Consiglio di Stato, Sezione Quinta, sentenza n. 1603 depositata il 15 febbraio 2023

offerta economica – percentuale formulata in modo errato ma immediatamente riconoscibile – rettifica

FATTO

1.- Con ricorso proposto dinanzi al TAR per il Lazio – Roma, E. s.r.l. impugnava il provvedimento con il quale, all’esito del procedimento evidenziale indetto per la concessione, di durata biennale, del “servizio di raccolta, trasporto e recupero di indumenti usati ed accessori di abbigliamento mediante posizionamento di contenitori anti-intrusione in aree pubbliche del territorio comunale, il Comune di Fiumicino aveva disposto l’aggiudicazione a favore della società coop. “L.F.”, collocatasi al primo posto in graduatoria.

2.- A sostegno del gravame, la ricorrente lamentava, prospettando plurima violazione di legge:

a) che, in violazione e/o errata applicazione della lex specialis di gara ed alterando la parità di condizione tra gli operatori economico concorrenti, la stazione appaltante avesse esercitato un inedito un potere di “interpretazione” dell’offerta economica presentata dall’aggiudicataria, disponendone l’arbitraria correzione in taluni elementi fondamentali;

b) che, sotto più generale profilo, la valutazione delle proposte in concorrenza e l’attribuzione dei punteggi, relativamente al confronto comparativo tra le offerte tecniche migliorative, sarebbe stato connotato da macroscopiche contraddizioni ed illogicità;

c) che, prima ancora, in mancanza di criteri o subcriteri specifici, le valutazioni sarebbero state connotate da inadeguato ed incongruo supporto giustificativo;

d) che, in asserita violazione dell’art. 97, commi 3 e 6 del d. lgs. n. 50/2016, sarebbe stata erronea ed illegittima la decisione di non sottoporre a verifica di anomalia, né “obbligatoria” né facoltativa, l’offerta formulata dall’aggiudicataria, stanti le plurime ed emergenti ragioni di incongruenza nella valorizzata struttura dei costi.

3.- Nella resistenza della stazione appaltante e della controinteressata L.F. – la quale formalizzava, a sua volta, ricorso incidentale prospetticamente escludente, con il quale denunziava la carenza, in capo alla ricorrente principale, dei requisiti di partecipazione alla competizione – con la sentenza epigrafata il TAR adito respingeva sia il ricorso incidentale che quello principale, disponendo l’integrale compensazione delle spese di lite.

Segnatamente, la decisione: a) assumeva corretta l’emenda dell’offerta dell’aggiudicataria, la cui errata formulazione si palesava, in concreto, frutto di evidente errore materiale; b) escludeva, in ragione della autonomia delle valutazioni tecniche rimesse alla stazione appaltante e nella riscontrata assenza di evidenti profili di irragionevolezza o di macroscopica erroneità, che la valutazione comparativa delle offerte potesse ritenersi complessivamente irragionevole; c) escludeva, in fine, sia la ricorrenza dei presupposti per l’obbligatoria sottoposizione a verifica di anomalia (in ragione della disposta esclusione della terza concorrente partecipante), sia la ventilata incongruità del valorizzato margine di remunerazione dell’offerta vincente, alla luce delle voci di costo e dei prospettici ricavi evidenziati.

4.- Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, E. s.r.l. impugnava la ridetta statuizione, di cui lamentava la complessiva erroneità ed infondatezza, auspicandone l’integrale riforma.

Si costituivano in giudizio, in resistenza, il Comune di Fiumicino e L.F. sooc. coop..

Alla pubblica udienza del 13 ottobre 2022, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa veniva riservata per la decisione.

DIRITTO

1.- Con il primo motivo di gravame, l’appellante denuncia error in judicando, relativamente alla valutazione, espressa dal primo giudice, in ordine alla corretta formulazione della offerta economica, per la quale la stazione appaltante aveva disposto la mera emenda di un errore materiale, evincibile ictu oculi, dal quale era connotata.

A dire dell’appellante, non di errore materiale si sarebbe trattato, ma di obiettiva e non emendabile formulazione al rialzo della proposta negoziale, sulla quale, allora, la stazione appaltante avrebbe operato un arbitrario intervento manipolatorio.

1.1. Il motivo non è fondato.

Alla luce della documentazione in atti, non contestata dalle parti, risulta: a) che, nella sua offerta economica, la società appellata aveva proposto, giusta le indicazioni della lex specialis, un rialzo percentuale rispetto al prezzo base d’asta (stabilito dalla stazione appaltante in € 324,00 per ogni cassonetto oggetto di intervento); b) che – indicando quale rialzo percentuale il 108% – la stessa aveva, in ogni caso, quantificato in termini assoluti il prezzo unitario offerto per ogni cassonetto, nella misura di € 349,92; c) che, nella prospettiva dell’odierna appellante, tale dato si sarebbe risolto in una (inemendabile) discrasia tra l’aumento percentuale (che avrebbe portato ad un valore di € 673 per ogni cassonetto) e l’aumento reale (pari, come vale ripetere, ad € 349,92), rendendo l’offerta incerta e meritevole, per ciò solo, di estromissione.

