità in favore di diverse ASD, come trattavasi di pubblicità minima, scarsamente documentata, antieconomica avuto riguardo agli importi corrisposti, tenuto conto del ritorno ricevuto; in ordine alle spese di manutenzione per gli immobili, come esse rinvenissero fondamento in precisi obblighi contrattuali (art. 7) e fossero giustificati dalle dimensioni dei medesimi; al compenso aggiuntivo dell’amministratore, come il recupero si fondasse su irregolarità rilevate nelle delibere assembleari e, segnatamente, sul fatto che esso fosse stato previsto in una delibera del 27.04.2009, pur tuttavia riportata in parti di foglio non adoperate in una successiva (datata 25.06.2009), sì da determinare la ricorrenza di fondati dubbi in ordine alla cronologia delle medesime; ai canoni di locazione, come il recupero si legittimamente fondasse sul superamento dei valori dei medesimi rispetto a quelli assai inferiori corrisposti nella zona per immobili similari, nonché a quelli discendenti dall’applicazione dei valori OMI.
Si costituiva, altresì, il contribuente con controdeduzioni ed appello incidentale, ove censurava, in primis, la decisione del giudice, nella parte in cui non aveva recepito i propri rilievi, per poi richiedere la conferma della decisione impugnata avuto riguardo alle parti in cui era stato accolto il ricorso.
Più precisamente, quanto all’appello incidentale, evidenziava in ordine:
– alle modalità di svolgimento della verifica, che essa era stata (per almeno due ore) svolta in assenza del legale rappresentante, nonostante i dipendenti avessero evidenziato all’Ufficio la sua assenza, nonché in difetto di adeguata motivazione in ordine alle ragioni che l’avevano indotta, soprattutto se si considera che solo cinque mesi prima era stata ultimata un’altra della Guardia di Finanza per diverse annualità;
– all’assenza di motivazione, la sostanziale mancanza di qualsivoglia affermazione da parte della sentenza;
– al recupero del costo di euro 139.000 relativo ad una fattura emessa dalla società M., che esercita attività di vendita di articoli e abbigliamento tecnico sportivo in favore dell’U.S. A., come tale fattura fosse stata contabilizzata e gestita dalla società A. come spesa di rappresentanza, dovendosi rammentare come la contribuente avesse un fatturato di 23 milioni di euro e che pertanto l’importo di euro 139.000,00 rientrasse ampiamente entro i parametri di legge (1,3% dei ricavi fino a euro 10 milioni e 0,50% dei ricavi eccedenti euro 10 milioni e fino ad euro 50 milioni);
– alle spese di manutenzione per gli immobili, come esse rinvenissero giustificazione in precisi obblighi contrattuali (art. 7) e fossero giustificate, anche nel loro ammontare, dalle dimensioni degli immobili;
– alle spese per euro 3.201 per lettini e sdraio per i dipendenti, come esse fossero per minimi importi e giustificate dalla volontà di fornire a questi adeguato ristoro nei momenti di pausa dal lavoro;
– alle spese di rimborso chilometriche, come nessuna rilevanza potesse attribuirsi, al fine di inferirne la inattendibilità, al fatto (valorizzato dall’Ufficio e sostanzialmente confermato dal giudice di primo grado) che con le medesime non si fossero accompagnate spese per vitto ed alloggio, avendo il contribuente spiegato che l’assenza delle ultime rinveniva spiegazione nel fatto che i propri dipendenti incaricati fossero soliti essere ospiti dei clienti e dei fornitori, laddove, circa il rimborso dei pedaggi, il contribuente aveva evidenziato di avere utilizzato una tariffa di rimborso chilometrico;
– alle sopravvenienze passive, la scarsa conducenza della circostanza secondo cui le ditte che avevano ricevuto le note di credito della A. erano in “avanzato stato di fallimento”, atteso che il rilievo si riferiva avanzato stato di fallimento a sopravvenienze passive riferite a ricavi contabilizzati nei precedenti esercizi, derivanti da contestazioni limitate al malfunzionamento di tre degli oltre mille prodotti commercializzati dalla A., alle quali avevano fatto seguito accordi stragiudiziali con i clienti, per una risibile percentuale pari a circa lo 0,6% del fatturato, laddove, limitatamente ad alcuni clienti, il riferimento a questionari compilati da questi ultimi e tesi a negare qualsivoglia rapporto con la contribuente non potevano essere utilizzati a carico della medesima;
– al disconoscimento dei resi considerati dal Collegio come risarcimento danni per le medesime ragioni sviluppate per il rilievo che precede.
