CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 febbraio 2018, n. 4154
Agevolazioni fiscali – Credito d’imposta – Beni agevolabili – Accertamento – Dichiarazioni dei redditi – Compensazione
Fatti di causa
La società D.P. s.r.l. in data 7.2.08 impugnava, dinanzi alla Commissione Tributaria provinciale di Bari, l’avviso di recupero di credito imposta n. RF3CR0200044/2007 emesso dalla Agenzia delle Entrate nel 2007, con il quale era stato parzialmente revocato, per un importo pari ad euro 115.000,00, il credito calcolato dalla società sulla base del valore delle opere murarie da essa eseguite su immobile di proprietà di terzi condotto in locazione, in quanto, secondo l’Amministrazione, dette opere non rientravano tra i beni agevolabili di cui all’art. 8 della legge 388 del 2000, e con il quale era stato accertato, per l’anno di imposta 2005, l’utilizzo in compensazione di un importo in eccedenza rispetto alla misura del credito spettante, pari ad euro 5.953.669,34.
Nell’anno 2009, a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione dei redditi 2006, presentata per l’anno di imposta 2005 dalla società D.P. s.r.I., la Agenzia delle Entrate procedeva a nuova iscrizione a ruolo, ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. 600/73, per indebite compensazioni di credito di imposta avvenute nell’anno 2005, cui seguiva la emissione di cartella di pagamento n. 01420090089888675 000, che veniva impugnata dalla D.P. s.r.l. dinanzi alla Commissione Tributaria provinciale di Bari per a) illegittima duplicazione di imposta, in violazione dell’art. 67 del d.P.R. n. 600/73, atteso che con la cartella di pagamento erano state richieste somme che avevano già formato oggetto dell’avviso di recupero n. RF3CR0200044/2007, emesso in precedenza dalla Agenzia delle Entrate, al quale aveva fatto seguito la cartella di pagamento n. 014200800145907410000, b) mancanza di motivazione c) infondatezza della pretesa fiscale.
I ricorsi proposti dalla contribuente avviavano distinti procedimenti.
Con la sentenza n. 105/04/08 la C.T.P. dichiarava la inammissibilità del ricorso proposto dalla contribuente nel 2008, perché depositato presso la segreteria della Commissione tributaria oltre il termine perentorio, e con distinta sentenza n. 43/09/11 accoglieva parzialmente il secondo ricorso proposto dalla società, con conseguente annullamento della cartella impugnata limitatamente al recupero del credito di imposta compensato, ritenendo che la cartella costituiva duplicazione di quella emessa a seguito di avviso di recupero, poiché l’importo totale delle compensazioni effettuate nel 2005, pari ad euro 6.300.699,00, appariva sia nell’avviso di recupero sia nella procedura di liquidazione automatizzata della dichiarazione dei redditi. Avverso la prima sentenza proponeva appello la D.P. s.r.I., la quale ribadiva i motivi già fatti valere in primo grado e depositava memorie conclusive sottolineando, con riguardo al maggior credito di imposta, che la utilizzazione in compensazione era avvenuta per mero errore e che, resasi conto dell’errore, aveva richiesto l’annullamento dei modelli F24, ma la istanza non era stata accolta dall’Agenzia delle Entrate.
La C.T.R. della Puglia accoglieva l’appello proposto dalla D.P. s.r.l. e l’annullava l’avviso di recupero.
Avverso la sentenza n. 43/09/2011 proponeva appello la Agenzia delle Entrate, ribadendo che la cartella di pagamento impugnata derivava dalla liquidazione della dichiarazione dei redditi 2005, avvenuta ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600/73, e, quindi, a prescindere dal recupero dei crediti di imposta che, sulla base del controllo sostanziale circa la sussistenza dei presupposti previsti dalla legge n. 388/2000, svolto nel 2007, erano risultati indebitamente usufruiti.
