COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE MOLISE – Ordinanza 11 marzo 2019
Imposte e tasse – Imposta sulle successioni e donazioni – Trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi, compresa la rinuncia pura e semplice agli stessi, fatti a favore di soggetti diversi dal coniuge, dai parenti in linea retta e dagli altri parenti fino al quarto grado – Soggezione al pagamento delle imposte sui trasferimenti ordinariamente applicabili per le operazioni a titolo oneroso se il valore della quota spettante a ciascun beneficiario è superiore all’importo di 350 milioni di lire – Mancata inclusione degli affini tra i soggetti destinatari della previsione.
Art. 13. co. 2 della Legge 18 ottobre 2001, n. 383
Fatto
Con rituale e tempestivo ricorso datato 13 luglio 2009 l’arch. P.D.L.F. impugnava innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Campobasso l’avviso di liquidazione ed irrogazione di sanzioni n. D000006/2009, notificato il 13 maggio 2009, relativo all’anno di imposta 2006 con il quale veniva disposta la liquidazione di maggiore imposta di registro ed interessi di mora e sanzioni nella misura complessiva di € 316.337,55.
La ripresa a tassazione aveva ad oggetto il recupero dell’imposta complementare ex art. 42, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 131/1986 per l’omesso versamento dell’imposta di registro nella misura di € 229.477,00 (pari al 3% del valore dell’atto di donazione al netto della franchigia di € 180.759,91) in riferimento ad un atto di donazione intervenuto in data 22 giugno 2006 e registrato il 28 giugno 2006 al n. 232 della serie IV tra il ricorrente, in qualità di donatario, e la sig.ra V.E., in qualità di donante, nel quale, a giudizio dell’Ufficio, il rapporto tra donante e donatario era stato qualificato come di parentela, risultando viceversa un rapporto di sola affinità.
Tra i due soggetti della donazione, infatti, intercorreva rapporto di affinità del III grado.
L’atto di donazione era intervenuto nel periodo di vigenza dell’art. 13 della legge n. 383/2001 che, al comma 1, aveva abolito (fino al 3 ottobre 2006, quando è stata reintrodotta dall’art. 2, commi da 47 a 53, del decreto-legge n. 262 del 3 ottobre 2006, convertito dalla legge n. 286 del 24 novembre 2006) l’imposta sulle successioni e sulle donazioni; ed al comma 2 aveva esentato dal pagamento delle imposte i trasferimenti di beni e diritti per donazione o altre liberalità tra vivi se intervenuti in favore del coniuge, dei parenti in linea retta e degli altri parenti entro il quarto grado, a condizione che la quota spettante non superasse il valore di 350.000.000 di lire.
Dunque, l’esenzione dal pagamento dell’imposta era esclusa per i trasferimenti tra affini ed allorquando il valore del trasferimento superasse l’importo di £ 350.000.000.
Nel ricorso veniva dedotta la illegittimità dell’atto impugnato sul presupposto che il regime delle donazioni previsto dall’art. 13, comma 2, della legge n. 383/2001, in vigore per gli atti tra parenti, dovesse essere esteso anche per gli atti di donazione tra gli affini appartenenti alle stesse categorie, e dunque agli affini in linea retta ed agli affini in linea collaterale entro il quarto grado, essendo le due categorie di soggetti (parenti ed affini) trattate in maniera analoga dal legislatore in molti altri settori.
Dunque, secondo il ricorrente, l’elencazione contenuta nel comma 2 dell’art. 13 non sarebbe stata tassativa.
Quale criterio interpretativo, si richiamavano anche le modifiche che l’art. 69 della legge n. 342/2000 aveva apportato al regime dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni di cui al decrteo legislativo n. 346/1990 (la cui regolamentazione è stata poi reintrodotta a far data dal 3 ottobre 2006, giusta la previsione dell’art. 2, commi da 47 a 53, del decreto-legge n. 262/2006).
Veniva chiesta, in via subordinata, la sospensione del giudizio con conseguente remissione degli atti alla Corte costituzionale per la ritenuta illegittimità dell’art. 13, comma 2, della legge n. 383 del 2001 per violazione degli articoli 2, 3, 29 e 31 della Costituzione.
Nel costituirsi in giudizio l’Ufficio contestava le prospettazioni della parte ricorrente, proponendo una lettura testuale e non sistematica dell’art. 13 della legge n. 383/2001.
Con sentenza n. 155/1/10 del 1 marzo 2010, depositata in segreteria l’11 maggio 2010, la Commissione tributaria provinciale di Campobasso respingeva il ricorso e compensava le spese.
Avverso la detta sentenza proponeva impugnativa il contribuente riproponendo sostanzialmente le argomentazioni di primo grado e chiedendo, anche in questo grado di giudizio, che venisse sollevata la questione di legittimità costituzionale della disposizione normativa di cui all’art. 13, comma 2, della legge n. 383/2001.