Con riferimento all’appello di controparte, il contribuente si richiamava a quanto già evidenziato in sede di ricorso di primo grado e condiviso dal giudice, dando conto, con riferimento ai rilievi inerenti: le prestazioni fornite da M. s.r.l. per spese di rappresentanza, l’insufficienza, al fine di non riconoscere il costo, della circostanza che tale società aveva emesso, nei confronti di altri clienti, fatture per operazioni inesistenti avuto riguardo ad una percentuale pari al novanta per cento, non essendovi ragioni per ritenere insussistenti o maggiorati i costi riferiti alle prestazioni eseguite per conto della contribuente, riconducibili a pieno titolo a quelle di rappresentanza; le spese per pubblicità con riferimento alle ASD e l’adempimento dell’onere della prova in ordine all’effettiva ravvisabilità di un’attività di sponsorizzazione, da ritenersi inerente anche secondo i parametri stabiliti dalla giurisprudenza in materia; il parziale riconoscimento di spese per lavorazione di terzi, di quanto già esposto in sede di appello incidentale con riferimento al parziale disconoscimento delle medesime, avendo provato con la perizia e le produzioni documentali l’esistenza di aree verdi circostanti e di piazzali, la cui manutenzione deve ritenersi a carico del conduttore; i compensi aggiuntivi agli amministratori, il regolare svolgimento delle assemblee ove erano stati deliberati i medesimi e che l’oggetto del deliberato era conforme a quanto risultante dagli atti, laddove la circostanza valorizzata dall’Ufficio era dovuta ad un errore materiale dell’impiegata che aveva trascritto i verbali postponendoli ad altri successivi, peraltro aggiungendo come i maggiori compensi erano comprovati dai cedolini predisposti e redatti a far data dal mese di competenza e che la Guardia di Finanza, nel corso dell’autonoma verifica di cui si è sopra dato atto, nessun rilievo aveva effettuato all’uopo; i canoni di locazione, l’equità dei medesimi.
L’Ufficio, con riferimento all’appello incidentale, depositava controdeduzioni, nelle quali ribadiva quanto già sostenuto nel primo grado, nonché la correttezza della decisione di prime cure, nella parte in cui aveva escluso la sussistenza di profili di illegittimità dell’atto, nonché si richiamava ancora una volta alle circostanze fondanti i recuperi effettuati con l’avviso di accertamento.
Da ultimo, parte contribuente depositava memorie illustrative.
La controversia veniva trattata mediante discussione da remoto e decisa all’udienza dell’11.05.2021.
Motivi della decisione
Gli appelli principali dell’Ufficio ed incidentale del contribuente sono solo parzialmente fondati nei termini di cui si dirà, con conseguente riforma sui punti della sentenza di primo grado e, in ragione della soccombenza reciproca, compensazione integrale tra le parti delle spese processuali.
Prima si passerà alla disamina delle questioni pregiudiziali e solo dopo a quelle di merito.
Con riferimento all’asserita nullità per violazione dell’art. 12 L. n. 212/2000, in ordine alle modalità di svolgimento della verifica, condotta in parte in assenza del legale rappresentante, essa si appalesa infondata.
