CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 gennaio 2018, n. 1340
Imposta di registro – Riscossione – Sentenze e provvedimenti giudiziari – Riforma totale o parziale del provvedimento tassato – Rilevanza nel giudizio insorto a seguito dell’impugnazione dell’avviso di liquidazione – Domanda di rimborso
Fatti di causa
La G.L.F. s.p.a. ottenne, in data 15/9/1992, l’emissione di decreto ingiuntivo, a carico del Consorzio Autostradale Messina Palermo, per il pagamento dell’importo di Lire 13.724.001.962, oltre interessi di mora, atto sottoposto all’imposta di registro proporzionale (3%), nonché, in data 4/6/1993, di ordinanza di assegnazione, in sede di procedimento di esecuzione presso terzi, dell’importo di Lire 14.609.151.442, oltre interessi di mora, atto sottoposto anch’esso all’imposta di registro in misura proporzionale.
Con sentenza n. 2859/2004, decidendo sui riuniti giudizi di opposizione al provvedimento monitorio ed al suindicato procedimento esecutivo, il Tribunale di Messina riconobbe alla creditrice, a titolo di interessi moratori, un importo inferiore rispetto a quello ingiunto, e condannò la società G.L.F. alla restituzione di quanto ricevuto in eccesso, oltre accessori di legge; anche tale atto giudiziario fu sottoposto all’imposta di registro proporzionale (3%).
La contribuente impugnò l’avviso di liquidazione emesso dalla Agenzia delle Entrate, tra l’altro, deducendo che si trattava, nella sostanza, di una duplicazione d’imposta, l’adita Commissione Tributaria Provinciale di Messina accolse il ricorso, e la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, con sentenza n. 259/27/11, depositata il 14/12/2001, all’esito dell’appello erariale, riformò la decisione di primo grado, escludendo il lamentato difetto di motivazione dell’atto impositivo, ed affermando che la sentenza del Tribunale non andava sottoposta a registrazione a tassa fissa, trattandosi di decisione prevalentemente di condanna, “sottoposta all’imposta proporzionale di registro nella misura del 3%”, come previsto dell’art. 8, comma 1, lett. b) della Tariffa, Parte Prima, D.P.R. n. 131 del 1986 (T.U. sul Registro).
La predetta società propone ricorso per Cassazione, con tre motivi, cui resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate.
Motivi della decisione
La ricorrente deduce, con il primo motivo di impugnazione, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, giacché la CTR, in ordine alla questione, riproposta con il gravame, concernente la carenza di motivazione dell’avviso di liquidazione, si è limitata a rilevare la conformità dell’atto impositivo a quanto previsto dall’art. 20, comma 5, D.P.R. n. 131 del 1986, omettendo qualsivoglia considerazione circa la sussistenza dei requisiti essenziali dell’atto, segnatamente, quello richiesto dagli artt. 7, L. n. 212 del 2000 e 3, L. n. 241 del 1990, con il secondo motivo, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 113 c.p.c., 7, L. 212 del 2000, 3, L. n. 241 del 1990, omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, giacché la CTR nel disattendere il gravame concernente il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, trascura di considerare l’assenza di indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche a sostegno dell’aggravio di imposta, così da consentire al contribuente di comprendere negli esatti termini la pretesa erariale, con il terzo motivo, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 21, 37, D.P.R. n. 131 del 1986, 8, comma 1, lett. b) della Tariffa, Parte Prima, D.P.R. n. 131 del 1986, 653 c.p.c., omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere la CTR considerato che la registrazione del decreto ingiuntivo, immediatamente esecutivo, e della successiva ordinanza di assegnazione emessa dal giudice dell’esecuzione, può dare luogo a conguagli o rimborsi, che inoltre la sentenza che accoglie l’opposizione non è di condanna, ed è soggetta a registrazione in misura fissa ex art. 8, Parte Prima, lett. d), e che resta ininfluente, ai fini impositivi, la quantità degli atti giudiziali, così come la durata del processo.
Le prime due censure, scrutinabili congiuntamente in quanto strettamente connesse, sono infondate e non meritano accoglimento.
L’esistenza ed adeguatezza della motivazione di un atto va condotta secondo la disciplina specificamente dettata in vista del contenuto di quell’atto, ed in rapporto alle relative caratteristiche e peculiarità.
Nella specie, risulta impugnato un avviso di liquidazione di imposta di registro, riguardante la sentenza n. 2859704 del Tribunale di Messina con la quale la somma dovuta dal Consorzio Autostradale Messina Palermo, alla La G.L.F. s.p.a., in forza del decreto ingiuntivo e della successiva ordinanza di assegnazione del giudice dell’esecuzione, entrambi opposti, è stata ridotta, quanto agli interessi, con condanna della creditrice a restituire il di più, oltre accessori; il contenuto dell’atto impositivo, che risulta trascritto in ricorso, con ciò assolvendosi all’onere di autosufficienza, reca nel testo: “Imposta principale di registro – Autostrada (…) SPA – Valore imponibile Euro 1.631.855,80 x 3%”.
