CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 luglio 2017, n. 16532
Tributi – Atto di compravendita immobiliare – Erronea applicazione dell’IVA – Assoggettamento ad imposta di registro – Compensazione tra credito IVA indebitamente corrisposta ed il debito per l’imposta di registro – Fattispecie antecedente all’entrata in vigore del D.M. 8 novembre 2011 – Esclusione
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza n. 51/33/10 emessa in data 11.01.2010, depositata in data 12.05.2010, la Commissione tributaria regionale della Lombardia respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, Dir. Prov.le Como, Ufficio di Erba, confermando la sentenza emessa dalla CTP di Como, dichiarando la competenza dell’Ag. Entrate, Ufficio di Erba, disponendo il rimborso a favore della contribuente B. C. della somma di € 22.000,00 e compensando le spese. La controversia ha ad oggetto l’impugnativa di due avvisi di liquidazione, di cui il primo in materia di imposta di registro, ipotecaria e catastale e, il secondo, sempre in materia di imposta di registro, per la revoca delle agevolazioni “prima casa”.
2. Al fine di consentire una migliore intelligibilità dell’impugnazione, va premesso in fatto che il 9.12.2004 veniva stipulato un atto di compravendita in base al quale la società immobiliare I. s.r.l. vendeva alla contribuente un complesso immobiliare in Sardegna per il prezzo di € 2.200.000,00; l’Ufficio rilevava che la venditrice non svolgeva operazione di vendita di fabbricati, ma la sua attività si riferiva unicamente alla locazione immobiliare, per cui l’atto stipulato non doveva essere sottoposto ad IVA in quanto esente ex art. 10, co. 1, n. 8 bis, d.P.R. n. 633 del 1972, ma ad imposta di registro; nel corso del controllo emergeva che l’acquirente non poteva usufruire delle agevolazioni “prima casa” in quanto l’atto riguardava un complesso immobiliare e non una singola unità abitativa ed aveva caratteristiche di lusso; seguiva la notifica di un avviso di liquidazione e di applicazione delle sanzioni per la revoca delle agevolazioni usufruite e il recupero delle imposte dovute, importo che veniva saldato dalla contribuente con mod. F23; nei confronti invece del primo avviso di liquidazione, veniva proposto ricorso sia dall’acquirente che dalla società venditrice.
3. La CTP adita accoglieva parzialmente il ricorso, affermando che la compravendita doveva essere assoggettata ad imposta di registro e rigettava ogni richiesta di ulteriori tassazioni ritenendo già versato l’importo dovuto pari all’ 11 % del valore dell’atto, imposto superiore dell’1% rispetto al dovuto.
4. A seguito dell’appello interposto dall’Ufficio – con cui veniva contestata la compensazione effettuata dal primo giudice tra imposta di registro ed IVA nonché l’ordine di rimborsare l’imposta pari all’1% maggiormente riscossa per lo stesso atto, senza individuare l’Agenzia delle Entrate competente ad effettuare il rimborso – la CTR, con la sentenza impugnata, rigettava l’appello in sintesi così argomentando: a) che l’avviso di liquidazione di cui si controverte riguarda l’assoggettamento del valore dell’immobile compravenduto all’imposta di registro con aliquota pari al 10%; b) che doveva darsi per accertato che la tassazione dell’immobile non poteva essere assoggettata ad IVA con aliquota del 4% in mancanza di requisiti di legge da parte dell’immobiliare I. s.r.l., trattandosi di cessione di fabbricato esente ex art. 10, co. 1 bis, d.p.r. n. 633 del 1972; c) che pertanto la contribuente non doveva subire ulteriore tassazione a qualsiasi titolo, risultando, anzi, aver corrisposto una somma superiore a quanto dovuto di € 22.000, 00, pari all’1% del valore dell’immobile; d) che era da ritenersi priva di fondamento l’eccezione dell’Ufficio che ritiene impossibile la compensazione IVA/registro, con la dichiarazione che la competenza dell’Ufficio sarebbe limitata all’imposta di registro; e) che l’incompetenza dell’Ufficio era da ritenersi infondata, in quanto, da un lato, la legislazione tributaria ammette la possibilità di compensare imposte di natura diversa attraverso i modelli F23 ed F24 e, dall’altro, l’Ufficio di Erba dell’Agenzia delle Entrate (che aveva emesso gli atti di accertamento), doveva ritenersi competente ad effettuare il rimborso della somma versata oltre il dovuto dalla contribuente poiché, diversamente argomentando, quest’ultima sarebbe costretta a versare ulteriori somme per regolarizzare l’imposta di registro, per poi avviare un ulteriore contenzioso nei confronti dell’Erario per il recupero dell’IVA versata e non dovuta.