Sul punto la S.C. ha statuito come, “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’inosservanza dei commi 1 e 3 dell’art. 12, l. n. 212 del 2000, funzionali ad assicurare un’equilibrata composizione delle contrapposte esigenze delle parti nell’espletamento della verifica, garantendo, da un lato, la necessaria efficacia all’attività ispettiva dell’ufficio, e dall’altro, la tutela dei diritti del contribuente sia come persona sia come soggetto economico, può determinare, pur in assenza di espressa previsione” (come nel caso di specie), “la nullità del provvedimento impositivo solo qualora i verbalizzanti abbiano eseguito un accesso nei locali della impresa in difetto delle indicate esigenze di ricerca e rilevazione “in loco” e, dunque, non anche nell’ipotesi di verifica condotta in luoghi diversi, dovendosi valutare nei casi in cui l’effetto invalidante non sia espressamente previsto dalla legge, e alla luce dell’interpretazione della giurisprudenza europea – che impone di verificare se la prescrizione normativa si riferisca o meno a circostanza essenziale per il raggiungimento dello scopo dell’atto – se la violazione abbia comportato una mera irregolarità dell’atto ovvero se sia idonea a determinarne l’invalidità” (Cass., sez. V, sentenza n. 299/2020, ove la S.C. ha escluso la violazione dell’art. 12, commi 1 e 3, cit., sostenendo che il dovere informativo non dovesse pregiudicare l’attività ispettiva e di indagine successiva, in un caso in cui essa era stata motivata come verifica sostanziale a carattere generale, così da non dover essere ulteriormente giustificato l’esercizio del relativo potere-dovere istituzionale).
Parimenti infondato appare il rilievo di parte contribuente con riferimento al difetto di motivazione, avuto riguardo alla mancata comunicazione delle fonti di innesco della verifica, non essendo previsto da alcuna disposizione di legge un siffatto onere motivazionale in capo all’Ufficio e dovendosi rammentare come l’avviso impugnato abbia fatto seguito al pvc conseguente alla verifica, comunicato e noto al contribuente e richiamato nel primo.
Avuto riguardo ai profili di merito, si passerà alla disamina di ciascuno, secondo l’ordine numerico che segue.
1. I costi di cui alle fatture M. s.r.l.
Sul punto l’appello dell’Ufficio merita di essere rigettato atteso che il recupero si appalesa infondato.
La circostanza secondo cui sia stato acclarato aliunde dalla Direzione Regionale Lombardia che la M.S. abbia emesso, nell’anno di imposta 2010, fatture per operazioni oggettivamente inesistenti mediante il meccanismo della sovrafatturazione e per una percentuale pari al novanta per cento, non integra la prova, in assenza di ulteriori e più pregnanti elementi riferiti al caso concreto, che le prestazioni effettuate in favore della contribuente siano in tutto od in parte inesistenti.
I Giudici di prime cure hanno correttamente colto il fatto che la A. abbia comunque assolto al proprio onere probatorio, atteso che, a riprova della effettiva realizzazione della prestazione ricevuta, essa ha prodotto alcune copie della rivista A. ed ha allegato al ricorso di primo grado un dvd prodotto dalla televisione S. (Televisione satellitare a diffusione nazionale ed internazionale), nel quale sono riprese e contestualizzate gare automobilistiche nelle quali si vede la vettura sponsorizzata gareggiare con il logo A.
A ciò si aggiunga come nel verbale redatto a carico di M. non si richiama la A. quale soggetto che avrebbe usufruito di prestazioni non eseguite o eseguite per importi inferiori, pur in presenza di molti nominativi ai quali è stata contestata la fattispecie.
Anche il riferimento alla “antieconomicità” dell’operazione deve ritenersi smentito dagli elevati valori di bilancio della A. (oltre 23 milioni di fatturato annui).
2. I costi per le sponsorizzazioni effettuate nei confronti delle ASD
Sul punto l’appello dell’Ufficio merita di essere accolto.
Orbene, siccome statuito a più riprese dalla giurisprudenza di legittimità (da ultimo, Cass. n. 18391/2019), il principio di inerenza esprime una correlazione tra costi ed attività d’impresa in concreto esercitata e si traduce in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde, in sé, da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo, ma il giudizio quantitativo o di congruità non è, però, del tutto irrilevante, collocandosi, invece, su un diverso piano logico e strutturale.
La questione, invero, si intreccia con il profilo dell’onere della prova dell’inerenza del costo, che, secondo la costante giurisprudenza, incombe sul contribuente, mentre spetta all’Amministrazione la prova della maggiore pretesa tributaria (Cass. n. 10269/2017; Cass. n. 21184/2014; Cass. n. 13300/2017).
