CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 novembre 2017, n. 26627
Imposte indirette – IVA – Reddito d’impresa – Accertamento – Fatture – Contabilità formalmente regolare
Con ricorso in Cassazione affidato a tre motivi, nei cui confronti il contribuente ha resistito con controricorso, l’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza della CTR della Sicilia, sezione di Messina, in tema di accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, lamentando con i primi due, la violazione degli artt. 2729 e 2697 c.c. e dell’art. 39 del DPR n. 600/73, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., nonché omesso esame di un fatto decisivo del giudizio e discusso tra le parti, in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., sul medesimo profilo di censura, in quanto, erroneamente i giudici d’appello avrebbero ritenuto erronea la percentuale di ricarico rideterminata dall’ufficio per l’anno in contestazione nell’80,45% poi corretta nel 67,75% che era basata su una media aritmetica a campione basata sui prezzi d’acquisto risultanti dalle fatture passive e sui prezzi di vendita, esposti sulla merce, risultanti dal listino prezzi, per come specificato nel pvc del 12.4.2001; con un terzo motivo, l’ufficio ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c., perché i giudici d’appello nulla avrebbero statuito circa il primo recupero operato dall’ufficio, in particolare, per il recupero dei costi indeducibili che doveva ritenersi definitivo per mancata impugnazione.
Il Collegio ha deliberato di adottare la presente ordinanza in forma semplificata.
L’articolata censura è fondata.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “In materia di IVA, l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni” (Cass. ord. n. 26036/15), inoltre, è convincimento di questa medesima Corte, che in tema di accertamento tributario, gli elementi assunti a fonte di presunzione non debbono essere necessariamente plurimi, potendosi il convincimento del giudice fondare anche su un elemento unico, anche se preciso e grave, la cui valutazione, non è sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato (Cass. n. 656/14).
Nel caso di specie, la rideterminazione della percentuale di ricarico, pur in presenza di una contabilità formalmente corretta, si era basata sui prezzi di acquisto e rivendita di un campione significativo dei singoli articoli inventariati dal ricorrente (v. ricorso, in particolare p. 11), sulla base di una media aritmetica desunta dal sistema della formazione dei prezzi interni all’azienda stessa, quindi, operata in base a dati non privi di concretezza, quali i prezzi unitari d’acquisto e di vendita e l’incidenza del prodotto sul costo del venduto, alla luce del basso indice di rotazione del magazzino (Cass. n. 24313/14) e di tutti gli altri indici indicati alle pagine 14, 15 e 16 del ricorso, che costituivano senza dubbio, indizi gravi, precisi e concordanti, laddove, i giudici d’appello non hanno saputo indicare la diversa ricostruzione della percentuale di ricarico esposta dalla parte contribuente.
Anche il terzo motivo appare fondato, in quanto, l’ufficio ricorrente ha documentato di aver coltivato l’eccezione nel precedente grado di giudizio, mentre nulla di significativo ha saputo controbattere il ricorrente in sede di controricorso.
Infine, l’eccezione d’inammissibilità sollevata in controricorso (p. 5) non merita adesione, in quanto, l’ufficio ha censurato l’unica ratio decidendi della decisione – basata sull’inesatta metodologia ricostruttiva – pur declinata sotto molteplici profili.
La sentenza va, pertanto, cassata e la causa va rinviata alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione di Messina, affinché, alla luce dei principi sopra esposti, riesamini il merito della controversia.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione di Messina, in diversa composizione.
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