Ciò posto, appare evidente che l’indicazione percentuale sia stata formulata in modo erroneo, ma immediatamente riconoscibile e senz’altro rettificabile, nella prospettiva conservativa della esatta acquisizione dei termini della proposta negoziale.

Appare chiaro, in effetti, che il valore offerto (€ 349,92) corrispondesse esattamente (e precisamente) al 108% della indicazione parametrica a base d’asta (€ 324,00 x 1,08 = € 349,92). Si intende, perciò, che la concorrente aveva inteso quantificare in termini percentuali (oltreché assoluti) il prezzo offerto, per tal via evidenziando, senza incertezza, l’effettivo aumento proposto. In altri termini – sia pur erroneamente dichiarando la percentuale di incremento del prezzo posto a base d’asta – l’intento, del tutto intellegibile, era quello di evidenziare il prezzo della proposta (sia in termini percentuali, sia in termini assoluti): laddove l’incremento aumento percentuale era in realtà – con immediato e perspicuo calcolo matematico – pari all’8% [detto il prezzo base e p’ il prezzo offerto in aumento, si ha, in effetti, che p’ = p + 8% p = (1 + 0,8) p = 1,08 = 108% p].

Che di semplice errore materiale si tratti (e non di abnorme offerta al rialzo) è confermato non solo (e non tanto) dalla palese anomalia della complessiva offerta al rialzo (plasticamente evidenziata dalla moltiplicazione dell’aumento per il numero totale dei cassonetti) – ciò che, si deve convenire, non sarebbe stato di per sé sufficiente ad autorizzare l’intervento correttivo e manipolativo della stazione appaltante, che non ha facoltà di soccorso nella acquisizione dell’offerta – ma proprio, e con ogni evidenza, dalla precisa e rimarcata corrispondenza, al centesimo, tra il ridetto incremento percentuale e il corrispondente esito assoluto.

Correttamente, perciò, il primo giudice – sul rilievo del carattere manifesto dell’errore e della possibilità di emendarlo facendo riferimento solo ai dati intrinseci dell’offerta economica presentata dalla stessa concorrente, senza dover far ricorso a fonti esterne o ad eterointegrazioni vietate dai principi dell’immodificabilità dell’offerta e della par condicio dei concorrenti – ha valorizzato il principio per cui, per consolidato intendimento, nelle gare pubbliche deve ritenersi senz’altro ammissibile un’attività interpretativa della volontà dell’impresa concorrente, al fine di superare eventuali ambiguità nella formulazione dell’offerta, sempreché sia dato giungere, come certamente deve dirsi nella specie, ad esiti certi ed incontrovertibili in ordine alla effettiva portata dell’impegno negoziale, e ciò nella prospettiva della ricerca e della valorizzazione di una volontà effettiva del dichiarante che non richieda, per essere esattamente acquisita, di operazioni di integrazione e/o di rettifica che non siano implicitamente ma chiaramente estraibili dal tenore della proposta e dai dati economici allegati (cfr., tra le molte Cons. Stato, sez. III, 9 dicembre 2020, n. 7758; Id., sez. V, 11 gennaio 2018, n. 113; Id., sez. IV, 6 maggio 2016, n. 1827).

2.- Con distinto mezzo, l’appellante si duole che, nel respingere il quarto motivo del ricorso di prime cure, il TAR abbia ritenuto, in applicazione dell’art. 97, comma 3 del d. lgs. n. 50/2016, che legittimamente la stazione appaltante si fosse sottratta alla verifica obbligatoria di anomalia a carico della società aggiudicataria, in ragione del fatto che – con la disposta esclusione del terzo operatore economico che aveva fatto domanda di partecipazione – fosse, in concreto, difettante il presupposto del numero delle offerte ammesse “pari o superiore a tre”.

A suo dire: a) la disposizione de qua non troverebbe applicazione in materia di affidamento di servizi, per i quali – in mancanza di parametri legislativi idonei ad individuare con precisione i relativi presupposti – la verifica dell’anomalia delle offerte sarebbe imposta dai “principi generali dell’azione amministrativa” e, in particolare, dal canone di ragionevolezza; b) inoltre, nel caso di specie, l’esclusione dell’offerta presentata in gara dalla terza concorrente (raggruppamento Elle 30/RAU), appariva del tutto incomprensibile, al segno da legittimare la supposizione (o il sospetto) che l’esclusione potesse essere stata (strumentalmente) finalizzata proprio e solo al fine di richiamare la norma invocata per consentire di escludere dal controllo di anomalia l’offerta dell’aggiudicataria.

