CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 ottobre 2017, n. 24872
Imposte locali – ICI – Accertamento – Area fabbricabile – Valore venale – Metodo della trasformazione
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 29/07/2014, la Commissione Tributaria Regionale di Roma ha accolto l’appello di Roma Capitale proposto contro la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma n. 131/39/13 concernente avvisi di accertamento ICI 2006. In particolare, la CTR ha ritenuto che:
– il ricorso della società E. S.T. s.r.l. aveva ad oggetto un avviso di accertamento ICI per l’annualità 2006, mentre, erroneamente, la decisione della CTP impugnata aveva riguardato l’annualità 2005;
– in tali ipotesi, in applicazione del principio di tassatività delle ipotesi di nullità, la CTR può integrare la motivazione della CTP, decidendo la controversia;
– per determinare la base imponibile dell’ICI il Comune di Roma ha utilizzato, come criterio di stima, il metodo della trasformazione secondo cui il valore venale in commercio dell’area fabbricabile è dato dalla differenza tra il valore dell’edificato (come si configurerebbe ad edificazione avvenuta della cubatura realizzabile per l’area presa in considerazione) ed i costi di trasformazione (i costi necessari per l’edificazione stessa);
– non sussiste alcun difetto di motivazione dell’avviso di accertamento perché in questo atto è indicato espressamente il criterio seguito per la determinazione del valore venale e sono stati tenuti in considerazione tutti i costi di trasformazione, con il riferimento a fonti assolutamente valide.
Avverso questa decisione, la società E. Servizi Terziari s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
Roma Capitale ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, la società E.S.T. s.r.l. ha dedotto, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., la “nullità assoluta del processo”, sostenendo che quando il giudice di primo grado, errando sull’oggetto del giudizio, pronuncia su una annualità di imposta che era oggetto di un diverso procedimento, la CTR sarebbe tenuta a rimettere la controversia al giudice di primo grado.
2. Il motivo è infondato e va rigettato.
Per il principio dell’assorbimento delle nullità del giudizio di primo grado nei motivi di gravame, il giudice di appello, tranne che nelle ipotesi tassativamente previste dagli artt. 353 e 354 cod. proc. civ., deve trattenere la causa e decidere il merito, quali che siano i vizi che inficiano il giudizio svolto davanti al primo giudice.
L’omessa pronuncia su un capo di domanda o su una domanda, non rientrando in nessuna delle ipotesi previste in tali norme, non può configurarsi che come vizio della decisione, da correggersi dal giudice di appello (Cass. n. 15373 del 01/12/2000; Cass. n. 13892 del 28/06/2005). In applicazione di questo principio, la CTR, riconosciuto che inequivocabilmente il ricorso concerneva l’annualità 2006 dell’ICI e che la CTP aveva deciso su quella del 2005, ha deciso la controversia nel merito.
3. Con il secondo motivo di ricorso la società E.S.T. s.r.l. ha lamentato, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, dell’art. 1, comma 161, della legge n. 296 del 2006 nonché degli artt. 24, comma 2, e 97 Cost., deducendo che sarebbe illegittimo “per carenza motivazionale” l’avviso di accertamento ICI nel quale il valore venale dell’area edificabile sia determinata facendo riferimento ad elementi desunti da banche dati, come i valori OMI, e da pubblicazioni (“Fonte DEI-Tipografia del Genio civile”) non allegati, né trascritti nella motivazione dell’atto e, comunque, su una serie di elementi di cui non sarebbe stata indicata la fonte, né il valore loro attribuito.
4. Il motivo è infondato e va rigettato.
L’avviso di accertamento dell’amministrazione comunale risulta pienamente motivato e la CTR ha reputato detta motivazione congrua. In particolare, l’amministrazione ha illustrato il metodo adoperato per determinare il valore venale dell’area e ha analizzato i singoli elementi di stima adoperati, precisando che «trattasi … in tutti i casi di fonti assolutamente valide in quanto, a parte le delibere ed il piano regolatore, anche l’OMI ed il genio Civile si presentano come fonti attendibili, essendo gestito l’OMI dall’Agenzia delle entrate ai sensi dell’art. 64, comma 3, del d. Igs. n. 300 del 1999 ed avendo il Genio civile competenza in materia di costi di costruzione per cui anch’esso offre le necessarie garanzie di obiettività». La motivazione dell’atto si è riferita a fonti pubbliche, normalmente adoperate in questi casi e, comunque, facilmente rinvenibili da chiunque sia interessato.
Tra l’altro, come è stato riconosciuto dalla CTR, nell’avviso è precisato che l’amministrazione ha tenuto conto delle vendite verificatesi nell’anno, essendo stati riportati i valori di alcuni atti notarili di vendita, «atti indicati nel ricorso dalla società», dando atto che la società contribuente, in relazione al valore dell’edificato, «si limita ad una generica lamentela senza indicare gli importi che dovrebbero essere esatti secondo la sua prospettiva».
Ne consegue che la violazione di legge dedotta non sussiste.
5. Con il terzo motivo di ricorso la società E.S.T. s.r.l. ha lamentato, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 504 del 1992, sostenendo che il valore di un’area edificabile non possa essere determinato dall’ente locale applicando il cd. metodo della trasformazione.
6. Con il quarto motivo di ricorso la società E.S.T. s.r.l. ha lamentato, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2697, 2727 e 2729 c.c., sostenendo che, per rispettare i criteri distributivi degli oneri probatori l’ente locale è tenuto a produrre in giudizio i documenti – segnatamente le risultanze della banca dati OMI e la pubblicazione “DEI-Tipografia del Genio civile”.
7. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati e vanno rigettati.
Ai sensi dell’art. 5, comma 5, del d. Igs. n. 504 del 1992, il valore degli immobili, base imponibile dell’ICI, per le aree fabbricabili, è costituito dal “valore venale in comune commercio” al 1 gennaio dell’anno di imposizione, avendo riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche. La norma, dunque, fa riferimento ad una pluralità di elementi compositi, fondati su dati desumibili da atti amministrativi (ad esempio l’indice di edificabilità e la destinazione d’uso consentita) o da fonti esterne (prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche).
Il criterio adoperato dal Comune, che è ampiamente illustrato nella sentenza della CTR, rispecchia la norma indicata perché ha condotto alla determinazione del valore dell’area fabbricabile sulla base della differenza tra il ricavato (valore dell’edificato), «come si configurerebbe ad edificazione avvenuta della cubatura realizzabile per l’area presa in considerazione», ed i costi necessari all’edificazione stessa (costi di trasformazione). Ne consegue che non sussiste alcuna violazione del disposto dell’art. 5 della d. Igs. n. 504 del 1992.
Neppure risulta violata la disciplina relativa al riparto degli oneri probatori. Nell’articolata motivazione la CTR analizza i criteri adoperati dall’amministrazione comunale per determinare il valore dell’area edificabile. Sono stati impiegati dati in possesso dello stesso ente locale (ad esempio, l’indice di edificabilità è stato tratto dal piano regolatore e dalle norme tecniche di attuazione; la qualificazione della zona in cui insiste l’area è stata determinata in base ad una delibera del consiglio comunale puntualmente indicata) nonché ulteriori fonti pubbliche, normalmente adoperate in questi casi e, comunque, facilmente rinvenibili da chiunque sia interessato. Ne consegue che non ricorre la dedotta violazione del riparto degli oneri probatori.
8. Il ricorso, pertanto, va respinto. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
– respinge il ricorso;
– condanna la contribuente a pagare le spese di causa, liquidate in € 10000,00 per compensi„ oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.
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