La C.T.R. della Puglia, con sentenza n. 52/6/12, accoglieva l’appello proposto dalla Agenzia delle Entrate e, annullando la decisione impugnata, confermava la validità della cartella esattoriale gravata, argomentando che l’atto oggetto di impugnativa evidenziava imposte e contributi dovuti e non versati, riscontrati in sede di liquidazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2005 effettuata ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600/73, e sottolineando che il giudice di prima istanza aveva erroneamente deciso sulla base di valutazioni di merito che riguardavano altra vicenda (l’avviso di recupero e la relativa cartella di pagamento), in ordine alla quale era ancora pendente il giudizio.
Avverso le decisioni del Giudice di appello sono stati proposti separati ricorsi per cassazione; la Agenzia delle Entrate ha iscritto ricorso recante n. 2112/11 R.G., affidandosi a sette motivi, e la società contribuente ha iscritto ricorso recante n. 8023/13 R.G., affidandosi a tre motivi.
Nel primo giudizio la D.P. s.r.l. ha svolto le proprie difese depositando controricorso e nel secondo giudizio ha depositato controricorso la Agenzia delle Entrate.
Entrambe le cause sono state quindi chiamate alla odierna udienza.
Motivi della decisione
1. Deve, preliminarmente, essere disposta la riunione del ricorso iscritto al n. 8023/13 R.G. a quello recante il più antico numero di ruolo, in ragione della evidente connessione sussistente tra i due giudizi, i cui ricorsi, pur relativi a sentenze diverse, riguardano atti di recupero di crediti di imposta relativi alla stessa annualità e, nella prospettazione della società contribuente, costituenti l’uno la duplicazione dell’altro.
2. La eccezione di inammissibilità del ricorso proposto dalla Agenzia delle Entrate, per violazione dell’art. 369 cod. proc. civ. e dell’art. 366, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., sollevata dalla D.P. s.r.I., è infondata.
2.1. Con riguardo al primo profilo di inammissibilità, deve rilevarsi che la ricorrente non è tenuta, in ragione della indisponibilità del fascicolo di parte, che resta acquisito, ex art. 25, secondo comma, del d.lgs. n. 546/92, al fascicolo d’ufficio del processo svoltosi dinanzi alla Commissione tributaria, ad un nuovo onere di produzione documentale, risultando a tal fine sufficiente la richiesta di trasmissione, ai sensi dell’art. 369, terzo comma, cod. proc. civ., del fascicolo alla segreteria della Commissione Tributaria regionale (Cass. n. 22726 del 3.11.2011, Cass. n. 16813 del 24/7/2014).
2.2. Quanto, inoltre, all’onere previsto, a pena di inammmissibilità, dall’art. 366, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la D.P. s.r.l. ha eccepito che il ricorso non è rispettoso del principio di autosufficienza, in quanto l’Agenzia delle Entrate si è limitata ad allegare alcuni atti ed a riprodurre il contenuto del ricorso di primo grado e del ricorso in appello, senza trascrivere il contenuto degli altri atti processuali. La eccezione, anche sotto tale profilo, non è fondata.
Come già statuito da questa Corte, la tecnica di redazione dei cd. Ricorsi “assemblati” o “farciti”, che implica una pluralità di documenti integralmente riprodotti all’interno del ricorso, senza alcuna rielaborazione sintetica dei loro contenuti, sicuramente non soddisfa la richiesta di una concisa rielaborazione delle vicende processuali contenuta nel codice di rito per il giudizio di cassazione ed impedisce di cogliere le problematiche della vicenda con conseguente “mascheramento” dei dati effettivamente rilevanti per le argomentazioni svolte, sicchè integra un difetto di autosufficienza del ricorso stesso (Cass. n. 18363 del 18/9/2015). Nel caso di specie, tuttavia, i documenti riprodotti nel corpo del ricorso sono facilmente individuabili e separabili dal restante contenuto del ricorso ed in ogni caso il collegamento tra gli atti finalizzato alla ricostruzione della vicenda processuale ed alla articolazione dei motivi esclude il difetto di autosufficienza del ricorso e delle stesse censure in cui esso è articolato, perché i motivi risultano adeguatamente formulati mediante la chiara enunciazione delle censure proposte (Cass. del 19/5/2017 n. 12641).
