CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 agosto 2017, n. 20646
Facchinaggio – Appalto – Divieto di intermediazione di manodopera – Violazione – Utilizzo di veicoli e indumenti di lavoro del committente – Mancanza di struttura organizzativa della cooperativa di coordinamento delle prestazioni dei soci – Espletamento di mansioni estranee all’oggetto dell’appalto – Indici rivelatori della interposizione vietata – Sussistenza rapporto di lavoro subordinato
Rilevato
1. che la Corte di appello di Napoli, pronunziando sull’impugnazione di D.S., originario ricorrente, in riforma della sentenza di primo grado, ha accertato la sussistenza, tra il detto S. e la B.T.S. s.p.a., di un rapporto di lavoro subordinato a decorrere dal 1.7.1981 al 30.6.1998 e condannato la società al pagamento delle connesse differenze retributive, ivi compreso il ricalcolo del TFR, da liquidarsi in separata sede;
1.1. che il giudice di appello ha ritenuto la violazione del divieto di intermediazione di manodopera, ai sensi dell’art. 1 L. n. 1369 del 1960, in relazione all’attività prestata dal S. quale socio della C.A., alla quale la B.T.S. s.p.a. aveva commissionato attività di facchinaggio e trasporto, osservando:
1.2. che la società committente non aveva specificamente contestato, come suo onere ai sensi dell’art. 416 cod. proc. civ., le circostanze allegate ai capi B) D) della originaria domanda relative all’espletamento dell’appalto mediante utilizzo di mezzi aziendali (veicoli e indumenti di lavoro) della committente;
1.3. che il quadro probatorio delineatosi deponeva per la mancanza di una struttura organizzativa della Cooperativa destinata a coordinare le prestazioni dei soci in relazione all’attività oggetto del contratto di appalto, non essendo emersa la presenza sul posto, neanche saltuaria, di personale della società appaltatrice la cui unica funzione concerneva l’individuazione del personale da inviare presso la B. ed il pagamento delle retribuzioni ai soci lavoratori;
1.4. che dalla documentazione prodotta, relativa all’utilizzo dei soci della cooperativa, era, inoltre, emerso l’espletamento di mansioni estranee all’oggetto dell’appalto – attività di facchinaggio -, mansioni di esclusiva competenza della società committente, quali l’attività di trasporto e consegna a domicilio delle merci;
1.5. che la istruttoria espletata aveva poi confermato la soggezione dei soci della cooperativa al potere organizzativo e di controllo della società commentante atteso che erano i dipendenti della B. ad indicare ai primi le mansioni da espletare e gli orari da osservare;
1.6. che la assunzione del S., a partire dal 1986, da parte della società avvalorava l’assunto del ricorrere di un’ipotesi di intermediazione vietata,
2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la B.T.S. s.p.a. in liquidazione sulla base di quattro motivi;
3. che la parte intimata ha depositato procura .
4. che il PG. ha concluso per il rigetto del ricorso;
5. che la parte intimata ha depositato memoria;
6. che parte ricorrente ha depositato memoria tardiva;
Considerato
1. che con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 416, 345 e 112 cod. proc. civ. nonché omesso esame di fatti e circostanze essenziali esposti nella memoria di costituzione di primo grado;
1.2. che la sentenza impugnata viene censurata per avere ritenuto incontestate le circostanze di cui ai capi B) e D) della originaria domanda, deducendosi che l’ammissione di prova orale nel corso del giudizio di primo grado precludeva alla Corte di appello l’esame della questione relativa alla non contestazione da parte del convenuto delle circostanze allegate nel ricorso introduttivo; il lavoratore, del resto, con l’atto di appello, si era limitato a dedurre esclusivamente l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie ma nulla aveva eccepito in punto di ammissione delle prove da parte del giudice di prime cure ed in punto di non contestazione di alcune circostanze di fatto;
2. che con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1 Legge 23/10/1960, censurandosi, in sintesi, la decisione di appello per non avere fatto corretta applicazione dei principi elaborati dal giudice di legittimità in tema di indici rivelatori della sussistenza della illegittima interposizione di manodopera;
2.1. che, in particolare, si sostiene l’errore del giudice di appello per avere valorizzato alcuni elementi quali la conduzione degli automezzi della B., l’avere indossato tute della società, l’avere osservato l’orario di lavoro indicato da quest’ultima, l’assenza di una presenza organizzativa della Cooperativa che coordinasse le prestazioni dei soci; si assume, infatti, che la conduzione dei mezzi della B. era intrinseca alla prestazione oggetto dell’appalto, che l’uso di mezzi e attrezzature della committente non consentiva di configurare un’ipotesi di fattispecie vietata, che non vi era stato uso di capitali dell’appaltatore, che la necessità di presenza organizzata della cooperativa era irrilevante al fine della dimostrazione della autonomia organizzativa ed economica della società;
3. che con il terzo motivo si deduce erronea insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi, censurandosi la decisione per avere ritenuto determinante la circostanza della conduzione da parte dei soci della cooperativa dei mezzi della B. e dell’utilizzo delle tute da lavoro della committente e per avere ritenuto affidati all’appaltatore i soli compiti di gestione amministrativa dei rapporti in assenza di una reale organizzazione della prestazione finalizzata ad un autonomo risultato produttivo, circostanza questa che si assume priva di riscontro in atti ; si censura, inoltre, la valorizzazione dell’ampliamento dell’oggetto del contratto di appalto; si richiama la deposizione del teste S., resa in primo grado, evidenziandosi che dopo tale deposizione era stato depositato verbale di udienza della causa “parallela”intentata da altro lavoratore”; si sostiene che il giudice di appello avrebbe dovuto fare ad essa riferimento ed in questa prospettiva si richiamano le deposizioni dei testi escussi in quel giudizio;