Si costituiva in giudizio in appello l’Ufficio eccependo, in via preliminare, l’ammissibilità dell’appello in quanto il contribuente si sarebbe limitato a riproporre i motivi del ricorso di primo grado anziché proporre specifici motivi di censura avverso le argomentazioni contenute nella sentenza gravata; riproponeva per il resto le argomentazioni già esposte in primo grado.
Con atto datato 25 ottobre 2013 l’appellante proponeva istanza di sospensione degli effetti della sentenza impugnata, deducendo, quanto al fumus boni juris, le argomentazioni dell’atto di impugnazione principale e, quanto al danno, gli effetti devastanti derivanti dall’esecuzione della sentenza.
Con ordinanza n. 99/4/13, resa alla Camera di Consiglio del 25 novembre 2013, veniva accordata la chiesta misura cautelare.
In vista della pubblica udienza di discussione del ricorso la difesa della parte appellante ha depositato in giudizio una memoria illustrativa nella quale svolgeva ampiamente le proprie doglianze che deponevano per l’illegittimo diverso trattamento tra le due categorie dei parenti e degli affini fino a determinare la illegittimità costituzionale della disposizione normativa censurata.
Diritto
Il Collegio ritiene che, in via preliminare, sia necessario esaminare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, della legge n. 383/2001 prospettata dall’appellante in quanto la corretta valutazione della portata applicativa di quella disposizione normativa è tale da incidere in maniera determinate sulla risoluzione della presente fattispecie.
A tal proposito il Collegio ritiene che debba essere sollevata innanzi alla Corte costituzionale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 23 della legge n. 87 dell’11 marzo 1953, questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, della legge n. 383 del 18 ottobre 2001, per la violazione degli articoli 2, 3, 29 e 31 della Costituzione in quanto la stessa è rilevante nel presente giudizio ed appare non manifestamente infondata.
In estrema sintesi, l’appellante rappresenta la illegittimità costituzionale della disposizione normativa richiamata nella parte in cui, nella sua portata testuale e letterale, esclude la categoria degli affini dall’ambito dei soggetti destinati a beneficiare della «franchigia» sulla imposta di donazione, dal cui pagamento sono esentati il coniuge, i parenti in linea retta e gli altri parenti fino al quarto grado, nell’ipotesi di trasferimento di beni e diritti per donazione o per altra liberalità tra vivi, allorché la quota spettante a ciascun beneficiario sia superiore a £ 350.000.000.
Il dato testuale della disposizione normativa oggetto di sospetta illegittimità costituzionale (art. 13, comma 2, della legge n. 383/2001) è il seguente: «i trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi, compresa la rinuncia pura e semplice agli stessi, fatti a favore di soggetti diversi dal coniuge, dai parenti in linea retta e dagli altri parenti fino al quarto grado, sono soggetti alle imposte sui trasferimenti ordinariamente applicabili per le operazioni a titolo oneroso, se il valore della quota spettante a ciascun beneficiario è superiore all’importo di 350 milioni di lire. In questa ipotesi si applicano, sulla parte di valore della quota che supera l’importo di 350 milioni di lire, le aliquote previste per il corrispondente atto di trasferimento a titolo oneroso».
La richiamata disposizione è stata, successivamente, abrogata dall’art. 2, comma 52, del decreto-legge n. 262 del 3 ottobre 2006, convertito con modifiche nella legge n. 286 del 24 novembre 2006.
Tuttavia il comma 53 dell’appena richiamato art. 2 prescrive espressamente che «le disposizioni di cui ai commi da 47 a 52 hanno effetto per gli atti pubblici formati, per gli atti a titolo gratuito fatti, per le scritture private autenticate e per le scritture private non autenticate presentate per la registrazione dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nonché per le successioni apertesi dal 3 ottobre 2006. Le stesse decorrenze valgono per le imposte ipotecaria e catastale concernenti gli atti e le dichiarazioni relativi alle successioni di cui al periodo precedente».
Il che sembra indurre a ritenere che, benché abrogato, l’art. 13, comma 2, della legge n. 383/2001 sia ancora idoneo a regolare le fattispecie verificatesi nel periodo temporale nel quale la disposizione normativa era ancora vigente, posto che – per espressa previsione del comma 53, dell’art. 2 appena richiamato – l’abrogazione dell’art. 13, comma 2, disposta dal comma 52, dell’art. 2 del decreto-legge n. 262/2006 ha effetto a far data dal 3 ottobre 2006.
La presente fattispecie, viceversa, riguarda un atto rogato in epoca precedente, e cioè in data 22 giugno 2006, e registrato il 28 giugno 2006.