5. La contribuente si è costituita nei termini di legge mediante controricorso.
6. All’udienza del 13/06, presente il solo l’Avv. P. G. dell’Avvocatura Gen.le dello Stato per l’Agenzia delle Entrate, il ricorso è stato trattenuto in decisione, chiedendone la Dott.ssa I. Z., in rappresentanza della P.G. presso questa S.C., l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto quanto al primo motivo.
Considerato in diritto
7. Contro la prefata sentenza della Commissione tributaria Regionale ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate pel tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato, impugnando la decisione con cui deduce due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
7.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli artt. 17 e 25, d. Igs. n. 241 del 1997 dell’art. 8, legge n. 212 del 2000. In sintesi la censura attinge l’impugnata sentenza in quanto, sostiene la ricorrente Agenzia, la sentenza impugnata avrebbe operato un’erronea lettura delle norme in tema di compensazione in campo tributario; la fattispecie oggetto di giudizio non sarebbe in alcun modo riconducibile alle ipotesi nelle quali può operare la compensazione regolata dal d. Igs. n. 241 del 1997 per due ordini di ragioni: a) anzitutto, perché la compensazione può avvenire solo tra debiti e crediti tipicamente elencati dalla legge e che debbano essere pagati a mezzo di mod. F24, e tra questi non è contemplata l’imposta di registro; b) in secondo luogo, perché la posizione creditoria facente capo alla contribuente, indebitamente pagata – ovvero un’ordinaria ripetizione di indebito – esulerebbe dal novero dei crediti compensabili ai sensi delle norme vigenti; in virtù del generale criterio dell’alternatività previsto dall’art. 40, d.P.R. n. 131 del 1986, rispetto ad un’operazione non soggetta ad IVA, l’Ufficio non avrebbe potuto allora astenersi dal richiedere, a mezzo di un proprio autonomo atto impositivo, l’imposta di registro, come del resto sarebbe confermato dalla giurisprudenza di questa Corte citata in ricorso (il riferimento è a Cass. 3726/1991); infine, si argomenta sostenendo che il quadro normativo non in esame non sarebbe mutato pur a seguito dell’entrata in vigore del disposto dell’art. 8 Statuto contr., in quanto se è pur vero che tale norma prevede un generale utilizzo della compensazione nei rapporti tributari, non è accompagnata da un espresso intervento sulle norme previgenti, e non potrebbe pertanto rendere irrilevanti le condizioni da queste richieste, ciò che sarebbe confermato dalla giurisprudenza di questa Corte (in ricorso si richiama Cass. 12262/2007).
7.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli art. 17 e 18, d.P.R. n. 633 del 1972.
