CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 11636 del 7 giugno 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO – LICENZIAMENTO SENZA PREAVVISO – PREVENTIVA CONTESTAZIONE DELL’ADDEBITO AL LAVORATORE – RECIDIVA
Svolgimento del fatto
1. La Corte di Appello di Venezia, con la sentenza n. 606/13, depositata il 18 dicembre 2013, rigettava il ricorso proposto da L.D.C. nei confronti del MIUR e dell’Ufficio scolastico regionale per il Veneto, avverso la sentenza n. 450/12, emessa dal Tribunale di Venezia tra le parti.
2. La D.C. insegnante con contratto a tempo determinato dal 1° settembre 2010 al 30 giugno 2011, presso l’Istituto Comprensivo G. M. di Marcon, aveva impugnato il licenziamento senza preavviso irrogatole con decreto del Direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale per il Veneto del 29 agosto 2011, e la conseguente dichiarazione di decadenza dalle graduatorie a esaurimento del personale docente per la scuola primaria, di cui al decreto 14 settembre 2011.
3. Il licenziamento era stato irrogato, dopo la contestazione degli addebiti intervenuta il 16 giugno 2011 e l’audizione dell’interessata, per aver posto in essere falsità documentali e dichiarative ai fini dell’instaurazione del rapporto di lavoro; in particolare per aver falsamente dichiarato e attestato il conseguimento del titolo finale di un corso di perfezionamento e aggiornamento professionale in dinamiche relazionali e metodologiche didattiche nei gruppi di apprendimento: comportamenti antisociali e ruolo educativo della scuola, promosso per l’anno 2007/2008 dalla Libera Università degli Studi San Pio V di Roma; il servizio prestato negli anni scolastici 2007/2008 e 2008/2009 presso la Scuola paritaria materna elementare Coop. soc. Arcobaleno, con sede in via Circumvallazione Prisco (Ce).
4. Il Tribunale rigettava la domanda rilevando che il decreto di licenziamento era stato adottato dall’Ufficio I dell’Ufficio scolastico regionale, secondo le previsioni dell’Amministrazione che aveva articolato la procedura tra Ufficio I e Ufficio territoriale. Rilevava, altresì, che il licenziamento era proporzionato al fatto contestato e che non vi era stato automatismo nella dichiarazione di decadenza ex D.M. n. 44 del 2011.
5. Per la cassazione sentenza di appello ricorre la D.C. prospettando 4 motivi di ricorso.
6. Resiste il MIUR con controricorso.
7. La ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art 55-bis del d.lgs. n. 165 del 2001, dell’art. 2 del D.M. 29 dicembre 2009, della Circolare ministeriale n. 88 del 2010.
Deduce la ricorrente che il procedimento disciplinare era stato frazionato tra due Uffici (l’Ufficio VII, articolazione dell’Ufficio scolastico regionale Veneto, che lo aveva iniziato, e l’Ufficio I, che lo aveva concluso, al quale I’ Ufficio VII aveva trasmesso gli atti del procedimento), e che il Direttore generale non era competente ad adottare il provvedimento sanzionatorio conclusivo.
2. Il motivo non è fondato.
Ai sensi dell’art. 1 del D.M. 29 dicembre 2009, l’Ufficio scolastico regionale (USR) per il Veneto, di livello dirigenziale generale, con sede in Venezia, quale autonomo centro di responsabilità amministrativa, si articola per funzioni e sul territorio in centri di erogazione di servizi amministrativi, di monitoraggio e di supporto alle scuole.
L’USR per il Veneto si articola in 13 uffici dirigenziali non generali e in 19 posizioni dirigenziali non generali per l’espletamento delle funzioni tecnico-ispettive.
L’art. 2 del suddetto decreto ministeriale prevede che l’USR si articola per funzioni in n. 6 uffici di livello dirigenziale non generale cui sono demandate determinate competenze, esercitate a livello regionale. In particolare, l’Ufficio I, tra l’altro, cura: “assistenza legale, gestione del contenzioso, procedimenti disciplinari e conciliazione. Consulenza legale.
Istruttoria dei ricorsi straordinari al Capo dello Stato”.
L’Ufficio scolastico regionale per il Veneto è altresì articolato, sul territorio, ai sensi dell’art. 3, comma 1, del medesimo D.M. 29 dicembre 2009, in 7 uffici di livello dirigenziale non generale, di cui l’Ufficio VII competente per l’ambito territoriale per la provincia di Venezia.
Detti Uffici, come previsto dall’art. 3, comma 2, lettere h) e k), del citato D.M, curano, ciascuno nel proprio ambito territoriale di competenza, tra l’altro: “disciplina del personale della scuola appartenente ai ruoli provinciali”, “ogni altro eventuale incarico conferito dal Direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale”.