Tanto viene specificato al fine di evidenziare come la disposizione normativa, qui sospettata di illegittimità costituzionale, sia ancora idonea a regolare la fattispecie concreta sottoposta all’attenzione di questo giudice, in quanto trattasi di disposizione normativa vigente al momento in cui l’atto di donazione è stato formato, rogato e registrato.
Il che comporta, a giudizio di questo Collegio, la persistenza del presupposto della rilevanza della questione di illegittimità costituzionale della disposizione normativa indicata e che viene in questa sede sollevata poiché, per quanto innanzi specificato, l’art. 13, comma 2, della legge n. 383/2001 è disposizione normativa ancora idonea a regolare la fattispecie sottoposta all’attenzione di questo Collegio giudicante posto che la stessa, se applicata nella sua portata letterale, così come propugnato dall’Ufficio nell’atto impugnato in primo grado, è tale da escludere dal beneficio ivi previsto tutta la categoria degli affini; ed il rapporto tra l’appellante, donatario, e la sig.ra V.E., donante, è appunto proprio di affinità e non già di parentela.
Sicché, l’applicazione letterale di quella disposizione comporta l’esclusione dell’appellante dal beneficio e la necessità di regolare la fattispecie secondo il dato testuale della disposizione richiamata.
Il che rende rilevante la questione di legittimità costituzionale della disposizione normativa di cui all’art. 13, comma 2, della legge n. 383/2001.
Né può ritenersi la questione inammissibile per l’intervenuta abrogazione della disposizione normativa sospettata di illegittimità costituzionale, posto che, come insegna la giurisprudenza, «l’abrogazione di una norma anteriormente alla rimessione della questione di costituzionalità non determina, di per sé, l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza (art. 136 della Costituzione; art. 30, comma 3, legge 11 marzo 1953, n. 87)» (Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza, 3 ottobre 2014, n. 4946). Quanto al presupposto della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, giova ribadire quanto sinteticamente esposto innanzi: la disposizione normativa sospettata di illegittimità costituzionale impedisce alla categoria degli affini di godere dei benefici ivi statuiti, determinando in tal modo una illogica discriminazione che non trova alcuna giustificazione se riguardata alla luce di alcuni elementi ordinamentali, tutti rappresentati dalla difesa dell’appellante, e che depongono – viceversa – per una necessaria parificazione delle due categorie di soggetti, i parenti e gli affini.
Sotto tale profilo viene in rilievo, innanzitutto, la violazione dell’art. 3 della Costituzione ed il principio di uguaglianza sostanziale, oltre – poi – alla violazione degli articoli 29 e 31, posti in relazione all’art. 2, della Costituzione in considerazione del favore espresso dalla Carta costituzionale nei confronti della famiglia e dei rapporti che ivi si esplicano. In questo ambito, non è dato ravvisare la ragione per la quale – nella subietta materia – possa ipotizzarsi un diverso trattamento tra il vincolo di parentela e quello di affinità, allorquando – viceversa – l’ordinamento esprime in diversi ambito ed in diverse normative il favore per un trattamento omogeneo delle due categorie di soggetti, i parenti e gli affini.
Appare utile richiamare, innanzitutto il previgente testo unico delle successioni di cui al decreto legislativo n. 346/1990, integrato dalla legge n. 342/2000, nel quale, all’art. 69, veniva statuito che l’imposta in materia di donazioni venisse determinata in misura pari al 6% del valore del bene nell’ipotesi in cui le liberalità riguardassero sia i parenti (fino al quarto grado) e sia gli affini (in linea retta e collaterale fino al terzo grado).
Pertanto il legislatore negli anni 90 accomunava i parenti e gli affini prevedendo per tutti un unico sistema proprio in virtù di quel principio di uguaglianza sostanziale.
La difesa del contribuente enumera diverse ipotesi nelle quali, nell’ambito dell’ordinamento italiano, la figura dell’affine viene trattata in maniera identica a quella del parente.
Condividendone la prospettazione, appare utile il richiamo all’art. 87, comma 4, del codice civile, che include gli affini nell’ambito delle categorie di soggetti ai quali è vietato unirsi reciprocamente in matrimonio.
Nell’ambito degli obblighi di assistenza familiare, l’art. 433, comma 5, del codice civile include gli affini tra i soggetti obbligati a prestare gli alimenti.
Ancora, l’art. 230-bis, comma 3, del codice civile include gli affini tra i soggetti che devono essere considerati come «familiari».
E così, nell’ambito degli istituti di tutela dei soggetti deboli, il codice civile individua anche gli affini tra coloro che possono essere scelti per rivestire la figura di tutore (art. 348), ovvero tra coloro i quali possono proporre istanza di interdizione o di inabilitazione (art. 417).
