COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Roma – Sentenza n. 594 sez. 1 del 15 febbraio 2017
LIQUIDAZIONE E CONTROLLI – INDAGINI FISCALI – GUARDIA DI FINANZA – PVC – DATI TABULATO – DOCUMENTAZIONE EXTRACONTABILE – FORNITORE – MANCATA AUTOFATTURA – LEGITTIMITA’ DELL’AVVISO
FATTO
Con sentenza n. 3724/31/16, depositata il 19 febbraio 2016, la Commissione tributaria provinciale di Roma accoglieva, previa riunione per connessione, i ricorsi con cui la società E.D. sas di P.B. ed i soci B.F. e G.A. avevano impugnato l’atto di contestazione n. (omissis) relativo ad IRES, IVA e Irap per l’anno 2006, e l’avviso di accertamento n. omissis relativo ad IRES, IVA e Irap per l’anno 2007, emessi dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale III di Roma in base al p.v.c. elevato dalla Guardia di Finanza di Velletri, a sua volta derivante da altro p.v.c. della Guardia di Finanza di Treviso nei confronti del Mobilificio N. spa con sede a Pieve Soligo (TV): in particolare, dai controlli effettuati, era emerso che la società ricorrente aveva acquistato beni dal Mobilificio N. senza ricevere il documento fiscale e senza emettere, entro quattro mesi dall’effettuazione delle suddette operazioni commerciali, la dovuta autofattura.
I giudici di primo grado, rilevato che l’atto di contestazione n. omissis relativo ad IVA e Irap per l’anno 2006 era stato annullato dall’Ufficio in accoglimento dell’eccezione di decadenza formulata dal ricorrente, prendevano atto dell’intervenuta cessazione della materia del contendere sul punto. Quanto invece all’accertamento per l’anno 2007, giudicavano non sufficiente il presupposto dell’accertamento medesimo incentrato sui dati del tabulato reperito presso la sede della venditrice dalla Guardia di Finanza che, riversati nel p.v.c., non apparivano idonei a costituire da soli prova degli acquisti “in nero” attribuiti alla società ricorrente.
Avverso tale sentenza ricorre in appello l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale III di Roma, eccependone l’erroneità in fatto e in diritto, in quanto si sarebbe limitata a recepire acriticamente le tesi della ricorrente, negando la sussistenza dei presupposti per la contestata azione accertativa, ma allo stesso tempo riconoscendo la presenza di forti indizi di evasione nel tabulato informatico reperito nell’ufficio del presidente del C.d.A. della Mobilificio N. spa.
In realtà, la valenza probatoria ai fini dell’evasione della documentazione extracontabile rinvenuta era acclarata dalla CTR di Venezia a seguito dell’appello proposto dalla Direzione Provinciale di Treviso: ne derivava, a cascata, la piena legittimità dell’azione di recupero operata anche nei confronti della società acquirente. Peraltro, sulla validità della documentazione rinvenuta e sul rango di prova che la medesima assurge, la Cassazione ha in più occasioni affermato che il ritrovamento da parte della Guardia di Finanza presso la sede dell’impresa di una “contabilità parallela” legittima di per sé il ricorso all’accertamento induttivo (Cass. n. 17365 del 24.7.2009); ed inoltre la documentazione extracontabile legittimamente reperita presso la sede dell’impresa costituisce elemento probatorio, ancorché presuntivo, utilmente valutabile in sede di accertamento (Cass. n. 19329 dell’8.9.2006), per cui spetta alla parte che subisce tale presunzione fornire la prova contraria (Cass. n. 35610 del 1° dicembre 2006). Ne consegue la piena legittimità dell’operato dell’Ufficio, dovendo essere nel caso di specie solo ed esclusivamente la parte a fornire la prova contraria, soprattutto alla luce della conferma in sede giudiziale dell’atto impositivo recapitato alla società con cui l’odierna resistente aveva intrattenuto rapporti commerciali senza la relativa tracciabilità contabile.
Controdeducono, con nota depositata il 25 ottobre 2016, la società E.D. sas di P.B. ed i soci B.F. e G.A., rappresentati e difesi dall’avv. G.S., con studio in Roma, Via F.S., chiedendo il rigetto dell’appello con conferma della sentenza emessa dai giudici di primo grado. Ciò in quanto, secondo i resistenti, non vi è alcuna prova che la D. abbia intrattenuto rapporti commerciali in nero con la società N., posto che non v’è stato alcun contraddittorio con la società presunta acquirente in nero, che non è mai stata ritualmente convocata dalla Guardia di Finanza di Velletri, né risultano mai nei suoi confronti formalmente acquisiti gli elementi da parte degli Organi verificatori. Inoltre, anche la sentenza della CTR di Venezia citata dall’Ufficio non ha carattere definitivo, pendendo superiore giudizio per cui non può essere attribuito valore di prova a quanto in essa contenuto.