2.3. Nel controricorso (pag. 18) la D.P. s.r.l. ha anche eccepito la inammissibilità del ricorso per omessa impugnazione della statuizione contenuta nella sentenza della C.T.R. in ordine all’annullamento dei modelli F24 e, quindi, per intervenuta formazione del giudicato circa la mancata utilizzazione da parte della contribuente del corrispondente credito di imposta recuperato dall’Agenzia delle Entrate.
2.4. La eccezione è infondata.
Anche se nella sentenza impugnata si legge <<ad avviso di questo Collegio, la istanza con la quale viene richiesto l’annullamento del modello F2 ha una duplice valenza: A) ritiro degli F24 con effetto immediato B) richiesta di annullamento dello stesso modello cui deve seguire l’atto dell’Amministrazione con cui si annulla l’F24…», tale affermazione, resa solo incidentalmente al fine di giustificare l’annullamento dell’atto di recupero, è inidonea a determinare la formazione del giudicato sul punto e non può conseguentemente far ritenere non più contestabile, da parte della Agenzia delle Entrate, la mancata utilizzazione del credito di imposta per l’importo corrispondente alle somme indicate nei modelli F24 da parte della contribuente e, quindi, ormai definitivamente accertata la inesistenza dei presupposti per procedere al recupero del credito di imposta.
3. Con il primo motivo del ricorso la Agenzia delle Entrate, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 8 della legge 388/00, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. ed all’art. 62, primo comma, d.lgs. 31.12.1992 n. 546, si duole del fatto che la C.T.R. ha erroneamente affermato che possano essere ammessi al contributo agevolativo, sotto forma di concessione di credito di imposta, gli oneri sostenuti dalla società su beni di proprietà di terzi che non siano dotati di autonoma funzionalità.
3.1. Il motivo è fondato.
In tema di agevolazioni fiscali per le aree svantaggiate, gli investimenti consistenti in spese incrementative di beni non di proprietà dell’impresa – che li utilizza in virtù di un contratto di locazione o di comodato – possono ugualmente beneficiare del credito d’imposta previsto dall’art. 8 della legge n. 388 del 2000 purché a) le opere abbiano una loro individualità ed autonoma funzionalità b) al termine del periodo di locazione o di comodato possano essere rimosse dall’utilizzatore ed avere un impiego a prescindere dal bene a cui accedono e c) siano iscritte in bilancio tra le “immobilizzazioni materiali”; viceversa, qualora si tratti di opere non separabili dal bene altrui, devono essere iscritte tra le “immobilizzazioni immateriali” e non possono beneficiare dell’agevolazione, trattandosi di costi e non di beni (Sez. 5, Cass. n. 15572 del 27/07/2016, Cass. n. 20814 del 6/9/2017).
Nel caso di specie, trattandosi di opere murarie eseguite dalla D.P. s.r.l. su immobile di proprietà di terzi concesso in locazione, non separabili dall’immobile cui accedono alla scadenza del contratto di locazione, non ricorrono i presupposti per il riconoscimento in favore della contribuente della agevolazione tributaria prevista dall’art. 8 della legge n. 388/00.
La sentenza impugnata è, quindi, viziata nella parte in cui si afferma che dette opere, eseguite dalla contribuente, in quanto funzionali allo svolgimento della attività, consentono il riconoscimento della agevolazione e del relativo credito di imposta maturato in favore del contribuente, ai sensi dell’art. 8, comma 5, della legge n. 388 del 2000.
4. Il secondo motivo di ricorso, con il quale la Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del d.lgs. 31/12/1992 n. 546 e dei principi generali sul contenzioso tributario, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 ed all’art. 62, primo comma, del d.lgs. n. 546/9, è inammissibile.
4.1. La ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe viziata nella parte in cui afferma la illegittimità del recupero del credito di imposta indebitamente utilizzato per complessivi euro 7.904.467,31, a fronte di una disponibilità massima di euro 2.065.798,00, ed evidenzia che le argomentazioni svolte dai giudici di appello avvalorano la fondatezza e legittimità del recupero tributario, atteso che la contribuente, dopo avere avuto conoscenza di un accertamento a suo carico, ha chiesto l’annullamento dei modelli di compensazione F24 dalla stessa in precedenza presentati con la esposizione di controcrediti superiori alla misura effettivamente spettante.