Segno che l’affine ha una propria posizione specifica nell’ambito dell’istituzione e dell’organizzazione familiare.
Ma discorsi non diversi possono farsi in ambito societario, laddove l’art. 2399 del codice civile individua gli affini tra i soggetti ai quali è preclusa la possibilità di rivestire la carica di sindaco, se quei soggetti sono affini di amministratori della società, o di società controllate, di quelle che controllano e di quelle sottoposte a controllo.
Ed ancora, anche la sussistenza del vincolo di affinità comporta obblighi di astensione ex art. 51 del codice di procedura civile nello svolgimento della funzione giudicante.
Infine, giova ricordare alcune disposizioni relative agli istituti esistenti in ambito di rapporto di lavoro nei quali vi è stata l’inclusione degli affini tra i soggetti che possono fruire dei permessi ex lege n. 104/1992 (legge n. 183/2010), nonché l’esclusione dal novero dei rapporti di lavoro autonomo o subordinato delle prestazioni rese in maniera occasionale anche dagli affini nelle attività agricole (art. 74 del decreto legislativo n. 276/2003).
Considerando, dunque, gli elementi normativi innanzi esposti, non può che ritenersi del tutto illogica l’esclusione degli affini dall’ambito dei soggetti che possono essere destinatari del beneficio previsto dal comma 2, dell’art. 13, della legge n. 383/2001, in quanto appare ingiusta la discriminazione di tale categoria che, pure, ad altri fini è considerata come categoria di soggetti che sono astretti da vincoli peculiari e specifici all’ambito familiare.
Appare evidente al Collegio che la disposizione normativa richiamata collida con il principio di uguaglianza sostanziale previsto dall’art. 3 della Costituzione, nonché con i principi sanciti dagli articoli 29 e 31 della stessa Costituzione, laddove gli stessi apprestano alla famiglia una particolare e specifica tutela di rango costituzionale, nell’ambito della quale sono riconosciuti e tutelati i diritti propri della collettività familiare che non è, e non può essere considerata, come ristretta ai soli parenti, laddove invece in altri settori ordinamentali il concetto di famiglia viene esteso anche agli affini.
A corroborare il convincimento del Collegio nel senso innanzi indicato vi sono anche i principi che sembrano ritraibili dalla stessa giurisprudenza della Corte costituzionale che, con la sentenza n. 203/2013, ha dichiarato la illegittimità costituzionale di disposizioni normative che non includevano – tra gli altri – gli affini nel novero dei soggetti destinatari della possibilità di fruire di congedi parentali per l’assistenza ai disabili e quindi la possibilità di chiedere ed ottenere congedi retribuiti, fino a due anni, per i lavoratori che assistono un familiare con grave disabilità (in possesso di verbale di handicap grave ex art. 3, comma 3, della legge n. 104/1992).
Ivi i parametri costituzionali individuati come violati erano proprio quelli stabiliti dagli articoli 2, 3 e 29 della Costituzione.
In forza di quanto fin qui esposto, il Collegio ritiene che debba essere sollevata in via incidentale innanzi alla Corte costituzionale, siccome rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, della legge n. 383 del 18 ottobre 2001, per contrasto con gli articoli 2, 3, 29 e 31 della Costituzione nella parte in cui non include anche gli affini tra i soggetti per i quali è escluso il pagamento delle imposte sui trasferimenti ordinariamente applicabili per le operazioni a titolo oneroso nei casi di trasferimenti di beni e diritti per donazione o altre liberalità tra vivi, compresa la rinuncia pura e semplice agli stessi, allorquando il valore della quota spettante a ciascun beneficiario non sia superiore a 350 milioni di lire.
La rimessione degli atti alla Corte costituzionale comporta la necessaria sospensione del presente giudizio, ai sensi e per gli effetti dell’art. 23, comma 2, della legge n. 87 dell’11 marzo 1953.
P.Q.M.
Non definitivamente pronunciando, ai sensi e per gli effetti dell’art. 23 della legge n. 87 dell’11 marzo 1953, solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, della legge n. 383 del 18 ottobre 2001, per contrasto con gli articoli 2, 3, 29 e 31 della Costituzione nella parte in cui non include anche gli affini tra i soggetti per i quali è escluso il pagamento delle imposte sui trasferimenti ordinariamente applicabili per le operazioni a titolo oneroso nei casi di trasferimenti di beni e diritti per donazione o altre liberalità tra vivi, compresa la rinuncia pura e semplice agli stessi, allorquando il valore della quota spettante a ciascun beneficiario sia superiore a 350 milioni di lire; conseguentemente sospende il presente giudizio fino all’esito del giudizio innanzi alla Corte costituzionale e dispone trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale per la delibazione della sollevata questione di legittimità costituzionale.
Manda alla Segreteria per gli adempimenti conseguenziali.
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