CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 novembre 2017, n. 28645
Tributi – Accertamenti bancari – Movimentazioni bancarie sui conti delle persone fisiche socie o ex socie – Imputabilità alla società – Esclusione – Adeguate giustificazioni
Rilevato che
Con sentenza in data 5 febbraio 2016 la Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione distaccata di Lecce, respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 217/4/12 della Commissione tributaria provinciale di Brindisi che aveva accolto il ricorso della P.M.srl contro l’avviso di accertamento IRAP, IRES ed altro, IVA ed altro 2006. La CTR osservava in particolare che, pur legittimo l’uso della presunzione ex art. 32, d.P.R. 600/1973 da parte dell’Ente impositore con riguardo alle movimentazioni bancarie sui conti delle persone fisiche socie o ex socie della società contribuente, tuttavia dovevano considerarsi adeguate le giustificazioni date dai soggetti interessati circa la non riferibilità di tali flussi finanziari alle attività fiscalmente rilevanti della società contribuente stessa, con la conseguente infondatezza delle pretese tributarie oggetto della lite.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo tre motivi.
Resiste con controricorso la società contribuente.
L’agenzia fiscale ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- l’agenzia fiscale ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione degli artt. 32, d.P.R. 600/1973, 2709, 2727 ss. cod. civ., poiché la CTR ha escluso la concreta applicabilità della presunzione legale fondante l’atto impositivo impugnato.
Con il secondo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- la ricorrente denuncia vizio motivazionale radicale della sentenza impugnata, in quanto fondata su un apparato argomentativo meramente apparente.
Con il terzo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente si duole della violazione dell’art. 2709, cod. civ., poiché la CTR non ha considerato le originarie dichiarazioni confessorie del legale rappresentante della società contribuente circa la riferibilità delle movimentazioni bancarie oggetto della verifica a caparre confirmatorie versate da clienti della società stessa.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, sono inammissibili e comunque infondate.
Va infatti ribadito che: – «Con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9097 del 2017);
-«In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione» (ex multis Sez. 5, n. 26110 del 2015).
Orbene tutti e tre i mezzi addotti si pongono in evidente contrasto con i principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali, chiedendo a questa Corte un riesame meritale “del fondo della lite” che le è senz’altro precluso.
In particolare il primo mezzo – surrettiziamente- adduce che il giudice tributario di appello abbia violato l’art. 32, d.P.R. 600/1973 nonché le disposizioni codicistiche in materia di presunzioni, mentre è di contro chiaro dalla motivazione della sentenza impugnata che, diversamente, la CFR, pur affermando l’utilizzabilità della prova presuntiva da parte dell’agenzia fiscale in un caso, quale quello di specie, di movimentazioni bancarie afferenti a persone fisiche “vicine” alla società e tra loro, ha poi riscontrato la sussistenza di adeguate “prove liberatorie” da parte dei soggetti interessati, così pronunciandosi nel merito con un giudizio che appunto non è ulteriormente sindacabile in questa sede.
Nemmeno peraltro accoglibile la censura profilante il vizio motivazionale radicale, ponendosi senz’altro la sentenza impugnata al di sopra del c.d. “minimo costituzionale” (cfr. SU 8053/2014).
Ed ancora la mancata valorizzazione delle originarie dichiarazioni del legale rappresentante della società contribuente in ordine alla riferibilità delle somme de quibus a caparre confirmatorie e quindi ad attività fiscalmente rilevante della società stessa, non può che farsi rientrare nelle valutazioni meritali esclusivamente spettanti al giudice tributario speciale.
TI ricorso va dunque rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714 – 01).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna l’agenzia fiscale ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.100 oltre euro 200 per esborsi, 15% per contributo spese generali ed accessori di legge.
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