La Circolare n. 88 del 24 novembre 2010, contenente “Indicazioni ed istruzioni per l’applicazione al personale della scuola delle nuove norme in materia disciplinare introdotte dal d. Igs. 27 ottobre 2009, n. 150”, prevede che qualora il responsabile della struttura non abbia la qualifica dirigenziale o nel caso in cui il responsabile abbia tale qualifica, ma la sanzione da applicare sia più grave della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni, gli atti sono trasmessi, entro cinque giorni dalla notizia del fatto, all’ufficio per i procedimenti disciplinari individuato ai sensi del comma 4, dell’articolo 55-bis citato, dandone contestuale comunicazione all’interessato.
La circolare del Direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale del Veneto in data 24 novembre 2010, confermava la individuazione dell’Ufficio I della Direzione generale quale UCPD, cui spetta la gestione dei procedimenti disciplinari inerenti le infrazioni di maggiore gravità e, di conseguenza, l’adozione del provvedimento di chiusura dei procedimenti stessi, con la conseguenza che, nel caso di infrazioni di maggiore gravità, agli Uffici scolastici territoriali spetta lo svolgimento dell’attività istruttoria, la predisposizione del relativo fascicolo disciplinare ed, infine, la trasmissione dello stesso all’Ufficio I della Direzione generale.
Ciò tenuto conto che la competenza in tema di “disciplina del personale della scuola appartenente ai ruoli provinciali”, attribuiva agli Uffici scolastici territoriali solo la competenza a svolgere l’attività istruttoria necessaria all’emanazione del provvedimento di chiusura del procedimento disciplinare, e che per quanto riguardava il personale della scuola appartenente ai ruoli nazionali (docenti nella scuola secondaria di secondo grado) la competenza in materia disciplinare, intesa quale competenza allo svolgimento dell’attività istruttoria, degli Uffici territoriali discendeva da conferimento della Direzione generale, ai sensi della citata lettera k), dell’art. 3, comma 2, del D.M. del 2009.
Alla luce della ricostruzione del quadro normativo di riferimento, correttamente la Corte d’Appello ha ritenuto che non sussistevano le prospettate violazioni della competenza, con riguardo allo svolgimento del procedimento disciplinare in questione e all’adozione dell’atto di recesso, considerato, altresì, che il Direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale, nel sottoscrivere il provvedimento disciplinare aveva agito nella qualità di superiore gerarchico del dirigente dell’Ufficio I, articolazione dell’USR, il quale all’epoca era persona fisica priva di firma.
2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettato il vizio di violazione di legge. Violazione del principio della necessità della previa contestazione della recidiva ai fini della considerazione dei precedenti a fini sanzionatori. Violazione del diritto di difesa e violazione del principio del contraddittorio.
La ricorrente deduce che il decreto disciplinare prendeva in considerazione due precedenti, ai fini dell’irrogazione della sanzione disciplinare, senza che gli stessi fossero stati contestati.
2.1. Il motivo non è fondato. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass. n. 23924 del 2010), in tema di licenziamento disciplinare, la preventiva contestazione dell’addebito al lavoratore Incolpato deve riguardare, a pena di nullità del licenziamento stesso, anche la recidiva (o comunque i precedenti disciplinari che la integrano), ove questa rappresenti elemento costitutivo della mancanza addebitata). La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione di detto principio che richiama, atteso che, chiamata a verificare, come il giudice di primo grado, se il licenziamento fosse stato irrogato sulla base non solo della gravità della condotta contestata in sé, ma anche sulla base di una recidiva non precedentemente contestata, con congrua motivazione, ha escluso che si fosse verificata tale ipotesi, perché il provvedimento di licenziamento faceva mero riferimento al fatto che la D.C. aveva falsificato il verbale di un consiglio di classe e aveva prodotto un certificato falsamente attestante il perseguimento della laurea in giurisprudenza quali fatti pregressi, che non avevano inciso sulla valutazione della gravità della condotta contestata, ma avevano indotto l’amministrazione a eseguire controlli anche sulla veridicità dei documenti e delle dichiarazioni allegate alla domanda di aggiornamento/permanenza in graduatoria. Pertanto, il licenziamento veniva irrogato esclusivamente per avere posto in essere le falsità documentali e dichiarative già indicate, relative al conseguimento del titolo finale del corso di perfezionamento, e al servizio prestato negli anni 2007/2008 e 2008/2009, e tali condotte costituivano condotte pienamente idonee in sé a fondare il licenziamento.
3. Con il terzo motivo di ricorso è prospettata la censura di violazione di legge in relazione all’art. 55-quater, comma 1, lettera d, del d.lgs. n. 165 del 2001 per violazione dei canoni interpretativi indicati dalla Corte costituzionale (sentenze n. 336 del 1996, 125 del 1995, 134 del 1992).
La D.C. espone che la gravità della condotta, erroneamente ritenuta dai giudici di merito, anche in ragione dei precedenti non contestati, senza dare rilievo al falso innocuo, aveva consentito di non valutare la necessità di una gradualità nell’applicazione della sanzione, secondo le indicazioni della Corte costituzionale, ritenendo, altresì, non sussistente la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale.