2.- Il motivo è infondato.

Osserva il Collegio che, di là da ogni altro rilievo, proprio l’assunto censorio dell’appellante – secondo cui, in materia di affidamento di servizi, l’art. 97, comma 3 (e, segnatamente, la puntuale prefigurazione dei presupposti per l’obbligatoria attivazione della verifica di anomalia), non sarebbe applicabile, dovendo farsi capo (solo) al generale canone di ragionevolezza – porterebbe a ritenere, contro l’intenzione, che il subprocedimento giustificativo sarebbe rimesso alla discrezionalità della stazione appaltante, risultando – con ciò – sempre (e per definizione) facoltativo e mai vincolato, come per contro si pretende.

Non appare, allora, irragionevole che – di là dalla diretta applicabilità del criterio del numero minimo di offerte, prefigurato dall’art. 97, comma 3 cit. – l’Amministrazione abbia ritenuto non necessario (cioè, non automatico) attivare la fase di giustificazione, in assenza di elementi concretamente sintomatici della anomalia dell’offerta.

È, in tale prospettiva, perfino irrilevante la disposta estromissione della terza impresa offerente (in ordine alla quale, in ogni caso, il ventilato sospetto di strumentalità ed elusività è rimasto, in assenza di puntuali e specifici elementi di prova in tal senso, allo stato di mera enunciazione, che non può essere, come tale, assecondata).

3.- Parimenti destituito di fondamento l’ulteriore motivo di gravame, con il quale l’appellante si duole della mancata attivazione (facoltativa, ex art. 97, comma 6 d. lgs. n. 50/2016) dell’offerta formulata dall’aggiudicataria, a suo dire sospetta relativamente alla effettiva sostenibilità ed utilità economica ragionevolmente ritraibile dalla esecuzione della commessa.

Invero, con adeguata motivazione, che si sottrae alle prospettate censure, la sentenza appellata ha evidenziato la concreta insussistenza di profili di “macroscopica antiecomicità” nella offerta formulata da L.F.: e ciò in ragione del fatto che, per un verso, i costi dichiarati non risultavano superare i ricavi presunti nel biennio e che, in ogni caso, l’attività della controinteressata dovesse essere concretamente valutata alla luce della sua natura di Onlus, non orientata ad uno meramente scopo di lucro, ma alla creazione di posti di lavoro ed alla promozione dell’integrazione sociale.

Più in dettaglio, nel piano economico-finanziario elaborato risultavano puntualmente riportati i costi aziendali (per un totale di € 72.943,40 annuo, pari ad € 145.886,80 per il biennio) ed il valore della produzione stimata in base agli abitanti del Comune di Fiumicino ed alla produzione pro capite (pari ad € 88.747,88 annui, e quindi ad € 177.495,75 per il biennio), con conseguente prefigurazione dell’esistenza di un apprezzabile e prospettico margine di remuneratività della gara (l’utile di esercizio risultando pari ad € 15.804,58 annui).

4.- Con ultimo motivo di doglianza, l’appellante si duole del rigetto del secondo e del terzo motivo di ricorso di prime cure, con i quali aveva censurato, sotto il profilo della complessiva congruità e ragionevolezza, la valutazione delle offerte e l’attribuzione dei punteggi.

In particolare si duole che la sentenza non abbia considerato che, nella vicenda in esame, la possibilità di applicare sostanzialmente punteggi on/off (con l’attribuzione di punteggi pari a zero) non fosse neppure prevista dalla lex specialis, la quale avrebbe dovuto intepretarsi nel senso dell’opzione (esclusiva) per criteri valutativi graduati (da un minimo ad un massimo).

4.1.- Il motivo è inammissibile.

Per un verso, infatti, si limita a censuare la valutazione del primo giudice, senza formulare alcuna specifica e puntuale valutazione critica in ordine alla relativa motivazione, che ha ritenuto corretto, nei limiti del potere discrezionale spettante, la valutazione della stazione appaltante. Per altro verso introduce, per la prima volta in fase di appello ed in violazione del divieto di jus novorum posto dall’art. 104 cod. proc. amm., una specifica ragione di doglianza non articolata in prime cure.

5.- Alla luce delle considerazioni che precedono, l’appello risulta complessivamente infondato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante alla refusione delle spese del grado, che liquida in complessivi € 5.000, oltre accessori di legge, a favore del Comune di Fiumicino e in € 5.000, oltre accessori, a favore della soc. coop. L.F..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.