CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 35049 depositata il 14 dicembre 2023
Lavoro – Sanzione disciplinare – Sospensione dal servizio – Privazione retribuzione per un giorno – Permesso per gravi motivi personali – Accoglimento
Ritenuto
1. La Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 584 del 2017, ha accolto l’appello principale proposto dall’INPS nei confronti di A.R., in ordine alla sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Vercelli, ed ha rigettato l’appello incidentale della lavoratrice, respingendo le domande proposte con il ricorso introduttivo.
2. La R. aveva impugnato dinanzi al Tribunale di Vercelli la sanzione disciplinare conservativa della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per un giorno, che gli era stata irrogata dall’INPS, datore di lavoro, con la missiva del 19 dicembre 2014.
3. Il Giudice di primo grado aveva annullato la sanzione disciplinare affermando la mancanza di proporzionalità della stessa, non condividendo la valutazione di particolare gravità dell’infrazione in ragione dell’assenza di danno o solo di un pericolo per l’Amministrazione, e soprattutto per la scarsa intensità dell’elemento psicologico.
4. Il giudice di secondo grado ha affermato che il comportamento inadempiente dell’appellata, per l’inosservanza delle disposizioni in materia di assenza dal servizio e condotta non conforme ai principi di correttezza verso l’Amministrazione, doveva ritenersi connotata da “particolare gravità”, e come tale sanzionabile con la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione. La sanzione, peraltro, era stat irrogata secondo i criteri di gradualità, indicati dal regolamento disciplinare, nella misura minima di un giorno.
5. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre la lavoratrice prospettando quattro motivi di ricorso.
6. Resiste l’INPS con controricorso assistito da memoria.
Considerato
1. Occorre premettere che la Corte d’Appello ha affermato che la richiesta, con la quale il 24 settembre 2014 la lavoratrice aveva chiesto di fruire di un permesso per gravi motivi personali, non era stata adeguatamente documentata.
Proprio l’inottemperanza della lavoratrice alle richieste di specificazione della natura degli adempimenti oggetto della richiesta di permesso aveva determinato la condotta oggetto di contestazione.
Dunque, attesa la disciplina dei permessi di cui all’art 19 del CCNL – EPNE, sussisteva a carico della lavoratrice un comportamento disciplinarmente rilevante (art. 7 del Regolamento di disciplina), considerate le previsioni che impongono al dipendente di agire secondo diligenza nell’osservanza delle norme e delle disposizioni impartire, adempiendo alle formalità previste per la rilevazione delle presenze (art.1, commi 1, 2, 3 lettere a, e, h).
2. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 19, del CCNL EPNE 6 luglio 1995; dell’art. 1, commi 1, 2, 3 lett. a), e), h) del Regolamento di disciplina INPS (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.).
La ricorrente censura la sentenza di appello che, alla luce dell’interpretazione delle richiamate disposizioni del CCNL e del Regolamento, ha ritenuto legittimo lo svolgimento di un’attività istruttoria da parte dell’INPS, al fine di verificare la sussistenza dei gravi motivi, successivamente all’inizio della fruizione del permesso e dopo che le attività poste in essere dall’Amministrazione erano state tali da far ritenere che la domanda di permesso fosse stata accolta.
3. Il motivo è fondato e va accolto.
3.1. Preliminarmente, va osservato che entrambe le parti riferiscono che la richiesta di permesso aveva avuto parere favorevole ed era stata inserita nella procedura telematica SAP (si v. pag. 2 del ricorso; v. pag. 2 e 3 del controricorso, in cui si afferma l’introduzione della domanda nella procedura telematica dedicata alle assenze e l’approvazione della richiesta).
Analogamente, dalla prospettazione di entrambe le parti emerge che le richieste dell’INPS di specificazione di quanto esposto nella domanda di permesso del 24 settembre 2014, intervenivano dopo che la lavoratrice aveva iniziato a fruire del permesso ed era assente dal servizio il 26 settembre 2014 (si veda ricorso, pag. 3 si v. controricorso pag. 3).
