CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 12781 depositata il 21 giugno 2016
PRELEVAMENTI E VERSAMENTI SUI CONTI CORRENTI BANCARI – PRESUNZIONE EX ART. 32 DEL D.P.R. N. 600 DEL 1973 – IMPUTAZIONE AI RICAVI CONSEGUITI NELL’ATTIVITA’ DI IMPRESA – ESTENSIONE AL LAVORO AUTONOMO E PROFESSIONALE – AMMISSIBILITA’ – ESCLUSIONE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Commissione tributaria regionale di Palermo, respingendo l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, ha confermato la sentenza di prime cure che aveva accolto i due distinti ricorsi, poi riuniti, proposti dal dr. B.P. contro gli avvisi di accertamento, per Irpef ed Irap, relativi agli anni d’imposta 2001 e 2002, con i quali erano stati accertati maggiori redditi da attività libero professionale intramuraria (A.L.P.I.), svolta dal menzionato professionista, presso il presidio ospedaliero di V.S. di Palermo, determinando il suo nuovo carico tributario e le conseguenti sanzioni.
1.1. Il giudice distrettuale, per quello che rileva in questa sede, ha respinto il gravame in quanto: a) doveva ritenersi inammissibile e tardivo il deposito, eseguito dall’Agenzia solo in sede di appello, ai sensi dell’art. 58, 1° co., D. Lgs. n. 546 del 1992, del documento attestante la delega conferita dal Direttore dell’Ufficio al Capo Area, per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento notificato al contribuente; b) nel merito, l’Ufficio non avrebbe fornito alcuna prova dello svolgimento di un’attività libero professionale autonoma da parte del contribuente, il quale, svolgendo l’attività professionale intra moenia avrebbe ricevuto proventi assimilati ai redditi di lavoro dipendente [ex art. 47 – oggi 50,1 co., lett. e) – TUIR] e perciò non tenuto ad osservare l’obbligo delle scritture contabili, con il conseguente difetto dei presupposti per l’accertamento induttivo ex art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973; c) infine, l’art. 32, I co., n. 2, d.P.R. n. 600, cit., non era applicabile nel suo testo come modificato nel corso dell’anno 2005, anche agli anni d’imposta anteriori (nella specie: il 2001 e 2002), per il principio di irretroattività della norma tributaria.
2. Avverso tale pronuncia ricorre l’Agenzia delle Entrate, con ricorso affidato a cinque mezzi.
3. Il dr. P. resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo mezzo di ricorso (Violazione dell’art. 58, 2° co., D. Lgs. n. 546 del 1992, in riferimento all’art. 360 n. 4 c.p.c.) la ricorrente Agenzia delle Entrate pone il seguente quesito di diritto: « se la CTR abbia ritenuto, illegittimamente, non valutabile perché tardiva la delega dì firma dell’accertamento rilasciata dal Direttore dell’ufficio al Capo Area e, quindi, invalido l’accertamento per indimostrata legittimazione del suo firmatario,diverso dal Direttore dell’Ufficio, anziché riconoscere pienamente legittima ex art. 58, 2° co., Lgs. n. 546 del 1992 la produzione della delega, attestante la legittimazione del firmatario e comprovante la legittimità dell’accertamento».
1.1. La CTR avrebbe errato a ritenere tardiva tale produzione.
2. Con il secondo mezzo (Violazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 n. 4 c.p.c.) la ricorrente Agenzia pone il seguente quesito di diritto: « se la CTR abbia assolto il proprio obbligo di decidere tutta la domanda, avendo rigettato il presente appello (in cui tra l’altro si deduceva l’erroneo convincimento del primo Giudice che l’accertamento induttivo si fondasse sui risultati di inapplicabili indagini bancarie, in quanto esso invece si fondava anzitutto sull’elaborazione dei dati rilevati nell’accesso) con motivazioni attinenti unicamente alla non fondabilità dell’accertamento induttivo sulle indagini bancarie ritenute inapplicabili»,
2.1. La CTR avrebbe errato a non esaminare uno specifico motivo di impugnazione con il quale l’Agenzia aveva lamentato il mancato esame, da parte del giudice di prime cure, delle risultanze dell’accesso in data 19 luglio 2004, presso i locali della sede dell’attività svolta dal contribuente, nel corso del quale erano state raccolte informazioni e rilevati dati sull’attività libero professionale svolta, sia pure in regime intramurario, essendo questo il presupposto da cui l’Ufficio aveva dedotto l’esistenza di un’attività libero professionale occultata.