In sintesi la censura attinge l’impugnata sentenza in quanto, sostiene la ricorrente Agenzia, la sentenza impugnata avrebbe errato nell’accordare alla contribuente il diritto alla ripetizione delle somma pagate a titolo di IVA; ed invero, si sostiene, la controparte che si pone in relazione con l’A.F. nel rapporto di imposta avente ad oggetto l’IVA è sempre ed esclusivamente il soggetto passivo, su cui grava non solo l’obbligo di pagamento del tributo, ma anche l’insieme degli obblighi strumentali aventi a che fare con la registrazione e la contabilizzazione delle operazioni imponibili, nonché con la presentazione delle dichiarazioni; ogni eventuale questione attinente ad eventuali pretese restitutorie deve essere affrontata e risulta nel rapporto tra Fisco e soggetto cedente dei beni o prestatore dei servizi, ciò che sarebbe confermato anche dalla giurisprudenza di questa Corte (il riferimento è a Cass. 6419/2003); l’accoglimento di tale soluzione sarebbe del resto in linea anche alla giurisprudenza della CGUE, richiamandosi a tal fine la sentenza 15.03.2007 in causa C-35/07, Reemsta Cigarettenfabriken, che ha da un lato, affermato il principio secondo cui solo il prestatore dev’essere considerato debitore IVA nei confronti delle autorità tributarie e, dall’altro, che solo quest’ultimo è legittimato a chiedere il rimborso delle somme indebitamente versate alle autorità tributarie a titolo di IVA, mentre il destinatario dei servizi può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti del prestatore; quanto sopra, seppure con qualche alternanza giurisprudenziale, sarebbe stato confermato dalla giurisprudenza di legittimità (si richiamano, in particolare, a sostegno della tesi sostenuta in ricorso, Cass. 2008/2008, Cass. 6310/2008 e Cass. S.U., 20752/2008).
8. La parte contribuente, in sede di controricorso, ha chiesto dichiararsi inammissibile od infondato il ricorso, deducendo quanto segue sui due motivi proposti dall’Ufficio.
8.1. Quanto al primo motivo – premessa la portata generale del disposto dell’art. 8, St. contr. per come interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte (il riferimento è a Cass. 22872/2006) e dalla dottrina più autorevole richiamata in sede di controricorso che si è espressa a favore della compensazione generalizzata operata a norma del citato art. 8, della portata immediatamente precettiva e non solo programmatica di tale norma e dell’applicabilità in difetto di specifica normativa di quella civilistica -, sostiene che la compensazione tra IVA e registro sarebbe ammissibile per quattro ordini di ragioni: a) anzitutto, perché nell’ipotesi in cui l’Erario continui ad incassare, pur essendo debitore del privato, si verrebbe a trovare nella disponibilità di somme non dovute, con evidente lesione del principio di capacità contributiva, situazione certamente sanabile con il successivo rimborso, ma con l’evidente considerazione che, fino a quando la restituzione non sia compiuta, non sembrerebbe potersi negare la violazione del principio di cui all’art. 53 Cost.; b) in secondo luogo, perché la previsione dell’applicabilità della compensazione in materia tributaria si atteggerebbe a precetto avente carattere immediatamente precettivo e non programmatico, ponendosi quale strumento attuativo dei precetti costituzionali di cui agli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost.; c) in terzo luogo, in quanto l’art. 8 letteralmente inteso ammetterebbe, in termini generali e senza limitazioni oggettive e soggettive, la compensazione in materia tributaria, con chiara indicazione della volurttas legis di abbandonare l’approccio casistico di cui al previgente d. Igs. n. 241 del 1997; d) infine, perché la soluzione prospettata dall’Ufficio comporterebbe una lesione del principio di buona fede e collaborazione ex art. 10, St. contr., per la necessità di versare ulteriori somme per regolarizzare l’imposta di registro e di avviare un’ulteriore contenzioso nei confronti dell’Erario per il recupero dell’IVA versata e non dovuta, dovendo peraltro ritenersi priva di pregio l’obiezione dell’Ufficio fondata sulla diversità dei modelli per la compensazione delle imposte (F23 per il registro; F24 per l’IVA).