4. che con il quarto motivo di ricorso, svolto in subordine, si deduce l’omesso esame di documenti essenziali che, ove presi in considerazione, avrebbero portato, verosimilmente, ad una diversa decisione in punto di durata del rapporto di lavoro subordinato;
5. che il primo motivo di ricorso è infondato; in particolare, in ordine alla eccepita preclusione al rilievo della non contestazione se ne rileva la genericità non essendo la stessa corredata dall’autosufficiente richiamo agli atti di causa e, nello specifico, al contenuto delle istanze istruttorie ammesse in prime cure, destinate, in tesi, a dimostrare che la prova orale si era esplicata sui medesimi fatti ritenuti in seguito incontestati dal giudice d’appello;
5.1. che in merito all’ulteriore profilo con il quale si assume, in sintesi, la non corretta applicazione del principio di non contestazione, per essere in realtà le circostanze di cui ai punti B) e D) del ricorso introduttivo state contrastate con la memoria difensiva di primo grado, occorre premettere che secondo la giurisprudenza di questa Corte il contenuto e l’ampiezza della domanda dei ricorrente (e della difesa del resistente) costituiscono pur sempre una valutazione del giudice di merito (Cass. 16 dicembre 2005 n. 27833), e la sussistenza o l’insussistenza d’una contestazione, quale contenuto della posizione processuale della parte, passa attraverso il filtro dell’interpretazione data dal giudicante, restando una sua funzione, sindacabile solo per vizio di motivazione. Nel caso specifico parte ricorrente non deduce, con riguardo all’affermazione del giudice di appello, alcuno specifico vizio motivazionale limitandosi a contrapporre alla riproduzione del punti interessati del ricorso di primo grado le difese spiegate con la memoria difensiva su tali punti (v. pagg. 6 e sgg. ricorso).
La doglianza articolata è quindi inidonea alla valida censura della decisione di secondo grado, dovendosi ulteriormente osservare che il confronto fra le opposte deduzioni difensive conferma, peraltro, la correttezza della valutazione della sentenza qui impugnata, non emergendo alcuna specifica contestazione delle allegazioni formulate nei capi B) e D) del ricorso di primo grado;
6. che il secondo motivo di ricorso è da respingere in quanto gli elementi sui quali il giudice di appello ha fondato l’accertamento relativo al ricorrere della intermediazione vietata, e cioè, l’utilizzo, nell’espletamento dell’appalto, di mezzi ed indumenti di lavoro della committente, l’assenza di un coordinamento organizzativo da parte della cooperativa appaltatrice, l’osservanza di un orario di lavoro indicato dalla B.T.S. s.p.a., lo svolgimento di mansioni ulteriori rispetto all’oggetto dell’appalto, sono coerenti con la consolidata giurisprudenza di legittimità in tema di indici rivelatori della interposizione vietata (cfr, tra le altre, Cass. 28/03/2013 n. 7820, Cass. 13/03/2013 n. 6343, Cass. 30/08/2007 n. 18281, Cass. 21/07/2006 n. 16788, Cass. 26/04/2003 n. 6579, Cass. 16/09/2000 n. 12249,Cass. 23/04/1999 n. 4046, Cass. 21/05/1998 n. 5087, Cass. 26/02/1994 n. 1979);
6.1. che non è dirimente ad escludere la illecita interposizione la circostanza che la Cooperativa affidatala dell’appalto non era impresa fittizia (V. tra le altre, Cass. 20/05/2009 n. 11720);
7. che il terzo motivo di ricorso è infondato. Premesso, infatti, che la valutazione dei presupposti fattuali per l’accertamento del ricorrere di un’ipotesi di interposizione vietata di mano d’opera dà luogo ad un giudizio di fatto riservato al giudice di merito ed è, perciò, insindacabile in sede di legittimità se sorretta da adeguata motivazione (Cass. 15/01/2008 n. 657), si rileva che con le censure articolate parte ricorrente tende a sollecitare un diverso apprezzamento delle risultanze probatorie da parte del giudice di merito, in violazione della consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale la denuncia del vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte dal giudice di merito al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e concludenza nonché scegliere tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (v. tra le altre, Cass. 02/07/2008 n. 18119, Cass. 21/09/2006 n. 20455); in conseguenza, il vizio di motivazione deve emergere dall’esame del ragionamento svolto dal giudice di merito quale risulta dalla sentenza impugnata e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire la identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato diversi che, agli stessi elementi siano attribuiti dal ricorrente ed in genere dalle parti (v. tra le altre, Cass. 18/372011 n. 6288);
7. che il quarto motivo di ricorso è inammissibile sia per difetto di pertinenza con le reali ragioni del decisum, sia per difetto di interesse ad impugnare;
7.1. che, invero, dalla parte motiva della decisione non è dato in alcun modo evincere che il giudice di appello ha ritenuto che il periodo non regolarizzato si estendeva anche a quello, successivo al 6.7.1986, in relazione al quale il S. era stato formalmente assunto dalla B.T.S. s.p.a., avendo espressamente il giudice di appello dato atto della circostanza ritenuta idonea ad avvalorare la esistenza della pregressa illecita interposizione;
7.2. che in relazione al profilo con il quale si contestano le conseguenze di tale accertamento in tema di differenze retributive e di tfr, la censura attiene alla concreta liquidazione del quantum demandato ad altro giudizio;
8. che a tanto consegue il rigetto del ricorso;
9. che le spese di lite, liquidate secondo soccombenza, sono determinate avuto riguardo all’attività difensiva spiegata dalla parte intimata, limitata al deposito della procura e della memoria;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 1.000,00 per compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15%,oltre accessori di legge.
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