Ha inoltre sottolineato che la C.T.R. avrebbe violato l’obbligo di estendere il proprio giudizio anche al merito del rapporto tributario e non solo all’esame dei profili di legittimità formali dell’atto impugnato.
4.2. Il richiamo all’art. 2 del d.lgs. n. 546/92, contenuto nella rubrica del secondo motivo di ricorso, è del tutto inconferente, in quanto tale disposizione normativa disciplina esclusivamente l’oggetto della giurisdizione tributaria e non ha dunque alcuna attinenza con la presunta violazione, da parte della C.T.R., dell’obbligo di pronunciarsi “nel merito” della pretesa tributaria.
5. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 8 legge n. 388 del 2000, in relazione all’art. 1421. cod. civ. ed all’art. 17 d.lgs. n. 241 del 1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. ed art. 62, primo comma, d.lgs. n. 546/92.
A sostegno del motivo ha dedotto che l’annullamento del recupero a tassazione degli importi indebitamente compensati viola i principi generali stabiliti dall’art. 1241 cod. civ., atteso che la compensazione delle somme dovute a titolo di imposta e per gli altri titoli previsti dall’art. 17 del d.lgs. n. 241/97 con i contributi concessi ai sensi dell’art. 8 della legge n. 388/00 sotto forma di credito di imposta può avvenire solo entro i limiti dei controcrediti effettivamente spettanti, con la conseguenza che la compensazione operata oltre tali limiti con un controcredito dichiarato nei mod. F24, ma inesisente, si traduce in un omesso versamento degli importi dovuti.
5.1. Il motivo è infondato. Nella sentenza impugnata si legge <<…Anche per quanto attiene il credito di imposta utilizzato in eccedenza rispetto alla misura spettante, questo Collegio ritiene fondato l’appello proposto dalla D.P. s.r.l. La società, infatti, resasi conto dell’errore commesso, operando in perfetta buona fede e parecchi mesi prima della redazione del p.v.c., aveva avanzato istanze di annullamento dei modelli F24 Ad avviso di questo Collegio, la istanza con la quale viene richiesto l’annullamento del modello F24 ha una duplice valenza: A) ritiro degli F24 con effetto immediato; B) richiesta di annullamento dello stesso modello cui deve seguire l’atto dell’Amministrazione con cui si annulla l’F24. Non solo, a seguito di quella istanza, così come per qualsiasi altra istanza avanzata dal contribuente, secondo la più recente ed univoca giurisprudenza sul punto, l’Amministrazione aveva il dovere e l’obbligo di promuovere un contraddittorio che necessariamente doveva concludersi con la emissione, da parte della stessa Amministrazione, di un atto motivato. Tutto questo nel caso di specie non è avvenuto, anzi l’Ufficio ha dato seguito al p.v.c. e solo a distanza di oltre un anno e comunque in data successiva alla emissione dell’avviso di recupero, ha comunicato che le istanze non potevano essere accolte senza, però, motivare in alcun modo le ragioni del rigetto e senza porre a base dello stesso alcun riferimento normativo. Ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, comma 421, legge n. 311 del 2004 (Finanziaria 2005), l’atto di recupero emanato dall’Agenzia delle Entrate, per la riscossione di crediti indebitamente utilizzati e riguardanti le entrate tributarie, deve essere necessariamente motivato ».
Con la motivazione sopra richiamata il giudice di appello non ha affermato, in violazione dell’art. 1421 cod. civ., che fosse possibile, per la contribuente, operare la compensazione di un credito tributario con un controcredito di imposta inesistente, ma ha piuttosto ritenuto, con riferimento al credito di imposta utilizzato in eccedenza rispetto alla misura spettante, che, a fronte della presentazione di istanze di annullamento dei modelli di pagamento F24 da parte della D.P. s.r.I., l’Agenzia delle Entrate aveva l’obbligo di provocare un contraddittorio con la contribuente, all’esito del quale, in presenza dei relativi presupposti, avrebbe potuto emettere un atto di recupero motivato che tenesse conto dei chiarimenti e delle controdeduzioni svolte dalla società.