8.2. Quanto al secondo motivo, se ne chiede l’inammissibilità essendosi formato, sul punto dell’avvenuto riconoscimento alla contribuente del diritto al rimborso della maggiore IVA versata rispetto all’imposta di registro, un giudicato interno; dalla lettura dell’appello proposto dall’Ufficio avverso la sentenza della CTP non risulta alcuna espressa censura sul punto del rimborso, in quanto l’appello era unicamente finalizzato a contestare la fondatezza della compensazione tra i predetti tributi; ciò sarebbe comprovato – al di là del riferimento incidentale contenuto nel ricorso alla circostanza che al consumatore finale non spetterebbe il rimborso dell’IVA versata – dalla inequivoche conclusioni rassegnate nell’atto di appello, in cui veniva richiesta la riforma dell’appellata sentenza nella parte in cui operava la compensazione tra le due imposte, per l’effetto dichiarando dovuta l’imposta di registro accertata; in ordine alla legittimità del rimborso IVA, pertanto, si sarebbe formato un giudicato interno con conseguente inammissibilità del ricorso, come del resto confermato dalla giurisprudenza di questa Corte che ritiene preclusa la possibilità di proporre in sede di legittimità l’ingresso di nuove questioni di diritto che implichino anche in ordine agli elementi di fatto, la modificazione dei termini della controversia (il riferimento è, tra le altre, a Cass. 22154/2014 ed altre).
9. Il ricorso è fondato.
10. Ed invero, al fine di fornire la soluzione al quesito è necessario brevemente tracciare l’evoluzione normativa della disciplina tributaria in tema di compensazione e dei meccanismi ad essa riconducibili, suddivisibile in cinque fasi: a) una prima forma di compensazione è stata prevista con riferimento a debiti e crediti riguardanti la medesima imposta e con limiti temporali (si tratta della cosiddetta “compensazione verticale” disciplinata dall’art. 11, comma 3, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917); b) la seconda forma di compensazione è prevista nell’art. 17 del D.Lgs. 9 Luglio 1997, n. 241, che estende la possibilità di estinguere le obbligazioni attraverso la compensazione, ai tributi non omogenei e prevede la possibilità di applicare l’istituto della compensazione al momento del versamento unitario di diverse imposte e contributi (cosiddetta “compensazione speciale”); c) il legislatore, modificando successivamente il suddetto art. 17 (ad es., tramite l’art. 28 legge 23 dicembre 2000, n. 388, artt. 4 ed 8 DPR 14 ottobre 1999, n. 542), ha reso sempre più amplia l’area di operatività della compensazione facendovi rientrare il ravvedimento operoso del contribuente e l’accertamento con adesione (questa disciplina ha uno spazio operativo nettamente maggiore rispetto a quello della compensazione descritta negli artt. 1241 e seguenti del codice civile, perché qui è possibile che vi sia diversità delle posizioni soggettive nelle reciproche obbligazioni e che tale istituto trovi addirittura applicazione con riferimento a debiti o crediti vantati dal soggetto verso l’Erario e debiti o crediti di cui il soggetto è titolare nei confronti di altri enti, mentre nella disciplina civilistica è requisito necessario delle obbligazioni da estinguere con compensazione, la coincidenza dei soggetti nelle posizioni debitorie e creditorie); d) una profonda innovazione è stata introdotta con l’art. 8 dello “Statuto dei diritti del contribuente” in cui si afferma che l’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione” (in sostanza, il contribuente si vede riconosciuto il diritto di utilizzare i propri crediti per compensare i debiti nei confronti dello Stato; c’è un rinvio del legislatore tributario alla disciplina codicistica, ma ciò non autorizza l’interprete a fare riferimento interamente alla regolamentazione del diritto civile in campo tributario; sono ovviamente esclusi dall’ambito di applicazione dell’istituto della compensazione disciplinato dal diritto comune, i casi di compensazione contabile, la quale riguarda un rapporto unitario ed è specificamente disciplinata); e) la quinta e ultima fase per la piena operatività dell’istituto di cui trattasi, è ravvisabile nel regolamento a cui è demandata la concreta disciplina della compensazione tributaria; in attesa della emanazione del regolamento, ai sensi dell’art. 17, comma 2 della L. 23 Agosto 1988, n. 400, la normativa statuaria non poteva ritenersi applicabile, con conseguente applicazione della disciplina anteriore, in cui la compensazione è consentita solo ove espressamente prevista.
