COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Roma sentenza n. 9899 sez. 1 del 30 dicembre 2016
SOCIO – CARTELLA DI PAGAMENTO – SENTENZA PASSATA IN GIUDICATO – LEGITTIMITA’ DELL’ISCRIZIONE A RUOLO
FATTO
La presente controversia ha come oggetto la cartella di pagamento n. (omissis), emessa nei confronti del sig. M.P. recante l’iscrizione a ruolo a titolo definitivo delle somme dovute a seguito della decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Roma n. 503/57/12, depositata in data 24 dicembre 2012, con cui i giudici di primo grado si erano pronunciati in merito all’accertamento societario emesso nei confronti della società E.B. s.r.l. in fallimento e in merito agli accertamenti (riuniti) notificati in capo ai tre soci, rispettivamente all’odierno appellante Sig. M.P., alla socia Sig.ra S.F.R. e alla socia Sig.ra D.S.F.: accertamenti questi ultimi emessi sulla base della distribuzione pro quota di utili extra bilancio.
Nel ricorso introduttivo, il ricorrente contestava la quantificazione delle imposte e delle sanzioni riportate nella cartella impugnata. Contestava inoltre l’attribuzione di utili extracontabili in capo al socio, effettuata dall’Ufficio e confermata nella sua legittimità dalla citata sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, ormai passata in giudicato.
Si costituiva in giudizio l’Ufficio, contestando le eccezioni di parte, ribadendo che la cartella oggetto della presente controversia concerneva l’iscrizione a ruolo a seguito di una sentenza definitiva e la medesima sentenza, avente efficacia di giudicato fra le parti, non poteva essere oggetto di contestazione essendo il titolo dell’iscrizione a ruolo pienamente legittimo.
Con la sentenza n. 2102/2016, la Commissione Tributaria Provinciale di Roma ha respinto il ricorso proposto dal Sig. M.P., con compensazione delle spese processuali.
Avverso la sentenza 2102/2016, il contribuente ha proposto appello, deducendo l’illegittimità della cartella per infondatezza della pretesa tributaria, per difetto di motivazione della cartella e per violazione del diritto di difesa del contribuente.
Si costituisce in giudizio l’Agenzia delle entrate D.p. I di Roma, per chiederne, con articolate controdeduzioni, la riforma.
La causa viene trattata in pubblica udienza, essendo stata presentata regolare istanza in tal senso.
All’udienza odierna sono presenti il difensore del contribuente e il rappresentante dell’Ufficio.
DIRITTO
Questa Commissione ritiene che l’appello del contribuente sia infondato e vada, pertanto, respinto.
E, invero, la sentenza pronunciata dai primi giudici è adeguatamente motivata, del tutto aderente alle risultanze processuali e in linea con la normativa che regola la materia, di guisa che non merita alcuna critica e/o censura.
Come pure nessuna critica e/o censura merita l’Ufficio, che ha provveduto all’iscrizione a ruolo nella misura indicata in cartella, considerato il fatto che essendo un’iscrizione a titolo definitivo, le sanzioni sono state iscritte a ruolo per intero, mentre i tributi sono stati iscritti per il residuo ammontare, tenuto conto dell’iscrizione a titolo provvisorio.
L’importo richiesto deriva dalla rideterminazione del maggior imponibile in capo alla società e, di conseguenza, in capo ai soci del residuo ammontare dovuto a seguito della sentenza citata n. 503/57/12.
L’accertamento del diritto dell’Amministrazione all’esazione dei tributi, allorquando sia stato sub iudice e si ancori, conseguentemente ad una sentenza, trova fondamento in un provvedimento giurisdizionale e non rientra più nell’ambito di applicazione dell’articolo 25 del DPR 602/1973 (fase squisitamente amministrativa e quindi precontenziosa), ma in quella dell’articolo 68 del D.lgs. 546/1992, ai sensi del quale è la sentenza il presupposto che legittima l’iscrizione a ruolo della somma giudizialmente accertata.
Tale conclusione trova conferma nella sentenza della Corte di Cassazione n. 25790/2009 (Cfr. anche Cassazione 1967/2005 e 1339/2001). In particolare, i giudici di legittimità hanno affermato che “il titolo in base al quale l’Ufficio vittorioso agisce iure executionis non è più l’atto che conteneva la domanda di imposta bensì la pronuncia del giudice…”.
Questa forza sostitutiva che si attribuisce alla sentenza (totale o parziale che sia) è il naturale corollario della natura del processo tributario. Si osserva infatti che il giudizio tributario ha natura di impugnazione-merito, va da sé che, in questa sede, il giudice conosce del merito della pretesa fiscale che, se ritiene condivisibile, conferma definitivamente nella sentenza.