L’inerenza è, come evidenziato, un giudizio; la prova dunque deve investire i fatti costitutivi del costo, sicché, per quanto riguarda il contribuente, il suo onere è, per così dire, «originario», poiché si articola ancor prima dell’esigenza di contrastare la maggiore pretesa erariale, essendo egli tenuto a provare (e documentare) l’imponibile maturato e, dunque, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, ovvero che esso è in realtà un atto d’impresa perché in correlazione con l’attività d’impresa; nella sua esplicazione effettiva tale onere si atteggia diversamente a seconda dello specifico oggetto della componente negativa in quanto, in molti casi, le caratteristiche documentate del costo o dell’operazione sono tali da far ritenere semplicemente evidente la correlazione tra la spesa e l’attività d’impresa.
In tal senso si spiega la giurisprudenza che distingue tra beni «normalmente necessari e strumentali» e beni «non necessari e strumentali», concludendo «nel ritenere a carico del contribuente l’onere della prova dell’inerenza solo in questa seconda evenienza» (cfr. Cass. n. 6548/2012): in realtà, nella prima ipotesi si assiste, più che una modifica dei criteri di ripartizione, ad una semplificazione dell’onere del contribuente, per contro, quando l’operazione posta in essere risulti complessa o anche atipica od originale rispetto alle usuali modalità di mercato, tale onere si atteggia in termini parimenti complessi: la qualificazione dell’operazione come atto d’impresa (che, per scelta o ventura, ha un coefficiente negativo) deve tradursi in elementi oggettivi suscettibili di apprezzamento in funzione del giudizio di inerenza.
L’Amministrazione Finanziaria, ove ritenga gli elementi dedotti dal contribuente mancanti, insufficienti od inadeguati ovvero riscontri ulteriori circostanze di fatto tali da inficiare la validità e/o la rilevanza di quelli allegati a fondamento dell’imputazione del costo alla determinazione del reddito, può contestare la valutazione di inerenza; semplificando, si può dire che due (ferma la possibile variegata articolazione dei casi concreti) sono le possibili ipotesi: nel primo caso la contestazione si risolve, sostanzialmente, sulla carenza degli elementi di fatto portati dal contribuente e, dunque, sulla loro insufficienza a giustificare una positiva valutazione di inerenza, all’altro estremo, invece, l’Amministrazione adduce l’esistenza di ulteriori elementi tali da far ritenere – di per sé od in combinazione con quelli portati dal contribuente – che il costo non sia, in realtà, correlato all’attività d’impresa.
L’antieconomicità del comportamento imprenditoriale, quindi, richiede da parte dell’Amministrazione finanziaria la dimostrazione dell’inattendibilità della condotta, inattendibilità che va considerata in chiave diacronica tenuto conto dei diversi indici che presiedono la stima della redditività dell’impresa (v. Cass. n. 13468 del 01/07/2015; Cass. n. 21869 del 28/10/2016), a fronte della quale spetta poi al contribuente dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate (Cass. n. 25257 del 25/10/2017); pertanto, in tema di imposte dirette, l’Amministrazione finanziaria, nel negare l’inerenza di un costo per mancanza, insufficienza od inadeguatezza degli elementi dedotti dal contribuente ovvero a fronte di circostanze di fatto tali da inficiarne la validità o la rilevanza, può contestare l’incongruità e l’antieconomicità della spesa, che assumono rilievo, sul piano probatorio, come indici sintomatici della carenza di inerenza, pur non identificandosi in essa ed in tal caso è onere del contribuente dimostrare la regolarità delle operazioni in relazione allo svolgimento dell’attività d’impresa e alle scelte imprenditoriali.
Orbene, tenuto conto dell’attività professionale esercitata dal contribuente (attività di produzione e commercio utensileria), appare di immediata evidenza come le spese sostenute in favore di società sportive iscritte a campionati dilettantistici per i servizi di pubblicità, non possano certo ritenersi strumentalmente necessari all’assolutamente diversa attività di impresa: di tal che, l’onere probatorio, ai fini della deducibilità secondo quanto previsto dall’art. 109 comma 5 D.P.R. n. 917/1986, non può che incombere, circa l’inerenza all’attività d’impresa e, quindi, anche con riferimento alla congruità della spesa che alla prima è strettamente connessa, sull’imprenditore.