11. Tanto premesso, nel regime ratione temporis vigente, trovava applicazione il disposto dell’art. 17, DLgs. 9.7.1997 n. 241 che, al co. 2 così stabiliva: “Il versamento unitario e la compensazione riguardano i crediti e i debiti relativi: a) alle imposte sui redditi, alle relative addizionali e alle ritenute alla fonte riscosse mediante versamento diretto ai sensi dell’articolo 3 (…) del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602; per le ritenute di cui al secondo comma del citato articolo 3 resta ferma la facoltà di eseguire il versamento presso la competente sezione di tesoreria provinciale dello Stato; in tal caso non è ammessa la compensazione; b) all’imposta sul valore aggiunto dovuta ai sensi degli articoli 27 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e quella dovuta dai soggetti di cui all’articolo 74; c) alle imposte sostitutive delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto; d) all’imposta prevista dall’articolo 3, comma 143, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662; d-bis) […]; e) ai contributi previdenziali dovuti da titolari di posizione assicurativa in una delle gestioni amministrate da enti previdenziali, comprese le quote associative; f) ai contributi previdenziali ed assistenziali dovuti dai datori di lavoro e dai committenti di prestazioni di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’articolo 49, comma 2, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917; g) ai premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dovuti ai sensi del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124; h) agli interessi previsti in caso di pagamento rateale ai sensi dell’ articolo 20; h-bis) al saldo per il 1997 dell’imposta sul patrimonio netto delle imprese, istituita con decreto-legge 30 settembre 1992, n. 394, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 novembre 1992, n. 461, e del contributo al Servizio sanitario nazionale di cui all’ articolo 31 della legge 28 febbraio 1986, n. 41, come da ultimo modificato dall’articolo 4 del decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85; h-ter) alle altre entrate individuate con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, e con i Ministri competenti per settore; h-quater) al credito d’imposta spettante agli esercenti sale cinematografiche.
Dunque, non era contemplata l’applicazione del meccanismo della compensazione in relazione all’imposta di registro.
12. È solo con il D.M. 8 novembre 2011, entrato in vigore successivamente ai fatti per cui è causa, che il meccanismo compensativo è stato esteso all’imposta di registro.
Ed infatti, il D.M. del Ministero dell’Economia e delle Finanze dell’8.11.2011 (in G.U. 15.11.2011 n. 266, in vigore dal 30.11.2011), recante “Estensione delle modalità di versamento tramite modello F24 all’imposta sulle successioni e donazioni, all’imposta di registro, all’imposta ipotecaria, all’imposta catastale, alle tasse ipotecarie, all’imposta di bollo, all’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili, all’imposta sostitutiva sui finanziamenti a medio e lungo termine, ai tributi speciali nonché ai relativi accessori, interessi e sanzioni, compresi gli oneri e le sanzioni dovuti per l’inosservanza della normativa catastale. Articolo 17, comma 2, lettera H- ter) del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241”, in un’ottica di semplificazione degli adempimenti posti a carico dei contribuenti e di complessiva razionalizzazione dei sistemi di pagamento, ha risposto all’esigenza di ampliare le tipologie di tributi che possono essere versati con modello F.24, anche in via telematica, disponendo a tal fine che le modalità di versamento previste dall’art. 17 del d. Igs. 9 luglio 1997, n. 241, siano applicabili anche per i pagamenti dell’imposta di registro nonché dei relativi accessori, interessi e sanzioni, compresi gli oneri e le sanzioni dovuti per l’inosservanza della normativa catastale (art. 1).