3.1. Il motivo non è fondato. La Corte d’Appello ha rilevato che la sentenza di primo grado aveva ritenuto che il licenziamento era proporzionato al fatto contestato e configurava giusta causa di recesso, e poneva in luce come trovasse applicazione l’art. 55-quater, lettera d, del d.lsg. n. 165 del 2001, secondo il quale il licenziamento senza preavviso è irrogato nei casi di “falsità dei documenti o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione de! rapporto di lavoro ovvero di progressioni in carriera”.
Il comportamento del dipendente pubblico è, dunque, sanzionato indipendentemente dalla circostanza che la falsità abbia fatto conseguire il posto di lavoro, essendo sufficiente a integrare la fattispecie la condotta di avere prodotto la documentazione o la dichiarazione falsa, al fine o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro.
Tale interpretazione non palesa dubbi di legittimità costituzionale, né può trovare applicazione il concetto penalistico di falso innocuo, in quanto la condotta di produrre documenti falsi ed eseguire false dichiarazioni è idonea in sé ad assumere caratteri tali da giustificare il licenziamento, indipendentemente dal fatto che sia integrato un delitto di falso.
4. Con il quarto motivo di ricorso è dedotto il vizio di violazione di legge per falsa applicazione dell’art. 8, comma 3, lettera c, del D.M. n. 44 del 12 maggio 2011 (che prevede: “Non possono partecipare alla procedura: coloro che siano stati dichiarati decaduti da un impiego statale, ai sensi dell’art. 127, primo comma, lettera d, del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con D.P.R. 10 gennaio 57 n. 3, per aver conseguito l’impiego mediante la produzione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile o siano incorsi nelle sanzioni disciplinari previste dal vigente contratto collettivo nazionale del comparto “Scuola” – licenziamento con preavviso e licenziamento senza preavviso – o nella sanzione disciplinare della destituzione), per violazione dei canoni interpretativi di illegittimità derivata.
La ricorrente espone che la suddetta disposizione, in ragione di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 329 del 2007, non poteva dare luogo a decadenza automatica dalle graduatorie.
4.1. Il motivo non è fondato.
La Corte d’Appello applica la suddetta disposizione in modo costituzionalmente orientato secondo i principi affermati da Corte cost. con la suddetta sentenza n. 329 del 2007 che ha afferma: «L’art. 128, secondo comma, del d.P.R. n. 3 del 1957 persegue due obiettivi conformi alla Costituzione. Il primo è di vietare l’instaurazione del rapporto di impiego con soggetti che abbiano agito in violazione del principio di lealtà, che costituisce – come notato – uno dei cardini dello stesso rapporto (art. 98 Cost.). Il secondo è di tutelare l’eguaglianza dei concorrenti, pregiudicati dalla sleale competizione con chi abbia partecipato alla selezione con documenti falsi o viziati (art. 97 Cost.).
Tuttavia, esso non è conforme al principio, «che è alla base della razionalità che domina “il principio di uguaglianza”» (sentenza n. 16 del 1991) di cui all’art. 3 Cost., di adeguatezza tra illecito amministrativo e sanzione (affermato da questa Corte a partire dalla sentenza n. 270 del 1986). Infatti, la preclusione prevista nell’art. 128 censurato colpisce per una durata illimitata nel tempo e automaticamente, senza distinzione, tutti i comportamenti (dalle varie fattispecie di reato in tema di falsità alla produzione di documenti viziati da invalidità non sanabile) rientranti nell’area della decadenza dall’impiego disciplinata dall’art. 127 dello stesso testo unico.
Ne discende la necessità che l’amministrazione valuti il provvedimento di decadenza emesso ai sensi dell’art. 127, primo comma, lettera d, dello stesso decreto, per ponderare la proporzione tra la gravità del comportamento presupposto e il divieto di concorrere ad altro impiego; potere di valutazione analogo a quello riconosciuto da questa Corte ai fini dell’ammissione al concorso, con riferimento alla riabilitazione ottenuta dal candidato (sentenza n. 408 del 1993).
La discrezionalità che l’amministrazione pubblica eserciterà in tal modo sarà limitata dall’obbligo di tenere conto dei presupposti e della motivazione del provvedimento di decadenza, ai fini della decisione circa l’ammissione a concorrere ad altro impiego nell’amministrazione».
Ed infatti, la Corte d’Appello ha posto in evidenza come, secondo quanto già rilevato dal Tribunale, non si era verificato alcun automatismo nella pronuncia ella dichiarazione di decadenza dalle graduatorie, ex art. 8, comma 3, lettera c, del D.M. n. 44 del 2001, perché valevano le medesime considerazioni già svolte in ordine all’estrema gravità e alla reiterazione delle condotte, che era stata valutata dalla Pubblica amministrazione.
5. Il ricorso deve essere rigettato.
6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
7. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro duemilacinquecento per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.
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