Inoltre, “In tema d’imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, l’inerenza all’attività d’impresa delle singole spese e dei costi affrontati, indispensabile per ottenerne la deduzione ex art. 75 (ora 109) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, va definita come una relazione tra due concetti – la spesa (o il costo) e l’impresa – sicché il costo (o la spesa) assume rilevanza ai fini della qualificazione della base imponibile, non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito, bensì in virtù della sua correlazione con un’attività potenzialmente idonea a produrre utili” – Cass., Sez. 5, Sentenza n. del 27/02/2015 (Rv. 634740);
precedenti Conformi: -.
Ciò precisato, deve a questo punto evidenziarsi come i recuperi abbiano riguardato costi per sponsorizzazioni emesse dalla P. ASD (per euro 100.000), A5 (per euro 12.000), ASD C. (per euro 10.000), S.S. A. (per euro 15.000), ASD P. (euro 30.000) e P. Per come effettivamente emergente dal PVC e dall’avviso, la pubblicità si sarebbe ridotta alla semplice apposizione del marchio sulle maglie dei giocatori (partecipanti a campionati amatoriali), senza altra specificazione (ed in taluni casi non è dato riscontrare dalla documentazione fotografica prodotta neppure il marchio);
inoltre si tratta di squadre a visibilità minima (campionati provinciali, quali calcio a 5, serie D, seconda categoria), con conseguente condivisibilità dell’assunto dell’Ufficio circa la effettiva sproporzione della spesa rispetto al ritorno del messaggio pubblicitario.
Eccezione, quanto alla partecipazione a campionati, è costituita dalla P., alla quale è stata conferita l’ingente somma pari ad euro 100.000 per la apposizione di un adesivo su una vettura da corsa per una corsa di montagna, obiettivamente seguita da pochi appassionati.
A fronte di tali elementi, sintomatici di una sostanziale inattendibilità della condotta, se non di una sua inesistenza, parte contribuente non ha fornito adeguata dimostrazione circa la regolarità delle operazioni in relazione allo svolgimento dell’attività d’impresa e alle scelte imprenditoriali e, per quanto rileva, della sua inerenza alla medesima, non essendo vieppiù dato comprendere, pur a volere ritenere comprovate le prestazioni eseguite dalle associazioni, per quale ragione una società debba finanziare ben sei associazioni dilettantistiche per significativi importi a fronte di un’attività d’impresa del tutto avulsa peraltro dal settore di operatività e non certo limitata al ristretto ambito territoriale provinciale.
Quanto al disposto di cui all’art. 90 comma 8 Legge n. 289/2002, se è vero che, in armonia con quanto osservato da ultimo anche dalla S.C. mediante l’ordinanza n. 8981/2017, “Non è infatti dubbio che … abbia sancito una presunzione legale di inerenza/deducibilità delle spese de quibus sino alla concorrenza di euro 200.000, qualora è sempre necessaria l’emersione di prova, erogate a associazioni sportive dilettantistiche”, chiaramente con riferimento all’anno d’imposta interessato, che «(a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica, (b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa, (c) la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor, (d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale (es. apposizione del marchio sulle divise, esibizione di striscioni e/o tabelloni sul campo da gioco, etc.)» (così anche Sez. 5 n. 5720/2016).
Senonché, osserva il Collegio, in considerazione del contenuto dell’avviso impugnato, non fatto oggetto di specifica contestazione sul punto, quantomeno di detto ultimo requisito (quello di cui alla lettera d) non è stata fornita, ad opera del contribuente, adeguata prova, atteso che, per come risultante dal PVC, alcuni contratti appaiono contraddittori anche avuto riguardo al marchio da reclamizzare e, soprattutto, non è stato offerto adeguato riscontro della effettività delle prestazioni rese, così come difettanti appaiono talvolta i riferimenti spazio-temporali (ad esempio, per come indicato a pag. 15 del pvc per la P.), tali da effettivamente permettere di individuare le presunte prestazioni nell’ambito di particolari stagioni.