13. Detta norma di natura regolamentare, per effetto del disposto dell’art. 3 St. contr., non può ritenersi estensibile alla fattispecie qui esaminata. Per costante principio giurisprudenziale di legittimità, in tema di efficacia nel tempo delle norme tributarie, le disposizioni della L. 27 luglio 2000, n. 212, non hanno efficacia retroattiva, in base al principio di cui all’art. 11 disp. gen., ad eccezione delle norme che costituiscono attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., in quanto espressione di principi costituzionali vigenti. Le disposizioni dello Statuto del contribuente, proprio perché qualificate espressamente come principi generali dell’ordinamento tributario, sono certamente idonee a prescrivere specifici obblighi a carico dell’Amministrazione finanziaria e costituiscono, in quanto espressione di principi già immanenti nell’ordinamento, criteri guida per il giudice nell’interpretazione delle norme tributarie (anche anteriori). Tuttavia, le stesse non hanno rango superiore alla legge ordinaria (e, conseguentemente, non possono fungere da norme parametro di costituzionalità, né consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse: v., tra le tante: Sez. 5, n. 696 del 16/01/2015, Rv. 633979 – 01), e dunque sono inidonee a derogare alle previgenti norme di cui al d. Igs. n. 241 del 1997, ratione temporis applicabili, né legittimano l’applicazione retroattiva delle disposizioni di rango secondario dettate dal D.M. 8 novembre 2011.
D’altronde in materia tributaria, la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti (e tale non è la previsione in esame), non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, di riscossione e di rimborso, ed ogni deduzione sono regolate da specifiche, inderogabili norme di legge. Tale principio non può per costante giurisprudenza di questa Corte, considerarsi superato per effetto della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 8, comma 1, (c.d. statuto dei diritti del contribuente), il quale, nel prevedere in via generale l’estinzione dell’obbligazione tributaria per compensazione, ha lasciato ferme, in via transitoria, le disposizioni vigenti, demandando ad appositi regolamenti l’estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato, a decorrere dall’anno d’imposta 2002 (v. Sez. 6 – 5, ordinanza n. 17001 del 09/07/2013, Rv. 627180 – 01; Sez. 5, sentenza n. 10207 del 18/05/2016, Rv. 639988 – 01; v. anche, in precedenza, Cass. sentenze n. 12262 del 25/05/2007 e n. 22872 del 2006).
14. Ne discende, pertanto, l’erroneità della soluzione offerta dalla CTR nel caso in esame, con conseguente accoglimento del ricorso dell’Ufficio sul primo motivo, cui consegue, peraltro, l’assorbimento delle censure di cui al secondo motivo, di cui – a prescindere dalla invocata inammissibilità per novità della questione nei termini dedotti in controricorso – il Collegio ritiene superfluo l’esame, una volta accertata la fondatezza del primo, preliminare motivo, afferente al tema dell’astratta compensabilità ratione temporis tra maggiore IVA versata ed imposta di registro.
15. Ed invero, costituisce capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato (anche) interno, quello che risolva una questione controversa, avente una propria individualità ed autonomia, sì da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente; la suddetta autonomia non solo manca nelle mere argomentazioni, ma anche quando si verta in tema di valutazione di un presupposto necessario di fatto che, unitamente ad altri, concorra a formare un capo unico della decisione (in termini, v. Sez. 3, sentenza n. 6757 del 17/05/2001, Rv. 546715 – 01).
