Commissione Tributaria Regionale per la Toscana sezione 3 sentenza n. 420 depositata il 08 marzo 2019
Rimborso IVA – contenzioso tributario
Con ricorso alla CTP di Firenze la contribuente in epigrafe ha impugnato gli atti pure in epigrafe indicati, relativi a procedure di rimborso IVA, e per quanto occorrer potesse il rifiuto tacito di rimborso.
Avendo resistito al ricorso l’Agenzia delle Entrate, la CTP lo ha dichiarato inammissibile, compensando le spese di lite.
Ha proposto appello la contribuente per il seguente motivo:
1) ammissibilità del ricorso di primo grado, perché gli atti di sospensione del rimborso sono parificati a rifiuti espressi di rimborso; e riproponeva con l’occasione le censure già formulate in prime cure e cioè:
2) inesistenza della notifica effettuata a mezzo PEC in violazione del modello legale;
3) legittimità della richiesta di rimborso;
4) necessità della condanna dell’Ufficio alla spese di lite.
Ha resistito all’appello l’Agenzia delle Entrate, con controdeduzioni datate 20 febbraio 2018.
La parte privata ha prodotto memoria illustrativa della propria posizione.
Questa Commissione ritiene infondato l’appello, per le ragioni che di seguito si espongono, in relazione alla numerazione sopra riportata delle censure
formulate dall’appellante.
1) Secondo l’orientamento del Giudice di legittimità, gli atti di sospensione del rimborso dei tributi possono considerarsi atti ex se impugnabili qualora siano emessi in applicazione di disposizioni normative che prevedano la loro impugnabilità; in particolare, qualora emessi in forza dell’art. 23 d.lgs. 472/1997, che, al comma 1, sancisce che la sospensione del rimborso può essere disposta qualora (e pertanto solo dopo che) sia stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione o provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi e, al comma 3, che la sospensione può in tal caso essere impugnata davanti alla commissione tributaria. Coerentemente con l’applicazione di tali principi, la Suprema Corte ha ritenuto che il citato art. 23 colloca il provvedimento di sospensione al momento conclusivo dell’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria, quando la stessa ha formalizzato le sue determinazioni in un atto tipico, essendo la sospensione ai sensi del ricordato art. 23 subordinata a precisi atti formali dell’Amministrazione medesima, e cioè la notifica dell’atto di contestazione o di irrogazione della sanzione, ancorché non definitivo (cfr. Cass. 8295/2014). Sempre in coerenza con tali principi, il Giudice di legittimità ha anche escluso la natura di atto sospensivo del procedimento di rimborso nell’invito, formulato dall’Ufficio al contribuente, a produrre documenti e garanzia fidejussoria, non essendo un tal genere di atto riconducibile né alla ipotesi di cui all’art. 38 bis del DPR 633/1972, né a quella di cui al ricordato art. 23 del d.lgs. 472/1997 e neppure alla fattispecie di cui all’art.69 del RD 2440/1923 (cfr. Cass. 25764/2014). Non rientrandosi in alcuna delle dette ipotesi, deve quindi concludersi che esattamente la sentenza appellata ha riconosciuto la natura meramente interlocutoria negli atti impugnati nella presente controversia, escludendone l’autonoma impugnabilità.
Autonoma impugnabilità che deve invece essere riconosciuta al successivo avviso di accertamento con il quale è stato disconosciuto il credito per l’anno 2014 oggetto della richiesta di rimborso, avviso che risulta essere stato impugnato dalla contribuente con successivo ricorso alla CTP di Firenze.
2) Da quanto appena detto, deriva l’inammissibilità della censura afferente la pretesa inesistenza della notifica degli atti de quibus perché effettuata a mezzo PEC. Se infatti si tratta di atti non impugnabili, appare del tutto irrilevante determinare se la notifica degli stessi sia stata o meno irrituale.
3) Parimenti inammissibile risulta la deduzione dell’appellante circa la pretesa legittimità della richiesta di rimborso. La Suprema Corte ha infatti ritenuto che, nel caso di impugnazione del provvedimento di sospensione del rimborso IVA, il Giudice tributario è tenuto ad esaminare, preliminarmente, i vizi di legittimità del provvedimento medesimo, e solo se lo riconosca viziato, può procedere all’accertamento del diritto di credito vantato dal contribuente (Cass.22952/2018); ne consegue che nel caso di specie, stante l’inammissibilità del ricorso contro gli atti dell’Ufficio oggetto della richiesta di annullamento, questo Collegio non può esaminare la questione della legittimità e fondatezza della pretesa di rimborso, pur se introdotta dalla parte privata anche, per quanto occorrer possa, come richiesta di accertamento dell’illegittimità del preteso silenzio serbato dall’Amministrazione sulla richiesta medesima.
4) Il rigetto dell’appello comporta la conferma della statuizione sulle spese di primo grado contenuta nella sentenza appellata, compensazione che, attesa laparticolarità delle questioni sollevate e decise nella controversia, questo Collegio ritiene di estendere anche alle spese del presente grado.
La Commissione respinge l’appello; compensa le spese del presente grado di giudizio.
Così deciso in Firenze il 18 febbraio 2019
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