L’annullamento dell’atto di recupero poggia dunque, da una parte, su un vizio di forma, ossia la omessa motivazione dell’atto impugnato, tanto che la C.T.R. ha fatto espresso riferimento all’art. 1, comma 421, della legge 311/2004, e, dall’altra parte, su motivi che attengono al rapporto tributario, avendo il giudice di secondo grado ritenuto che alla Agenzia delle Entrate non competesse il potere impositivo, trattandosi di importi di competenza di soggetti diversi, e che, avendo la medesima Agenzia già provveduto al recupero delle medesime somme mediante iscrizione a ruolo, ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. 600/73, essa avesse- di fatto- duplicato la pretesa impositiva.
6. Il quarto motivo, con il quale è stata dedotta “omessa, insufficiente ed illogica motivazione su fatti decisivi e controversi della causa, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. e all’art. 62, primo comma, d.lgs. 546/2002”, ed il settimo motivo, con cui si censura la sentenza impugnata per motivazione insufficiente ed illogica su fatti controversi e decisivi della causa, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. ed all’art. 62, primo comma, d.lgs. n. 546/2002, possono essere trattati congiuntamente in quanto logicamente connessi.
6.1. I motivi sono fondati, risultando la motivazione della sentenza contraddittoria.
La C.T.R., dopo avere dato atto che la D.P. s.r.I., ancor prima che la Agenzia delle Entrate procedesse alla redazione del processo verbale di contestazione, aveva presentato istanze di annullamento dei modelli F24 in quanto si era resa conto “dell’errore commesso”, ossia di avere operato compensazioni indebite, utilizzando un credito di imposta eccedente rispetto alla misura effettivamente spettante, ha comunque disposto l’annullamento dell’atto di recupero limitandosi a rilevare un vizio di forma della procedura seguita dall’Amministrazione finanziaria, non tenendo conto del fatto che l’Amministrazione, richiamando sia l’art. 8 della legge n. 388/00 che le istruzioni adottate in materia (Risoluzione n. 73/98 e Circolare n. 5/2002), aveva spiegato che le istanze di annullamento non potevano essere accolte in assenza di un contestuale versamento degli importi dovuti e, soprattutto, senza considerare che la stessa istanza di annullamento presentata dalla contribuente dimostrava la fondatezza della pretesa tributaria.
Le argomentazioni svolte dal giudice di appello risultano dunque illogiche, in quanto la C.T.R., piuttosto che limitarsi ad un esame formalistico della procedura adottata dalla Agenzia delle Entrate e del conseguente atto di recupero, avrebbe dovuto rilevare se la prova della illegittimità della compensazione potesse trarsi dallo stesso comportamento della contribuente, la quale, presentando le istanze di annullamento dei modelli F24, aveva implicitamente riconosciuto di avere, in parte, utilizzato un credito di imposta inesistente.
La motivazione della sentenza risulta, peraltro, insufficiente anche nella parte in cui si afferma che la Agenzia delle Entrate, relativamente alle medesime somme, ha provveduto al recupero delle stesse mediante iscrizione a ruolo ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. 600/73, in quanto la C.T.R., sul punto, addiviene a ritenere che la Agenzia delle Entrate abbia di fatto duplicato una pretesa impositiva «a fronte di un riconoscimento di debito da parte della odierna appellata (D.P. s.r.l.) nei confronti di altri soggetti», senza tuttavia esplicitare le ragioni sulla base delle quali ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 67 del d.P.R. n. 600 del 1973.
7. Il quinto motivo, con il quale la Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e degli artt. 18, secondo comma, lett. e) e dell’art. 57 del d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. ed all’art. 62, primo comma, del d.lgs. n. 546/92, è fondato.