La compensazione ad opera del contribuente deve infatti avere ad oggetto due crediti contrapposti intercorrenti tra i medesimi soggetti. Orbene, la controparte che si pone in relazione con l’A.F. nel rapporto di imposta avente ad oggetto l’IVA è sempre ed esclusivamente il soggetto passivo, su cui grava non solo l’obbligo di pagamento del tributo, ma anche l’insieme degli obblighi strumentali aventi a che fare con la registrazione e la contabilizzazione delle operazioni imponibili, nonché con la presentazione delle dichiarazioni: ogni eventuale questione attinente ad eventuali pretese restitutorie deve essere affrontata e risolta nel rapporto tra Fisco e soggetto cedente dei beni o prestatore dei servizi, ciò che è confermato anche dalla giurisprudenza di questa Corte. Si è infatti affermato che in tema di IVA, una corretta lettura degli artt. 17 e 18 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, consente di identificare nel cedente del bene (o nel prestatore del servizio) il soggetto legittimato a pretendere il rimborso dall’amministrazione finanziaria ed eventualmente obbligato a restituire al cessionario (o al committente) la somma pagata a titolo di rivalsa. Infatti, i tre rapporti che discendono dal compimento dell’operazione imponibile (tra l’amministrazione finanziaria e il cedente, relativamente al pagamento dell’imposta; tra il cedente ed il cessionario, in ordine alla rivalsa; tra l’amministrazione ed il cessionario, per ciò che attiene alla detrazione dell’imposta assolta in via di rivalsa), pur essendo collegati, non interferiscono tra loro. Ne consegue che il cedente non può opporre al cessionario – il quale agisca in restituzione – l’avvenuto versamento dell’imposta, che il cessionario non può opporre all’amministrazione – che escluda la detrazione – che l’imposta è stata assolta in via di rivalsa e versata all’amministrazione medesima, e, infine, che solo il cedente ha titolo ad agire per il rimborso nei confronti dell’amministrazione, la quale, pertanto, essendo estranea al rapporto tra cedente e cessionario, non può essere tenuta a rimborsare direttamente a quest’ultimo quanto dallo stesso versato in via di rivalsa (Sez. 5, Sentenza n. 6419 del 22/04/2003, Rv. 562385 – 01; da ultimo: Sez. 5, Sentenza n. 2826 del 09/02/2010, Rv. 611280 – 01).
Ne discende, pertanto, che essendo l’identità soggettiva presupposto necessario di fatto per l’operatività del meccanismo compensativo, sul punto dell’avvenuto riconoscimento alla contribuente del diritto al rimborso della maggiore IVA versata rispetto all’imposta di registro, non poteva ritenersi formato un giudicato interno, non costituendo quest’ultimo un capo autonomo della decisione impugnata, avente una propria individualità ed autonomia, sì da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente, essendo diversamente questione del tutto “dipendente” dal preliminare riconoscimento della astratta compensabilità tra imposte di natura diversa (IVA/Registro), nella specie esclusa.
16. Per le motivazioni suesposte ed ogni altra eccezione disattesa restando assorbita da quanto prefato, il ricorso dell’Ufficio dev’essere accolto, con conseguente riforma integrale dell’impugnata sentenza.
17. Dev’essere disposta la cassazione dell’impugnata sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, rigettato il ricorso introduttivo.
Dev’essere conclusivamente ex art. 384 cod. proc. civ. enunciato il seguente principio di diritto: «In tema di compensazione delle obbligazioni tributarie, allorché il contribuente, avendo corrisposto una somma a titolo di IVA in relazione ad acquisto immobiliare poi risultato assoggettabile unicamente ad imposta di registro, impugni l’avviso di liquidazione di tale ultima imposta, assumendo di avere diritto al conguaglio tra le due somme e al rimborso dell’eccedenza corrisposta a titolo di IVA in relazione a fattispecie antecedente all’entrata in vigore del D.M. 8 novembre 2011, trova applicazione la disciplina dettata dall’art. 17, d. Igs. n. 241 del 1997, con conseguente impossibilità di compensare il credito IVA indebitamente corrisposta ed il debito per l’imposta di registro».
18. Atteso l’esito della controversia, sussistono le condizioni per la compensazione delle spese del doppio grado di merito. Alla soccombenza deve seguire la condanna della parte contribuente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che vengono liquidate come da dispositivo, in base ai parametri disciplinati dal DM 55/2014, recante “Determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi dell’art. 13 comma 6 della legge 31 dicembre 2012 n. 247”, nella misura di € 7.000,00 per compensi in ragione del valore della causa (pari ad € 131.664,00), oltre alle spese prenotate a debito.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo.
Compensa le spese del giudizio di merito e condanna la parte contribuente al pagamento delle spese, che liquida in € 7.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
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