3.2. L’art. 19 del CCNL – EPNE disciplina i “Permessi retribuiti”.
Per quanto qui rileva tale disposizione al comma 2 prevede: “A domanda del dipendente possono inoltre essere concessi, nell’anno 3, giorni di permesso retribuito per gravi motivi personali o familiari debitamente documentati”.
3.3. Dunque, il CCNL prevede la possibilità di concessione al personale di tre giorni di permesso retribuito, per anno, in presenza di gravi motivi personali o familiari debitamente documentati.
Il diritto del lavoratore, deve ritenersi condizionato alla indicazione nella domanda di concessione del beneficio delle ragioni sottese all’esigenza di fruire del permesso non retribuito e anche alla sua documentazione (si cfr., Cass., n.15973 del 2017).
La norma non contiene alcuna precisa casistica delle ipotesi legittimanti la fruizione dei permessi di cui si tratta.
Pertanto, spetta all’Ente valutare, nella sua discrezionalità, le esigenze addotte dal dipendente a sostegno della richiesta di assentarsi dal servizio, che devono presentare comunque un certo rilievo (“gravi motivi”), in relazione alla eventuale sussistenza di ragioni di organizzative e di servizio tali da impedire la concessione del permesso.
L’Ente, tuttavia, non ha un proprio e pieno potere di valutazione discrezionale sui motivi posti a base della richiesta, potendo solo, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, opporsi alla stessa, adducendo ragioni organizzative e di servizio ritenute come prevalenti rispetto alle altre, e formulare la sua proposta di differimento del congedo o di fruizione parziale.
A ciò consegue che la valutazione della compatibilità con le ragioni organizzative e dunque le relative verifiche, essendo finalizzate a garantire l’effettivo svolgimento dell’attività lavorativa nel giorno in cui, invece, il lavoratore intende fruire del permesso, devono intervenire prima dell’inizio della fruizione del permesso, e non ex post, in modo da consentire all’interessato di rendere la prestazione lavorativa, anche all’esito di una riprogrammazione del permesso.
La norma contrattuale, considerate le ragioni per cui sono previsti i permessi “gravi motivi personali o familiari”, invita le parti ad una leale collaborazione.
Da un lato, il lavoratore deve documentare gli stessi; dall’altro il datore di lavoro deve tempestivamente operare le verifiche di sua competenza e segnalare l’eventuale non adeguatezza della documentazione, come si è detto ex ante, atteso che non è compatibile con la ratio dell’istituto un’autorizzazione soggetta a conferma o revoca.
3.4. Nella specie, la Corte d’Appello, nell’esaminare la legittimità della sanzione disciplinare irrogata alla lavoratrice, erroneamente in relazione all’art. 19 del CCNL – ENPE , ha dato rilievo solo al dovere del lavoratore di documentare la sussistenza dei gravi motivi personali o familiari al momento della presentazione dell’istanza di congedo, e non anche al dovere del datore di lavoro, secondo correttezza e buona fede, di esercitare il proprio potere di verifica in modo funzionale alla salvaguardia delle esigenze organizzative, e dunque prima dell’inizio della fruizione del congedo da parte del lavoratore, potendosi, in mancanza, ingenerare un legittimo affidamento nell’accoglimento dell’istanza di congedo, che occorre prendere in esame nel vaglio di legittimità della sanzione disciplinare.
4. All’accoglimento del primo motivo di ricorso, segue l’assorbimento degli ulteriori tre motivi di ricorso.
5. In sintesi, si ricorda che con il secondo motivo di ricorso è stato prospettato l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.).
Con il terzo motivo di ricorso è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 55-bis, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 3, comma 2, del Regolamento di disciplina INPS (art. 360, n.3, cod. proc. civ.).
Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente censura la sentenza di appello per la violazione e falsa applicazione dell’art. 2106 cod. civ.; dell’art. 2 del regolamento di disciplina INPS (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.) Nullità della sentenza (art. 360, n. 4, cod. proc. civ.).
6. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri motivi. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri motivi. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
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