3. Le spese per lavorazioni di terzi ritenute deducibili per euro 12.000
Sul punto l’appello dell’Ufficio è infondato.
Ed invero, con riferimento a tali costi, sostenuti per lavori di sistemazione delle aree verdi per euro 12.000, il recupero dell’Ufficio nasceva dal fatto che nei contratti di affitto degli immobili detenuti dalla società non fossero menzionati la presenza di aree verdi od accordi circa la manutenzione delle medesime.
Senonché, la presenza delle aree è stata comprovata dalla perizia di parte redatta per conto del contribuente e le opere compiute ben possono ritenersi riconducibili nell’ambito di quelle di manutenzione ordinaria gravanti sul conduttore, laddove non può non rappresentare mera petizione di principio, in assenza di più pregnanti elementi, la circostanza valorizzata da parte dell’Ufficio in ordine al fatto che, anche nell’anno precedente, siano stati fatturati in favore del contribuente anche lavori di drenaggio del terreno.
4. I compensi aggiuntivi corrisposti all’amministratore
Ancora infondato sul punto si appalesa l’appello dell’Ufficio.
Con riferimento al compenso aggiuntivo dell’amministratore, dai profili di incongruenza dei verbali che lo prevedevano, come sopra compendiati, non può farsi discendere, diversamente da quanto ritenuto dall’Ufficio, la mancata regolare approvazione dell’assemblea.
Sul punto si condividono le osservazioni del contribuente in ordine al fatto che l’oggetto del deliberato era conforme a quanto risultante dagli atti, laddove la circostanza valorizzata dall’Ufficio era dovuta ad un presumibile errore materiale, peraltro dovendosi aggiungere come i maggiori compensi siano comprovati dai cedolini predisposti e redatti a far data dal mese di competenza e che la Guardia di Finanza, nel corso dell’autonoma verifica di cui si è sopra dato atto, nessun rilievo ha effettuato all’uopo.
5. I canoni di locazione
Anche sul punto l’appello dell’Ufficio è infondato.
Il recupero riguarda l’importo di euro 298.792,00 relativo al canone di locazione per l’immobile di Monsano, di cui al contratto sottoscritto in data 1.12.2008 tra D. s.r.l. e A., ed esso è rappresentato dalla differenza tra il canone pattuito tra le due società e quello c.d. “equo”, siccome ottenuto applicando al costo annuo della locazione finanziaria sostenuto da D. la redditività media delle imprese operanti nel settore della locazione di immobili propri, pari al 21,5%.
La contribuente, a fronte di una generica contestazione sulla valorizzazione del canone di locazione avanzata dalla Agenzia delle Entrate in base a dati meramente statistici, ha presentato una perizia dell’Ing. D., non oggetto di contestazione in ordine a quanto in essa affermato, tesa ad individuare l’ammontare dell’equo canone di locazione per il compendio immobiliare oggetto del rilievo. I risultati forniti dal tecnico evidenziano che il canone corrisposto è equo rispetto ad immobili aventi quelle caratteristiche, avendo stimato in euro 603.000 annui il canone che A. paga euro 627.300,00 annui.
A ciò si aggiunga come, siccome statuito dalla S.C. con riferimento ad un recupero fondato in sede di trasferimento di immobile, “in tema di imposte indirette, l’accertamento di maggior valore di un immobile oggetto di atto di trasferimento, ai fini della determinazione della base imponibile, ancorché fondato su una presunzione semplice di cui all’art. 39, d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54, d.P.R. n. 633 del 1972, non impedisce al giudice di basare il proprio convincimento su un unico elemento, il quale non può però essere dato unicamente dai valori OMI, siccome privi dei requisiti di precisione e gravità, i quali devono perciò combinarsi con ulteriori indizi se allegati” (Cass., sez. V, ordinanza n. 24550/2020).
6. I costi sostenuti per euro 139.000 in favore di M. Sport
Essendo stato confermato il recupero dell’Agenzia, appellante è il contribuente.