Il diritto di credito vantato dall’Amministrazione (e veicolato dall’avviso di accertamento e la successiva cartella di pagamento) viene definitivamente accertato, nell’an e nel quantum, nella sentenza, la quale, diventata res iudicata, va portata a esecuzione.
Deve, poi, osservarsi che, nella fattispecie di cui si controverte, nessuna norma impone un obbligo di contraddittorio preventivo, né tanto meno la notifica di un avviso bonario.
Deve evidenziarsi, inoltre, che, ai sensi dell’art. 7, comma 3, L. n. 212/2000, “Sul titolo esecutivo riportato il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria”. Dal tenore letterale della norma, contenuta nello Statuto del Contribuente, emerge, senza ombra di dubbio, che la motivazione della cartella è sufficientemente integrata dal semplice richiamo dell’avviso di accertamento iscritto a ruolo e della sentenza sopra citata, in quanto solo in mancanza di esso è prevista “la motivazione della pretesa tributaria”.
Nel presente caso, nella cartella è precisato che le somme sono dovute a titolo definitivo a seguito della sentenza resasi definitiva.
D’altra parte la cartella di pagamento è stata redatta in conformità al modello di cui all’art. 25, comma 2, D.P.R. n. 602/73, disposto con D.M. n. 321/1999 come aggiornato dal Provv. Ag. Entrate 22/04/2008.
Ciò detto, si osserva che il contribuente era nelle condizioni di comprendere in modo completo l’operato dell’Ufficio (come già affermato dal primo giudice: “Non c’è nessuna violazione al diritto alla difesa in quanto lo stesso ricorrente avendo tutti gli elementi per la determinazione del reddito, perché indicati nel n. 503/51/12 era nella condizione di rideterminare il nuovo reddito e quindi di controllare l’esatta applicazione della sentenza”).
In riferimento alla illegittimità dell’attribuzione di utili extracontabili in capo al socio, in virtù dell’accertata ristrettezza della base azionaria, occorre notare che la sentenza della Commissione Tributaria provinciale di Roma, n. 503/57/12 ha riunito i ricorsi proposti dalla società Fall. 1219 E.B. avverso l’avviso di accertamento n. … , per l’anno di imposta 2004 – nonché gli avvisi di accertamento notificati ai soci della stessa società, fra cui, l’odierno appellante.
In questa sede non può che ribadirsi come per consolidata giurisprudenza di legittimità in questa tipologia societaria la posizione del socio è peculiare nel senso che è molto probabile il verificarsi di una confusione tra l’economia del socio e l’economia della società, con la conseguenza che pur non sussistendo una presunzione legale di distribuzione degli utili ai soci, non può considerarsi illogica la presunzione che gli utili sociali non contabilizzati siano entrati nella disponibilità dei soci stessi in virtù della complicità che avvince un gruppo così composto.
Tale ristrettezza della compagine sociale, pertanto, determina, come conseguenza logica, una presunzione semplice di distribuzione degli utili occulti della società ai soci, così come confermato in diverse occasioni dalla Corte di Cassazione (sentenze n. 4695/02, n. 7174/02 e 16885/03 e da ultimo con la recente sentenza n. 20078/2005 e ancora 25688 del 04 dicembre 2006 e 21415 dell’11 ottobre 2007) che l’appartenenza ad una società a ristretta base proprietaria costituisce, di per sé, prova della distribuzione degli utili ai soci, salva la prova contraria e la dimostrazione, gravante sul contribuente, che i maggiori ricavi siano stati accantonati o reinvestiti (ipotesi non verificatasi nel caso in esame).
L’accertamento riguardante i soci deriva esclusivamente dall’accertamento societario, oggetto, nella presente fattispecie, di un giudicato definitivo insindacabile.
Non può dunque, il contribuente, rimettere in discussione la pretesa tributaria in merito alla fattispecie ormai cristallizzatasi nei suoi confronti.
La sentenza, avente efficacia di giudicato fra le parti non può essere oggetto di contestazione e, pertanto, il titolo dell’iscrizione a ruolo è pienamente legittimo.
Infine, in ordine all’istanza cautelare di sospensione dell’esecuzione deve osservarsi che il contribuente non ha fornito alcun valido elemento di prova in ordine alla sussistenza dei presupposti di legge al fine di un’eventuale sospensione, né sotto il profilo del fumus boni iuris, né sotto quello del periculum in mora, con la conseguenza che detta istanza deve essere rigettata.
Sulla base delle dedotte considerazioni, l’appello del contribuente deve essere respinto e, per l’effetto, deve essere dichiarata legittima, valida ed efficace la cartella di pagamento impugnata.
Le spese di lite possono essere compensate tra le parti, tenuto conto della natura della presente controversia e della complessità delle questioni esaminate
P.Q.M.
La Commissione tributaria regionale del Lazio – Sezione prima, definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, così dispone: “Respinge l’appello del contribuente e compensa le spese di giudizio per entrambi i gradi”.
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