CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 giugno 2017, n. 16160
Attività di commercio – Ammortamento dei beni materiali strumentali – Deducibilità
Fatti di causa
1. La Commissione Tributaria Regionale della Puglia, con la sentenza n.43/11/12, depositata il 04.05.2012 e non notificata, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l’appello dell’Ufficio, in controversia concernente, per quanto riguarda il presente giudizio, la ripresa di quote di ammortamento dei cespiti, consistenti in beni materiali strumentali, ubicati presso la struttura di N. e di spese di manutenzione portate in deduzione dalla società S. SRL per l’anno di imposta 2004, perché non di competenza essendo stato aperto il punto vendita solo nel 2005.
2. Secondo il giudice di appello, in applicazione dell’art. 102 del d.P.R. n. 917/1986, la deducibilità delle quote di ammortamento decorreva dall’esercizio di entrata in funzione del bene e tale circostanza, con riferimento all’anno 2004 non ricorreva. Osservava il secondo giudice che era stato documentalmente provato che l’autorizzazione al commercio al dettaglio, precedentemente rilasciata dal Comune di N. per l’anno 2004, era stata dichiarata decaduta con provvedimento n. 16262 del 06.10.2004, proprio a causa della mancata attivazione dell’esercizio, circostanza confermata dalla contribuente, e che “la mancanza di svolgimento dell’attività di commercio, rende il punto vendita fiscalmente inesistente, sicché viene meno il presupposto di deducibilità invocato” (fol.3).
5. La contribuente ricorre per cassazione su due motivi; la Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 102 del d.P.R. n. 917/1986, per avere utilizzato la CTR un criterio formale per individuare l’esercizio di entrata in funzione del bene (autorizzazione al commercio) e non aver considerato che, in concreto, la struttura era stata utilizzata come deposito e altro, come riscontrato nel corso degli accertamenti compiuti dai funzionari dell’Agenzia delle entrate.
2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546/1992, per insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) costituito dall’individuazione dell’epoca di entrata in esercizio dei beni.
3. I motivi possono essere trattati congiuntamente per connessione e vanno respinti perché infondati.
4. Invero la CTR ha valutato l’entrata in esercizio dei beni, contrariamente a quanto assume il ricorrente, e correttamente lo ha fatto tenendo conto della tipologia e della destinazione dei beni dichiarata fiscalmente dalla parte privata ai fini della procedura di ammortamento: ha quindi dedotto che in relazione a tale specifica destinazione (attività di vendita) non si era verificato l’entrata in funzione dei cespiti.
5. La ricorrente nell’evidenziare che i beni erano entrati in esercizio con una destinazione diversa, in assenza delle prescritte autorizzazioni, come in concreto sembra essere stato accertato dai verbalizzanti, non fa che confermare la correttezza della statuizione, atteso che la procedura di ammortamento va validamente riscontrata in base alla corrispondenza tra quanto dichiarato dalla parte e la situazione concretamente accertata, corrispondenza che, nel caso in esame, pacificamente non sussisteva atteso che la diversa destinazione dei beni aveva fatto venir meno l’originario nesso di strumentalità.
6. La pronuncia è correttamente fondata sulla qualificazione fiscalmente rilevante dei beni e le circostanze di fatto, invocate dalla contribuente, sono prive di rilevanza ai fini tributari ove non formalizzate nei modi di legge dalla stessa contribuente.
7. In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Con riferimento alla ricorrente si deve dare atto, ai sensi 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della stessa, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
– rigetta il ricorso;
– condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nel compenso di € 4.000,00, oltre spese prenotate a debito;
– dà atto, ai sensi 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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