Il recupero del costo di euro 139.000,00 relativo ad una fattura emessa dalla società M. Sport Store, che esercita attività di vendita di articoli e abbigliamento tecnico sportivi, è fondato e l’appello incidentale di quest’ultimo sul punto merita di essere rigettato.
Ciò in quanto la merce prodotta da società che realizza forniture sportive, contabilizzata quale sponsorizzazione, è stata consegnata all’U.S. Ancona e che i contratti di sponsorizzazione ripassati con la medesima “non prevedono nessuna fornitura di abbigliamento (mentre prevede la distribuzione di materiale oggetto di commercio a marchio Akifix)” – pvc a pag. 13 -.
Da qui, il palese difetto di inerenza ed il disconoscimento del costo.
Né, al fine di superare una siffatta preclusione, può ritenersi, come richiesto dal contribuente, il costo sostenuto quale spesa di rappresentanza, atteso che se è vero che, “ai fini della deduzione dei costi, il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obiettivi perseguiti, atteso che le prime sono sostenute per accrescere il prestigio della impresa senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, se non in via mediata e indiretta attraverso il conseguente aumento della sua notorietà e immagine, mentre le seconde hanno una diretta finalità promozionale di prodotti e servizi commercializzati, mediante l’informazione ai consumatori circa l’esistenza di tali beni e servizi, unitamente all’evidenziazione e all’esaltazione delle loro caratteristiche e dell’idoneità a soddisfarne i bisogni, in modo da incrementare le relative vendite” (Cass., sez. V, sentenza n. 10440/2021), non è dato ravvisare alcun accrescimento del prestigio dell’impresa nel fornire le divise alla U.S. A., partecipante a campionati non di primo livello.
7. Le spese per lavorazioni di terzi ritenute indeducibili per euro 24.200.
Tenuto conto degli scarni elementi forniti sul punto dall’Ufficio e della non condivisibilità della sentenza di primo grado, che ha limitato parzialmente il recupero richiamandosi apoditticamente ai costi riconosciuti nell’anno precedente, sul punto, per le considerazioni già evidenziate al punto n. 3 merita di essere accolto l’appello incidentale del contribuente, con conseguente riforma della sentenza di primo grado.
8. Il recupero di costi per euro 3.201 per arredi da giardino.
Il costo disconosciuto riguarda l’acquisto di alcuni lettini da utilizzo esterno della tipologia “arredo da giardino”, utilizzati dai dipendenti della contribuente nelle pause lavorative nei periodi primaverili ed estivi.
La sentenza, che sul punto ha statuito “in fabbrica si lavora e non si dorme. La spesa non è inerente all’attività d’impresa”, merita di essere riformata.
Depongono nel senso della deducibilità dei costi e dell’accoglimento sul punto del gravame incidentale, la limitata entità dei medesimi e la plausibile destinazione dei beni acquistati ai lavoratori, onde garantire loro turni di riposo durante l’orario di lavoro.
Ne discende l’accoglimento del motivo di appello incidentale del contribuente e la riforma della sentenza di primo
grado sul punto.
9. Le deduzioni per le spese chilometriche
Il costo disconosciuto attiene alle spese sostenute per i viaggi ed il rilievo si fonda unicamente sulla circostanza che non siano stati parimenti richiesti i relativi rimborsi per spese inerenti vitto ed alloggio e per i pedaggi autostradali.
In assenza di qualsiasi ulteriore elemento idoneo a denotare l’assenza del costo, deve ritenersi obiettivamente insufficiente ai fini del non riconoscimento della deduzione l’assunto dell’Ufficio secondo cui l’inattendibilità delle spese chilometriche discenda dalla mancata deduzione dei costi sostenuti per vitto ed alloggio, atteso che, in disparte le considerazioni del contribuente circa l’avvalersi di solito della ospitalità dei clienti e del considerare nei chilometri percorsi anche le spese per pedaggi autostradali, essa (con riferimento alle spese connesse) ben potrebbe discendere da una insindacabile scelta del contribuente.
Ne discende l’accoglimento del motivo di appello incidentale del contribuente e la riforma della sentenza di primo grado sul punto.