2.2. Non era stato, pertanto, l’accertamento bancario il perno dell’attività accertativa tributaria, che sarebbe servita solo a corroborare quanto diversamente accertato; ne deriverebbe che la mancata risposta alla specifica doglianza svolta con il gravame (a p. 3, righe 21-30) costituirebbe una ipotesi di omessa pronuncia.
3. Con il terzo (Omessa o comunque insufficiente motivazione, in riferimento all’art. 360 n. 5 c.p.c.) la ricorrente Agenzia pone il seguente quesito di fatto: « la sentenza non motiva sul fatto della ritenuta assenza di prova dello svolgimento di attività libero professionale (fatto che, comportando secondo la CTR l’inapplicabilità delle indagini bancarie che essa considera unico fondamento dell’accertamento, vanifica quest’ultimo), non valutando a tal fine né i dati emersi dall’accesso (evidenziami da soli maggiori ricavi), né la logica necessità che prestazioni professionali, ove non denunciate tra quelle “intra moenia” disciplinate come subordinate, debbano inevitabilmente ascriversi a lavoro autonomo ».
3.1. La CTR avrebbe errato nell’affermare che mancherebbe la prova dello svolgimento dell’attività libero professionale, a giustificazione degli accertamenti bancari, anche se eseguiti in via aggiuntiva e non decisiva.
4. Con il quarto mezzo (Violazione dell’art. 39, 1° e 2° co., d.P.R. n. 600 del 1973 e 2727 e ss. c.c., in riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c.) la ricorrente Agenzia delle Entrate pone il seguente quesito di diritto: «se illegittimamente la CTR abbia affermato che in presenza di accertamento induttivo non incombesse alla parte la prova contraria alle presunzioni dell’Ufficio, anziché riconoscere che, sia nell’accertamento induttivo sia in quello analitico (pure svolto nella specie, con la ricostruzione di maggiori ricavi dai dati della concreta attività come rilevati dagli atti e dalle dichiarazioni dei soggetti di legge a seconda della metodologia accertativa) comporta comunque un’inversione dell’onere probatorio, e constatare che a tale onere la parte non aveva assolto».
4.1. La CTR avrebbe errato a non rilevare che, anche indipendentemente dalla qualificazione come autonoma delle prestazioni «in nero», dall’omessa tenuta delle scritture e dall’accertamento induttivo, dai dati analitici emergenti, era onere della parte fornire la prova contraria, ciò che sarebbe stato negato dal giudice di appello.
5. Con il quinto (Violazione dell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, in riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c.) la ricorrente Agenzia delle Entrate pone il seguente quesito di diritto: «se illegittimamente la CTR abbia ritenuto inapplicabile, perché sostanziale e non retroattiva, la norma dell’art. 32, come novellata dalla L. n. 311 del 2004, anziché riconoscere il carattere procedimentale della norma e quindi l’applicabilità della novella ad accertamenti notificati nel 2005, o quanto meno riconoscere l’applicabilità della precedente versione della norma stessa, che consentiva certamente anche per i professionisti almeno l’accertamento bancario sui versamenti, impedendo così un integrale annullamento degli atti impositivi».
5.1. La CTR avrebbe errato a ritenere inapplicabile la menzionata disposizione, avente natura procedimentale, sia nella versione modificata dalla legge n. 311 del 2004, sia in quella precedente, riguardante anche i professionisti, con i correlati obblighi di conservazione della contabilità.
6. Il primo motivo di ricorso è fondato e deve essere accolto, anche se – in ragione della presenza, nella sentenza impugnata, di una doppia ratio decidendi – il suo accoglimento non comporta, in via automatica, la cassazione della decisione qui esaminata.
6.1. Questa Corte ha, infatti, già esaminato e risolto tale questione (Sez. 5, Sentenza n. 17044 del 2013) affermando il principio di diritto secondo cui «L’avviso di accertamento è nullo, ai sensi dell’art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. In caso di contestazione, l’Amministrazione finanziaria è tenuta a dimostrare la sussistenza della delega, sebbene non necessariamente dal primo grado, visto che si tratta di un atto che non attiene alla legittimazione processuale, avendo l’avviso di accertamento natura sostanziale e non processuale».
7. I restanti mezzi, tra di loro strettamente connessi, debbono esser esaminati congiuntamente ed accolti, per quanto di ragione.
