CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 12104 depositata il 13 giugno 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – TRATTAMENTO ECONOMICO – MANCATA FRUIZIONE DELLA REFEZIONE AZIENDALE – COMPENSO
Svolgimento del processo
1. – Con sentenza del 5 gennaio 2010 la Corte di Appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda avanzata da G.G. nei confronti dell’Istituto P. e Z. dello Stato volta alla condanna della datrice di lavoro al pagamento di somme a titolo di assegno giornaliero pari a 50 minuti di retribuzione quale compenso per la mancata fruizione della refezione aziendale.
La Corte territoriale ha interpretato l’art. 13 del regolamento del personale dell’Istituto P. e Z. dello Stato del 1991 (così come riportato in sentenza) secondo il quale:
“A titolo compensativo dell’abolizione della mensa aziendale e del concesso permesso retribuivo di mezz’ora, a favore del personale in servizio presso i settori grafici, impiegati in turni avvicendati o in orario unico giornaliero, è concesso un assegno giornaliero pari a 50 minuti della retribuzione …
Al personale in servizio presso l’Amministrazione Centrale dell’Istituto è concesso l’assegno di cui al primo paragrafo oppure il permesso retribuito di mezz’ora per la refezione e, a richiesta degli interessati, in luogo della mensa in natura, un assegno giornaliero con identiche modalità e limiti di quelli sopra previsti, nella misura ridotta di 20 minuti.”
Ha dunque interpretato tale disposizione nel senso che “non consente di cumulare la pausa di mezz’ora, riconosciuta ai dipendenti addetti all’amministrazione centrale, con l’assegno di 50 minuti, ma, ferma detta pausa, la scelta è limitata all’alternativa tra la mensa in natura e l’assegno giornaliero sostitutivo di importo pari a 20 minuti della retribuzione”.
La Corte ha dunque accertato in fatto che il G., in servizio presso una delle direzioni centrali, ha fruito dell’assegno giornaliero pari a 20 minuti nonché del permesso retribuito di mezz’ora per la refezione, con la conseguenza che egli non poteva avere diritto a cumulare tale pausa, pacificamente fruita, con l’assegno pari a 50 minuti di retribuzione.
Inoltre ha interpretato la lettera del 22 giugno del 1995 con cui il G. aveva affermato di “optare … per il pagamento in busta paga della refezione anziché in natura”, escludendo che rappresentasse una rinuncia alla pausa di mezz’ora.
2. – Per la cassazione di tale sentenza G.G. ha proposto ricorso con un unico articolato motivo. L’Istituto ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
3. – Con il mezzo di impugnazione si denuncia violazione e falsa applicazione dell’accordo collettivo e degli artt. 1362, 1363 e 1364 c.c. nonché insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio.
Si premette che il dott. G., con raccomandata del 22 giugno 1995, aveva comunicato all’Istituto quanto segue; “Con la presente rendo noto che, ai sensi dell’art. 13 dei trattamenti riconosciuti ad esaurimento facenti parte del Regolamento del Personale dell’Istituto, intendo optare da oggi per il pagamento in busta paga della refezione anziché in natura come fatto sino a ieri”.
Si evidenzia che, nonostante ciò, l’Istituto aveva continuato a corrispondere l’indennità di mensa ridotta pari a 20 minuti, ignorando l’opzione esercitata dal G. tendente a vedersi riconosciuto in busta paga il pagamento dell’intero corrispettivo a titolo di compensazione dovuta per rinuncia alla refezione in natura pari a 50 minuti di retribuzione, per cui si era resa necessaria l’azione giudiziale.
Si sostiene che, con la nota innanzi citata, il G. avrebbe rinunciato al!a pausa mensa pari a 30 minuti al giorno retribuiti.
Si lamenta che la motivazione della sentenza della Corte di Appello sarebbe “incomprensibile, incongruente e contraddittoria”, effettuando, in particolare, una falsa applicazione del regolamento del personale avente valore di contratto collettivo.
4. – Il motivo non può trovare accoglimento.
La Corte territoriale, come riportato nello storico della lite, ha espresso in modo coerente l’interpretazione della disciplina del regolamento del personale in controversia nel senso che, a titolo compensativo dell’abolizione della mensa aziendale, al personale in servizio presso l’amministrazione centrale dell’Istituto poteva essere concesso o un assegno giornaliero pari a 50 minuti della retribuzione ovvero, alternativamente, il permesso retribuito di mezzora per la refezione e, a richiesta degli interessati, un assegno giornaliero pari a 20 minuti della retribuzione.
A fronte della domanda del lavoratore che agiva in giudizio per ottenere il trattamento dell’assegno giornaliero pari a 50 minuti di retribuzione, la Corte ha accertato in fatto che egli aveva invece fruito del trattamento alternativo: cioè un assegno pari a 20 minuti di retribuzione cui si accompagnava il permesso retribuito di mezzora “con facoltà eventuale di uscire dall’Istituto ai fini del ristoro senza dover recuperare il tempo in uscita a fine orario di lavoro”.
Ne è stata tratta la logica conseguenza, sul presupposto dell’alternatività dei due trattamenti, che il G. non poteva aggiungere al permesso retribuito di mezzora anche l’assegno pari a 50 minuti di retribuzione.
La Corte, inoltre, ha rilevato che il lavoratore non aveva “mai dichiarato di voler rinunciare alla pausa di mezzora” in quanto con la lettera del 22 giugno 1995 si era limitato ad affermare .
Orbene con il mezzo di impugnazione non si censura realmente l’interpretazione del regolamento propugnata dalla Corte distrettuale bensì ci si duole dell’interpretazione della nota del 22 giugno 1995 del G..
Si tratta di un accertamento di fatto insindacabile in questa sede così come è un fatto l’accertamento secondo cui il G. ha fruito dopo il 1995 sia della pausa retribuita sia dell’assegno di 20 minuti.
Entrambi tali accertamenti non sono efficacemente censurati, in quanto il motivo si risolve sostanzialmente nella prospettazione di un diverso apprezzamento delle circostanze di fatto già valutate dal giudice di merito in senso contrario alle aspettative della parte e si traduce, quindi, nella richiesta di una nuova valutazione del materiale probatorio certamente preclusa in sede di legittimità (v., in fattispecie analoga, Cass. n. 20163 del 2013).
5. – Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 3.100,00, di cui euro 100 per esborsi, oltre accessori secondo legge e spese generali al 15%.
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