La ricorrente lamenta che il Giudice di appello, al fine di avvalorare la propria decisione, ha ritenuto che l’Ufficio era incompetente al recupero delle somme, dato che gli importi per i quali era stato chiesto il recupero erano di competenza di soggetti diversi dalla Agenzia delle Entrate.
La C.T.R. ha, al riguardo, motivato che l’amministrazione era incompetente al recupero dei crediti indebitamente utilizzati, trattandosi di importi di spettanza di soggetti diversi dall’Agenzia delle Entrate, e precisamente dei Monopoli di Stato, dell’Inps e della Regione, sottolineando al riguardo «è necessario ricordare che dal 10 aprile 2003, proprio per i Monopoli di Stato, ai sensi e per gli effetti D.L. 24.12.202 n. 282, convertito in legge 27 del 21.2.2003, “le funzioni dell’Amministrazione finanziaria in materia di amministrazione, riscossione e contenzioso dell’Entrate tributarie riferite ai giochi…, concorsi pronostici, alle scommesse ed apparecchi da divertimento sono esercitate dall’amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato…».
Come rilevato dalla ricorrente, i motivi di doglianza fatti valere dalla D.P. s.r.l. con il ricorso depositato dinanzi alla C.T.P. e con i motivi di appello non investivano la questione concernente la spettanza dei tributi a soggetti diversi dall’Agenzia delle Entrate, quali i Monopoli dello Stato, l’Inps e la Regione; tale questione, infatti, non è stata eccepita né con il ricorso che ha introdotto il giudizio di primo grado, né con il successivo ricorso in appello e, pertanto, trattandosi di eccezione di merito nuova, tardivamente introdotta solo con le memorie conclusive del 12.1.10 depositate dalla contribuente, e come tale inammissibile in appello, ai sensi dell’art. 57 del d.lgs. n. 546/92, essa non avrebbe potuto costituire oggetto della pronuncia.
8. Con il sesto motivo di ricorso la Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 421, legge 30.12.2004 n. 311 e degli artt. 21 e 22 del d.lgs. n. 241/97 e dell’art. 62 della legge n. 300 del 1999, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. ed all’art. 62, primo comma, del d.lgs. n. 546/92.
8.1. Il motivo è fondato.
Le argomentazioni della C.T.R. che riguardano la asserita incompetenza dell’Agenzia delle Entrate a recuperare le somme non versate relative a contributi Inps e tributi spettanti alla Regione o gestiti dall’Amministrazione dei Monopoli di Stato contrastano nettamente con la disposizione dell’art. 1, comma 421, della legge n. 311/2004, che attribuisce esclusivamente alla Agenzia delle Entrate, e non anche ad altri Enti o istituzioni, il potere di procedere alla riscossione di tributi indebitamente utilizzati, anche in compensazione, ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. n. 241/97.
Come emerge dagli artt. 17 e segg. del d.lgs. n. 241/97, che hanno introdotto un sistema di riscossione unificato, il recupero delle somme indebitamente compensate e non versate non compete ai creditori finali, ma al soggetto che è incaricato di controllare i pagamenti effettuati, suddividendoli secondo la loro destinazione, e di verificare le operazioni di compensazione effettuate.
In presenza di tale sistema il contribuente può eseguire cumulativamente versamenti diretti, concernenti imposte dirette, altre imposte, contributi previdenziali e locali, su una contabilità unica intestata al Ministero delle Finanze, utilizzando il modello F24, e può operare eventuali compensazioni tra poste attive e poste passive, che comprendono non solo imposte diverse, ma anche i rapporti con enti previdenziali, altri enti o enti locali.
Ciò comporta che il mancato versamento di un contributo previdenziale, di una addizionale regionale o anche di un tributo gestito dalla Amministrazione dei Monopoli di Stato, proprio per effetto della sua compensazione con un credito di imposta di altra natura da parte del contribuente, non impone all’Ente creditore di procedere al recupero qualora la compensazione sia stata operata in assenza dei presupposti, atteso che a ciò provvede l’ente incaricato della riscossione unitaria (Agenzia delle Entrate) e della ripartizione tra i soggetti beneficiari delle somme confluite sulla contabilità unificata del Ministero delle Finanze.
