CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 ottobre 2020, n. 22185

Tributi – Accertamento – Reddito di impresa – Contabilità regolarmente tenuta – Difformità tra percentuale di ricarico applicata e quella media di settore – Antieconomicità della gestione – Accertamento induttivo – Legittimità

Rilevato che

L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione avverso la sentenza d’appello in epigrafe che ne ha rigettato l’appello avverso la sentenza della CTP di Napoli n. 612/23/11, con la quale è stato annullato l’avviso di accertamento mediante il quale |quali era stato rettificato – ai fini IRES e IRAP – il reddito di impresa, ed aumentato – ai fini IVA – il volume di affari, con riferimento all’anno 2004, nei confronti della contribuente, società esercente l’attività di “mini mercati”.

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Resistono i contribuenti con controricorso.

Considerato che

– Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia lamenta la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., degli artt. 39, comma 1, lett. d), d.P.R: n. 600 del 1973, dell’art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, degli artt. 2697, 2727, 2728 e 2729 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., avendo la CTR trascurato l’idoneità dei profili dedotti di antieconomicità della gestione a sorreggere di per sé l’atto impositivo.

Con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia censura, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, avendo la CTR ritenuto di soffermarsi unicamente sulla percentuale di ricarico media di settore, ancorché l’erario avesse dedotto profili di antieconomicità della gestione, del tutto trascurati.

Con il terzo ed ultimo motivo di ricorso, l’Agenzia si duole, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.c., della violazione degli artt. 1, 2, 7 d.lgs. n. 546 del 1992 e 112 c.p.c., non avendo il giudice d’appello proceduto alla quantificazione del debito fiscale, limitandosi ad annullare l’atto impositivo.

– I primi due motivi di ricorso, strettamente connessi, sono fondati e vanno accolti, con assorbimento del terzo.

La CTR ha rigettato l’appello dell’Agenzia ritenendo che lo stesso fosse sorretto unicamente da un riferimento ai valori percentuali medi del settore, peraltro incontrollabili.

– Ancorché vada ribadito, poiché condivisibilmente espresso, il principio per cui “in tema di accertamento dei redditi d’impresa, è legittimo il ricorso al metodo induttivo, anche in presenza di contabilità regolarmente tenuta, ove la difformità tra la percentuale di ricarico applicata dal contribuente e quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza raggiungano livelli di abnormità ed irragionevolezza tali da rendere complessivamente inattendibile la documentazione contabile” (Cass. n. 14428 del 2018; Cass. n. 16773 del 2017), la statuizione del giudice d’appello è contraddetta dalle risultanze di causa. In realtà nella prospettazione erariale sottesa all’avviso impositivo – e il cui contenuto è rimportato in ricorso in ossequio al principio di autosufficienza del medesimo l’accertamento analitico-induttivo era fondato, non solo sulla percentuale di ricarico applicata, sensibilmente inferiore rispetto alla media del settore (11,49% in luogo del 15%), ma anche su altri elementi indicativi di un andamento imprenditoriale economicamente illogico. Risaltavano: una persistente perdita di esercizio negli anni di riferimento (2002-2004); un reddito di esercizio negativo e ”incapace di remunerare l’attività lavorativa dei soci”] un esorbitante costo del lavoro; un incremento progressivo del costo del lavoro in misura inversamente proporzionale al trend degli utili, tendente al ribasso.

– In tale situazione, le scritture contabili, pur formalmente corrette, si palesavano inattendibili in quanto in contrasto con i criteri di ragionevolezza ed economicità.

– La prospettazione erariale si poneva assolutamente in linea con l’orientamento di questa Corte, che ha affermato che l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con il quale l’Ufficio finanziario procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, è consentito, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata (Cass. n. 20857 del 2007; Cass. n. 9084 del 2017); si è, inoltre, rilevato che la tenuta della contabilità in maniera formalmente regolare non è di ostacolo alla rettifica delle dichiarazioni fiscali e, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l’accertamento su base presuntiva ed il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie (Cass. n. 14428 del 2005 e Cass. n. 9084 del 2017 cit.).

La sentenza d’appello, dunque, contraddice, senza addurre argomentazioni utili a proprio sostegno, il quadro emergente, contrassegnato da operazioni contestate che non seguivano la logica del profitto, mostrandosi prive di una valida ragione economica che neppure la società appariva stata in grado di indicare, restando sostanzialmente trincerata sulla legittimità formale del suo operato.

– In definitiva, la decisione impugnata trascura di considerare gli elementi che descrivano le dinamiche economico-finanziarie dell’impresa non apparivano giustificate sul piano dell’elementare logica aziendale, avuto riguardo ai parametri sopra rammentati Si trattava di elementi astrattamente suscettibili di corroborare l’accertamento analitico-induttivo alla base dell’imposizione fiscale.

– Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l’accertamento sulla base presuntiva e “il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie” (Cass. n. 18802 del 2002; Cass. n. 7680 del 2002; Cass. n. 11645 del 2001).

– Giova rilevare come, la giurisprudenza di questa Corte abbia evidenziato anche che in materia di IVA, l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54, commi 2 e 3, d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni (Cass. n. 26036 del 2015).

Il ricorso va, in ultima analisi accolto. La sentenza d’appello dev’essere cassata e la causa rimessa, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla CTR della Campania, in diversa composizione.

P.Q.M.

Accoglie i primi due motivi del ricorso, assorbito il terzo; cassa la sentenza d’appello; rinvia per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità alla CTR della Campania in diversa composizione.