Commissione Tributaria Regionale per il Lazio sez. 10 sentenza n. 1159 depositata il 22 febbraio 2018
CAPACITA’ CONTRIBUTIVA – REDDITOMETRO – AUTO COSTOSE – SECONDA RESIDENZA – LEGITTIMITA’ DELL’AVVISO
Svolgimento del processo e motivi della decisione
1. Con atto d’appello, depositato nella Segreteria della Commissione Tributaria Regionale del Lazio il 23.11.2016, A.R., rappresentato e difeso dall’Avv.ssa E.I. in virtù di procura ad litem rilasciata in calce all’atto introduttivo, ricorre alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio avverso la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Roma nr. (omissis) in data 07.04.2016, avente ad oggetto l’avviso di accertamento nr. (omissis), relativo all’IRPEF ed altro dell’anno d’imposta 2008.
Questa la vicenda sostanziale/processuale e come allegata dalle parti; con l’avviso di accertamento in questione, l’Agenzia delle Entrate di Roma accertava a carico della parte un reddito sintetico ai sensi dell’art. 38, commi 4, 5 e 6 del Dpr 600/1973, determinando, per l’anno d’imposta 2008, un reddito sintetico imponibile di 37.868,08, in presenza e del possesso di beni non adeguatamente valutati e della sottoscrizione di due contratti di mutuo.
Avverso detto avviso di accertamento, l’A. ricorreva alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma dolendosi della carenza di motivazione dell’atto, non riuscendo a comprendere il reddito evaso; l’erronea applicazione dei criteri per l’accertamento presuntivo nonché la mancata considerazione delle prove di segno contrario allegate dal ricorrente. In ogni caso l’accertamento non teneva conto della effettiva capacità contributiva del ricorrente e della reale capacità di produzione dei redditi: in particolare l’autovettura fiat tipo 2004 era stata rottamata dopo il luglio 2008; gli altri veicoli Renault (omissis), Bmw (omissis), e la Chevrolet (omissis) erano stati valutati con coefficienti errati in quanto comprati di seconda mano ed incidentati; l’acquisto del fabbricato di Ardea, Via (omissis), era stato acquistato nel 1997 per 160.000.000 con contratto di mutuo, che era stato estinto dai figli.
Resisteva in giudizio l’Agenzia delle Entrate di Roma, sostenendo la legittimità del proprio operato, non avendo il contribuente negato la titolarità dei beni e dovendo dimostrare, dimostrazione che non vi era stata, che la spesa gestionale degli stessi era sostenuta con redditi esenti da tassazione o tassati alla fonte. A fronte dunque di elementi certi indicatori di capacità di spesa, il contribuente aveva offerto sì dei documenti, ma che non erano ritenuti sufficienti.
Con la decisione richiamata, la CTP di Roma, verificato che l’accertamento era da considerare tempestivo, rigettava il ricorso, per avere, da un lato l’Amministrazione operato in forza dei poteri di cui all’art. 38, comma 4, del DPR 600/1973, e dall’altro per non avere la parte offerto prova contraria, certamente consentita dall’art. 38 richiamato, rispetto alla prova presuntiva addotta dall’Ufficio.
2. Avverso detta decisione, l’A. interponeva rituale appello sulla base di più motivi in fatto ed in diritto:
l’accertamento eseguito era da considerare illegittimo ai sensi dell’art. 38 del DPR 600/1973, trattandosi di accertamento aberrante che si esauriva in un’azione sin troppo invasiva della sfera personale del contribuente;
nel merito, e siamo al secondo dei motivi di gravame, l’accertamento era da considerare illegittimo in quanto motivato sulla base di una erronea valutazione della capacità contributiva dell’appellante; in particolare le tre autovetture erano da considerare fuori mercato perché beni acquistati dall’appellante per importi assai esigui mentre per l’incremento patrimoniale derivante dal fabbricato sito nel Comune di Ardea, Via (omissis) si doveva considerare che lo stesso era stato acquistato nel 1997 per 160.000.000 con mutuo estinto nel 2008, da ultimo, e siamo al terzo dei motivi di gravame, l’accertamento analitico effettuato dall’Ufficio era da considerare ancora illegittimo perché effettuato sulla base di presunzioni non gravi, non precise e non concordanti.