9. Passando all’esame del ricorso proposto dalla D.P. s.r.I., con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’ art. 111 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. La ricorrente si duole del fatto che il giudice di appello avrebbe omesso di esaminare tutte le doglianze da essa fatte valere, ed in particolare quelle esposte nelle controdeduzioni depositate in appello, rubricate con i nn. 2, 3, 4, 5, 6, che sono state integralmente trascritte nel ricorso per cassazione, con la conseguenza che, vertendosi in una ipotesi di omessa pronuncia, la mancanza di indicazione delle ragioni poste a fondamento della decisione si risolverebbe in un vizio in procedendo ex art. 111 Cost., e non nel vizio disciplinato dall’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.
9.1. Il motivo è fondato.
Nella sentenza impugnata il giudice di appello, dopo avere dato atto nella parte dedicata allo svolgimento del processo delle singole censure fatte valere dalle parti in causa, ha ritenuto che la iscrizione a ruolo effettuata dall’Amministrazione finanziaria a seguito di controllo automatizzato sia avvenuta nel pieno rispetto delle condizioni prescritte dall’art. 36 bis del d.P.R. n. 600/73.
A tal riguardo ha spiegato che correttamente l’Amministrazione finanziaria si è limitata a verificare, sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalla dichiarazione dei redditi 2005 e sulla «scorta delle distinte delle compensazioni fornite dal Sistema Informativo dell’Anagrafe Tributaria», la sussistenza di imposte e contributi che, sebbene esattamente quantificati e regolarmente indicati nella dichiarazione dei redditi prodotta per l’anno 2005, risultavano non versati in ragione della incapienza del credito di imposta con cui erano stati asseritamente compensati.
La Commissione Tributaria regionale ha, quindi, evidenziato che l’Agenzia delle Entrate, come previsto dall’art. 36 bis del d.P.R. n. 600/73, ha svolto un mero controllo cartolare che non ha implicato alcuna “valutazione giuridica”, sottolineando che «…è proprio nella sufficienza ed idoneità della cartella di pagamento a motivare adeguatamente la pretesa tributaria e, insieme, nella interazione della cartella esattoriale medesima con la dichiarazione dei redditi, che risiede il motivo per cui il legislatore ha previsto, nel caso di mancato versamento di imposte, riscontrato a conclusione dell’attività di liquidazione automatizzata delle dichiarazioni dei redditi, ex art. 36 bis del d.P.R. 600/73, l’emissione di avviso di accertamento prima della iscrizione a ruolo e notifica della cartella esattoriale».
Richiamando l’orientamento di questa Corte, secondo il quale la previsione dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 è applicabile tutte le volte in cui le omissioni e gli errori si evincano in modo inequivocabile dalla dichiarazione dei redditi (Cass. n. 2531 del 21.2.2009), la C.T.R. ha pure posto in rilievo che nel caso di specie la liquidazione dei tributi dovuti «si sovrappone alla dichiarazione mancando qualsiasi pretesa ulteriore rispetto al dichiarato», escludendo in tal modo che la iscrizione a ruolo della maggiore imposta ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600/73 dovesse avvenire, come sostenuto dalla contribuente, mediante un previo avviso di recupero di credito di imposta, come previsto dall’art. 1, comma 421, della legge n. 311/2004, e che la lettura dei dati riportati nella cartella esattoriale, che evidenziavano le somme relative alle imposte non corrisposte ed il periodo di imposta, non fossero di per sé sufficienti a far comprendere, al destinatario dell’atto, i motivi della pretesa tributaria ed il fondamento della stessa.
La C.T.R. ha, inoltre, negato che la decisione circa la legittimità della cartella di pagamento oggetto del giudizio potesse essere effettuata sulla base di valutazioni di merito riguardanti l’avviso di recupero n. RF3CR0200044/2007, trattandosi di pretesa distinta e separata da quella su cui essa era chiamata a pronunciarsi.