La motivazione dell’avviso di liquidazione ha la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall ‘Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, consentendo al contribuente l’esercizio del diritto di difesa.
Basta, pertanto, che la motivazione contenga l’enunciazione del tributo, nella specie, l’imposta principale di registro liquidata in misura proporzionale (l’aliquota del 3% è pure indicata nell’avviso) sulla base dell’atto da registrare, costituente il presupposto del tributo, che, nella specie, è la sentenza di cui al contenzioso giudiziario tra la società contribuente ed il Consorzio Autostradale Messina Palermo, trasmessa all’Agenzia delle Entrate dalla cancelleria dell’indicato Tribunale, nonché l’enunciazione della base imponibile che è data dal valore dell’atto registrato, elementi contenuti nella sentenza tassata e ben noti alle parti processuali.
La decisione impugnata non è affatto censurabile dal momento che ha escluso un’illegittima compressione dei diritti di difesa della contribuente, alla quale erano noti, ancorché non riprodotti nell’avviso impugnato, tutti gli elementi concorrenti alla formazione della base imponibile, atteso che le facoltà difensive sono state pienamente esercitate nel ricorso introduttivo del giudizio; il richiamo all’art. 7, L. n. 212 del 2000, è pertanto mal posto.
Anche la terza censura è infondata e non merita accoglimento.
Anzitutto, come già ritenuto da questa Corte, l’imposta di registro sugli atti dell’autorità giudiziaria è dovuta e liquidata sulla sentenza di primo grado, in quanto, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 37 e 77, la riforma totale o parziale (nel successivo corso del giudizio e fino alla formazione del giudicato) del provvedimento tassato non si riflette sul relativo avviso di liquidazione, ma fa sorgere un autonomo diritto del contribuente al conguaglio o al rimborso, che peraltro deve essere azionato nei modi e nei tempi previsti dall’art. 77 citato (Cass. n. 12757/2006).
Inoltre, l’art. 8 della tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, stabilendo l’imponibilità degli “atti dell’autorità giudiziaria ordinaria e speciale che definiscono anche parzialmente il giudizio, compresi i decreti ingiuntivi esecutivi”, prevede chiaramente che il tributo de quo più che colpire il trasferimento di ricchezza in sé, inerisce direttamente all’atto, che prende in considerazione in funzione degli effetti giuridici ed economici che è destinato a produrre, per cui nel caso di pluralità di provvedimenti dell’autorità giudiziaria ciascuno di essi ha una propria ed autonoma veste, ai fini impositivi, e non può darsi rilevanza al fatto che essi si riferiscono al medesimo oggetto ed alle stesse parti (Cass. n. 14649/2005, n. 21160/2005). L’Ufficio, pertanto, ha l’onere di accertare il contenuto tipico dell’atto giudiziario presentato per la registrazione, che deve essere individuato, ai fini dell’imposizione, tenendo conto della sua natura e dei conseguenti effetti che è destinato a produrre nel mondo giuridico, esulando da questa indagine ogni altra verifica e, segnatamente, “quella attinente al contenuto empirico dell’atto stesso, che sia volta ad accertare eventuale connessione oggettiva o soggettiva con altri atti, parimenti imponibili, ma di diverso contenuto giuridico ed avente distinta natura processuale” (Cass. n. 14649/2005 citata).
L’impugnata sentenza della CTR ha ritenuto corretto l’operato dell’Agenzia delle Entrate, ed ha motivatamente evidenziato sul punto che “il Tribunale (di Messina), esaminate le opposizioni proposte dal Consorzio Autostradale Messina-Palermo avverso il decreto ingiuntivo e avverso l’esecuzione presso terzi (…) ha riconosciuto che gli interessi non andavano calcolati al 13% bensì al tasso ufficiale di sconto e che la società Grandi Lavori aveva pignorato e riscosso una somma superiore a quella spettantele per cui condannava la stessa a rimborsare al Consorzio la somma di £ 2.028.396.247 pari a € 1.024.579,24, oltre gli interessi legali sino al soddisfo”, e che pertanto nella sentenza ricorrono le condizioni di cui all’art. 21, comma 2, D.P.R. n. 1312 del 1986, stante “la prevalenza della decisione di condanna, perché la più onerosa, rispetto alle altre due decisioni contenute nell’atto giudiziario”, e “la natura condannatoria che pone alla società l’obbligo della restituzione di una somma”, per cui la “decisione va sottoposta all’imposta proporzionale di registro”.
Ne discende che non si può ipotizzare duplicazione d’imposta sol perché, come nel caso di specie, vi sono state diverse registrazioni di distinti provvedimenti giudiziari, aventi appunto distinta veste giuridica, anche se hanno in comune la medesima causa pretendi e si rivolgono ai medesimi soggetti.
L’impugnata sentenza, che ha applicato il suesposto principio, non merita d’essere cassata, ed al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 5.000,00 per compensi, oltre rimborso spese prenotate a debito.
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