Di qui la richiesta di annullamento dell’avviso di accertamento in questione ed il tutto con il favore delle spese del grado di giudizio, spese da distrarsi in favore del difensore ai sensi dell’art. 93 c.p.c.
Resiste nel giudizio d’appello l’Agenzia delle Entrate di Roma per chiedere nel merito, il rigetto dell’appello e con il favore delle spese del grado.
3. L’appello è infondato in diritto.
3.1. Nel merito il ricorrente si duole, in sostanza, della violazione e falsa applicazione dell’art. 38, 3°, 4°, 5°, 6° e 7° del DPR 600/1973.
La normativa richiamata abilita l’ufficio a procedere ad accertamento sintetico quando, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, il reddito complessivo netto accertabile si discosti per almeno un quinto da quello dichiarato, valorizzando al riguardo elementi indicativi di capacità contributiva, quali, ad esempio, l’acquisto di auto e beni immobili (cd. redditometro), fatta salva, naturalmente, la possibilità, per il contribuente, di dimostrare che il maggior reddito determinato o determinabile è costituito in tutto od in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte. In ogni caso l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione.
Indubbiamente la disponibilità, in Italia od all’estero, di autoveicoli costosi, come anche di auto storiche nonché di residenze principali e secondarie costituisce elemento indicativo di capacità contributiva da qualificare presunzione legale ai sensi dell’art. 2728 c.c., con la possibilità, per il giudice tributario, di valutare unicamente la prova di mancanza di reddito e senza porre in discussione il presupposto impositivo. In particolare il giudice tributario, accertata l’effettività degli “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di incidere su detta capacità presuntiva ma solo valutare la prova (contraria) che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e quindi non imponibile o perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati (cfr. Cass. 23.07.2007 nr. 16284).
In detta ottica, gli avvisi di accertamento sono congruamente motivati, valendo per loro, e come insegna la giurisprudenza costante del S.C., il carattere di “provocatio ad opponendum”, con obbligo di motivazione soddisfatto ogni qual volta l’Amministrazione ponga il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e quindi di contestarne efficacemente e l’an e il quantum debeatur, come pacificamente avvenuto nella specie (cfr. Cass. 18.04.2003 nr. 6232).
3.2. In fatto il ricorrente non ha smentito la circostanza dell’acquisto di quattro autovetture e di un immobile, con capacità contributiva accertata non solo sulla base delle spese sostenute per il mantenimento di detti beni, ma con possibilità di accertare, di poi capacità contributiva dell’intero nucleo familiare.
A fronte di dette presunzioni, il contribuente non offre la prova contraria richiesta dal S.C. (redditi esenti o redditi non esposti in dichiarazione perché tassati alla fonte), limitandosi a parlare di interpretazione dell’art. 38, da parte dell’Agenzia delle Entrate, non costituzionalmente orientata in quanto in contrasto con i principi costituzionali della capacità contributiva e del giusto processo, rilievo decisamente generico al riguardo.
Né si può parlare di prova diabolica, trattandosi di prova da offrire in concreto e tesa a superare la capacità presuntiva del reddito collegabile all’acquisto e di auto e di appartamenti. In particolare la documentazione prodotta dal contribuente non è da ritenere idonea a superare la prova presuntiva di cui beneficia l’amministrazione finanziaria, trattandosi di dichiarazioni di parte (dichiarazione A.O., nota a firma di A.O.) che non possono trovare ingresso nel processo tributario, in difetto di prove documentali che non sono state assolutamente prodotte dalla parte. Da ricordare che in detto processo dette dichiarazioni sono inammissibili, in considerazione del divieto di prova testimoniale ex art. 7 del D.L.vo 546/1992 e stessa cosa deve dirsi per l’autocertificazione.
Di qui il rigetto del ricorso.
Le spese, e come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale, Sez. X,
rigetta l’appello;
condanna l’appellante a rifondere all’Agenzia delle Entrate di Roma le spese del grado, liquidate in 1.500,00 € omnicomprensive, oltre al doppio contributo come per legge.
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