All’odierna pubblica udienza le parti costituite hanno riproposto le rispettive tesi.
DIRITTO
È nota la giurisprudenza della Corte di Cassazione sulla valenza probatoria della documentazione extracontabile rinvenuta nel corso di una verifica fiscale. Tal documentazione può consistere in appunti e annotazioni in agende, brogliacci, ma anche in tabulati elaborati informaticamente, presenti sul p.c. o floppy disk, dai quali sia ragionevole desumere operazioni occultate alla dichiarazione ovvero attività economiche fiscalmente rilevanti non dichiarate.
È principio reiteratamente affermato dalla Suprema Corte che “in terna di accertamento tributario, la contabilità in nero, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, anche se rinvenuta presso terzi, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e legittima di per sé, a prescindere da ogni altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli” (tra le più recenti, Cass. n. 14150/16, confermata da Cass. Sez. V, 03.11.2016, n. 22214).
Per cui, con l’accertamento extracontabile l’Amministrazione finanziaria si avvale di un regime probatorio che la esonera dalla dimostrazione analitica dell’infedeltà delle risultanze delle scritture contabili alla luce della particolare natura e gravità dei presupposti che ne legittimano l’adozione. Spetta al contribuente, pertanto, l’onere di provare la legittimità del proprio operato sulla base di elementi, dati e fatti tali da far ritenere non corretta il risultato della ricostruzione extra-contabile nonché la legittimità della procedura extracontabile adoperata dall’ufficio.
Inoltre, l’attività di accertamento extracontabile – in linea con le altre metodologie accertative – pur dovendo svolgersi nel rispetto dei diritti del contribuente, non è retta dal principio del contraddittorio. Ciò significa che non vi è l’obbligo da parte dell’Amministrazione finanziaria di invitare il contribuente a fornire dati, notizie e chiarimenti.
Ciò in quanto l’accertamento tributario, per la sua natura e per la funzione che lo connota, non costituisce una decisione su contrastanti interpretazioni di fatti e di norme giuridiche, da adottarsi col rispetto del contraddittorio, né esprime un apprezzamento critico in ordine a dati noti a entrambe le parti, ma si esaurisce in un provvedimento autoritativo con il quale l’Amministrazione finanziaria fa valere la propria pretesa tributaria, esternandone il titolo e le ragioni giustificative al solo fine di consentire al contribuente l’opportunità di esperire impugnazione giudiziale, instaurando così un procedimento nell’ambito del quale la parte creditrice sarà tenuta a passare dall’allegazione della propria pretesa, alla prova del credito tributario vantato nei confronti del ricorrente, fornendo la dimostrazione degli elementi costitutivi del proprio diritto (cfr. Cassazione, n. 6232/2003 e n. 3128/2001).
Tanto premesso, risulta nel caso di specie che, a fronte della conferma della valenza probatoria del contenuto della documentazione extracontabile rinvenuta dalla Guardia di Finanza di Treviso, ad opera della CTR di Venezia, la resistente ha omesso di fornire all’Ufficio gli elementi necessari a fornire prova contraria dell’evasione contestata, tanto in sede di verifica incrociata svolta dalla Guardia di Finanza di Velletri, quanto nel contraddittorio con l’Ufficio accertatore. Tale decisiva circostanza non risulta essere stata adeguatamente considerata dalla decisione di primo grado, che risulta invece erroneamente incentrata sull’insufficiente valenza probatoria della contabilità parallela reperita ai fini dell’evasione fiscale ipotizzata.
La Commissione ritiene quindi fondato e meritevole di accoglimento il ricorso in appello dell’Ufficio, con riforma dell’appellata sentenza e salvezza dell’atto di accertamento impugnato in primo grado.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in € 1.000,00 per il primo grado di giudizio ed in € 2.000,00 per il grado di appello.
P.Q.M.
La Commissione tributaria regionale per il Lazio, Roma, Sezione I, accoglie l’appello e riforma l’impugnata sentenza come in motivazione Spese processuali liquidate in € 1.000,00 (mille/00) per il primo grado di giudizio ed in € 2.000,00 (duemila/00) per il grado di appello, come in motivazione.
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