Così motivando, la C.T.R., sebbene abbia ritenuto insussistenti i profili di nullità eccepiti dalla contribuente concernenti la asserita violazione dell’art. 36 bis d.P.R. 600/73 e dell’art. 1- comma 421- della legge 311 del 30.12.2004, non ha tuttavia esaminato l’ulteriore doglianza fatta valere dalla D.P. s.r.l. riguardante la dedotta duplicazione della imposta.
A tal proposito, deve rilevarsi che sebbene la procedura ex art. 36 bis del d.P.R. 600/73 è distinta e diversa dall’avviso di recupero che è stato emesso nell’anno 2007, atteso che l’avviso di recupero scaturisce da un controllo sostanziale dei presupposti necessari per beneficiare dell’agevolazione, e non da un controllo meramente formale della dichiarazione dei redditi presentata dalla contribuente, è anche vero che, a fronte delle contestazioni sollevate dalla D.P. s.r.I., la quale ha sostenuto che l’accertamento svolto nel 2007 non ha riguardato solo la verifica dei presupposti per l’utilizzo della agevolazione, ma si è esteso anche ad un riscontro di tutte le compensazioni effettuate, il giudice di appello avrebbe dovuto verificare, all’esito di un attento esame del contenuto dell’atto di accertamento, della cartella di pagamento emessa nel 2008 e della cartella di pagamento emessa nel 2009, se il credito di imposta che l’Agenzia delle Entrate assume essere stato utilizzato in eccesso per indebita compensazione nei due atti impugnati sia il medesimo e, quindi, se sia stata applicata più volte la maggiore imposta, in violazione dell’art. 67 del d.P.R. 600/73.
Tale riscontro non è stato effettuato dalla C.T.R., la quale, partendo dal presupposto che la cartella di pagamento emessa nel 2009 si fondava su un accertamento meramente formale che non richiedeva un previo avviso di recupero di credito di imposta, come previsto dall’art. 1, comma 421, della legge 311/04, non ha ritenuto necessario procedere ad un contestuale esame dell’atto di recupero già emesso nel 2007, omettendo in tal modo di affrontare la questione reiterata dalla contribuente con le controdeduzioni depositate in appello e, dunque, di accertare se il vizio da essa lamentato, ossia la violazione dell’art. 67 del d.P.R. 600/73, fosse o meno fondato.
La assenza di motivazione in ordine ad uno dei motivi di illegittimità della cartella di pagamento fatti valere dalla contribuente si traduce in vizio di omessa pronuncia, dato che la motivazione non prende in considerazione una delle questioni rilevanti e decisive prospettate dalla parte appellata.
L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, dello stesso codice, che consente alla parte di chiedere – e al giudice di legittimità di effettuare – l’esame degli atti del giudizio di merito, nonché, specificamente, dell’atto di appello, mentre è inammissibile ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ. (Cass. n. 22759 del 27/10/2014, Cass. n. 25761 del 5/12/2014, Cass. 11801 del 15/5/2013).
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata con rinvio, risultando necessari accertamenti di fatto che esulano dal giudizio di legittimità.
10. La fondatezza del primo motivo di ricorso fa ritenere assorbiti gli altri due motivi di ricorso fatti valere dalla D.P. s.r.I..
Per tutto quanto sopra esposto, in relazione al ricorso recante n. 2112/11 R.G., devono essere accolti il primo, il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo del ricorso proposto dalla Agenzia delle Entrate e, respinti gli altri motivi, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione Tributaria della Puglia, in diversa composizione, che provvederà anche in merito alle spese di lite del presente giudizio di legittimità; in relazione al ricorso n. 8023/13 R.G., deve essere accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, e va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione Tributaria della Puglia, in diversa composizione, a cui deve essere demandata anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Riunito al presente ricorso il ricorso n. 8023/13 R.G., in relazione al ricorso iscritto al n. 2112/11 R.G., accoglie il primo, il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo e rigetta gli altri motivi; in relazione al ricorso iscritto al n. 8023/13 R.G., accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri motivi; cassa le sentenze impugnate con rinvio alla Commissione Tributaria della Puglia, in diversa composizione, la quale provvederà anche in merito alle spese del giudizio di legittimità.
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