10. Le sopravvenienze passive
Il recupero attiene alla contabilizzazione di note di credito per euro 165.678,73 per merce difettosa e per risarcimento danni emesse dalla società nei confronti di diversi clienti.
Esso si fonda sulla constatazione di diverse incongruenze:
– le richieste di risarcimento sono di importo esattamente pari al credito residuo nei confronti del cliente e la società non risulta avere mai sollevato contestazione alcuna all’uopo;
– non vi è stato alcun esborso finanziario, ma una vera e propria remissione di credito.
L’attività espletata dall’Ufficio evidenziava che delle note di credito non erano state consegnate ai clienti e che alcune ditte che avevano richiesto il risarcimento erano in procedura fallimentare.
Trattasi di: C, fallimento nell’anno 2011; E, fallimento nell’ anno 2012; T, fallimento nel 2012; M. fallimento nell’anno 2009; P. fallimento nell’anno 2009; P. fallimento nell’anno 2011; S. fallimento nel 2011.
Tutti questi elementi inducono effettivamente ad una diversa “qualificazione” delle poste di bilancio: più che di sopravvenienze per risarcimento danni, trattasi di perdite su crediti per le quali la società avrebbe dovuto utilizzare il relativo fondo.
Priva di valenza pregnante appare l’eccezione sollevata dal contribuente circa la violazione al diritto di difesa, in merito al fatto che l’ Ufficio ha prodotto in giudizio le risposte ai questionari trasmesse da alcune delle ditte clienti (alle quali erano state richieste le copie delle note di credito ricevute dalla A. per l’anno 2010 e documentazione a supporto), le quali, nel numero di tre, evidenziavano di non avere mai ricevuto alcuna nota, non dovendo tali risposte essere necessariamente notificate al contribuente.
Rappresentano un ulteriore elemento importante a supporto del rilievo le seguenti circostanze: i crediti qui in esame sono stati spostati nel conto “clienti az. Legali” in data antecedente rispetto alle lettere di contestazione da parte dei clienti, per cui il conto intestato al cliente risulta a saldo nullo all’1/1/2010; le note di credito consegnate ai verificatori non contenevano il nominativo del cliente; solo successivamente sono state esibite le lettere di contestazione; la società verificata non è stata in grado di esibire una corrispondenza tra le parti, come avviene quando ci sono delle contestazioni.
Di tal che, il recupero appare fondato e l’appello incidentale merita di essere rigettato.
11. Il recupero su “resi su vendite”
Anche sul punto la sentenza di primo grado merita di essere confermata, con rigetto dell’appello incidentale del contribuente.
Secondo quanto emerge dal p.v. di constatazione (cfr. pag. 30), il recupero “resi su vendite” riguarda la nota di credito n. 474 nei confronti della società V. sas con causale “vostro credito per merce difettosa”, per l’importo di € 8.469,46.
A supporto la parte in sede di verifica ha prodotto una lettera della V. dove è riportato “chiediamo con la presente un rimborso pari ad € 10.000,00. Motivo della richiesta: le plafoniere in alluminio (…) acquistate a settembre 2008 sono risultate non a norma ed hanno causato il malfunzionamento dell’intero sistema elettrico”. La predetta dicitura induce a pensare ad una richiesta di risarcimento danni e non ad un reso. Come già per il precedente rilievo, anche in questo caso non c’ è stato alcun pagamento ed anche e non si tratta in realtà di resi su vendite, bensì di perdite su crediti, per le quali la società avrebbe dovuto utilizzare il relativo fondo.
Per quanto riguarda il conto n. 0501001 “vendite Nazionali” si rimanda alle pagine 30-31-32 del pvc, con la precisazione che il rilievo è analogo a quello relativo alle “Sopravvenienze passive”, di cui al punto che precede.
P.Q.M.
Accoglie l’appello dell’Ufficio limitatamente al rilievo di cui al n. 2 della parte motiva; accoglie l’appello incidentale del contribuente in ordine ai rilievi di cui ai numeri 7, 8 e 9 della parte motiva.
Conferma nel resto la sentenza e compensa le spese tra e parti.
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