7.1. Com’è noto, la Corte costituzionale, dopo la proposizione del ricorso per cassazione, ha così inciso sul diritto applicabile al caso in esame ed stabilito che: «È costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 53 Cost., l’art. 32, comma 1, n. 2), secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dall’art. 1, comma 402, lett. a ), n. 1), della legge 30 dicembre 2004, n. 311, limitatamente alle parole «o compensi». La norma – oltre a disporre che i dati ed elementi trasmessi su richiesta, rilevati direttamente ovvero nei controlli relativi alle imposte sulla produzione o consumo, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 del medesimo d.P.R. n. 600 del 1973, salvo che il contribuente dimostri che ne ha tenuto conto nella determinazione dei redditi o che essi non hanno rilevanza a tal fine – prevede che i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito delle predette operazioni sono posti come ricavi o compensi a base delle rettifiche e degli accertamenti (e sono quindi assoggettabili a tassazione), se il contribuente non ne indica i soggetti beneficiari e sempreché non risultino dalle scritture contabili. L’ambito operativo dì tale presunzione, originariamente limitato unicamente agli imprenditori, è stato poi esteso ai lavoratori autonomi dall’art. 1 della legge n. 311 del 2004 (inserendo anche i «compensi»). Proprio tale ultima estensione è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito. Infatti la figure del lavoratore autonomo, pur essendo per molti versi affine a quella dell’imprenditore sia nel diritto interno sia nel diritto comunitario, presenta specificità tali da far ritenere arbitraria l’omogeneità di trattamento. In particolare, l’attività svolta dai lavoratori autonomi si caratterizza per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo, che è quasi del tutto assente nei casi in cui è più accentuata la natura intellettuale dell’attività svolta, come per le professioni liberali. Inoltre, la non ragionevolezza della presunzione è avvalorata dal fatto che gli eventuali prelevamenti vengono ad inserirsi in un sistema di contabilità semplificata di cui generalmente e legittimamente si avvale la categoria. Infine, la norma non può trovare giustificazione nell’esigenza di combattere l’evasione fiscale rilevante nel settore in quanto essa trova una risposta nella recente produzione normativa sulla tracciabilità dei movimenti finanziari che oltre ad essere uno strumento di lotta al riciclaggio di capitali di provenienza illecita, persegue il dichiarato fine di contrastare l’evasione o l’elusione fiscale attraverso la limitazione dei pagamenti effettuati in contanti che si possono prestare ad operazioni “in nero”».
7.2. Il venir meno dell’equiparazione tra il professionista e l’impresa, sul piano delle indagini bancarie svolte a carico dei contribuenti, è stata poi pienamente recepita da questa Corte che, con la sentenza (Sez. 5) n. 23041 del 2015, ha affermato il principio di diritto secondo cui « la presunzione di cui all’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, secondo cui sia i prelevamenti sia i versamenti operati sui conti correnti bancari, non annotati contabilmente, vanno imputati ai ricavi conseguiti, nella propria attività, dal contribuente che non ne dimostri l’inclusione nella base imponibile oppure l’estraneità alla produzione del reddito, si riferisce ai soli imprenditori e non anche ai lavoratori autonomi o professionisti intellettuali. essendo venuta meno, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, la modifica della citata disposizione, apportata dall’art. 1, comma 402, della legge n. 311 del 2004, sicché non è più sostenibile l’equiparazione, ai fini della presunzione, tra attività d’impresa e professionale per gli anni anteriori».
7.3. Di conseguenza, le doglianze dell’Agenzia sono fondate nella parte in cui la decisione di merito ha ritenuto che il reddito del professionista-contribuente fosse stato ricostruito esclusivamente per mezzo della utilizzazione delle presunzioni scaturenti dalle indagini bancarie – in ossequio al principio di diritto secondo cui l’Ufficio non poteva adottare, a supporto della ripresa a tassazione, tali sole risultanze, dovendole verificare sulla base di ulteriori elementi probatori – che, nella specie sono stati valorizzati e richiamatati (particolarmente con i motivi due, tre e quattro) con riferimento ai dati raccolti nel corso dell’accesso nella struttura sanitaria e che devono essere riesaminati nella fase di merito, una volta depurati dall’operare delle presunzioni escluse, per i professionisti, dalla pronuncia della Corte costituzionale sopra richiamata (e dei conseguenti principi di diritto elaborati da questa Corte).
8. Il ricorso dell’Agenzia va pertanto accolto, in riferimento agli aspetti menzionati conseguenti al ius superveniens derivante dalla pronuncia del Giudice delle leggi ed al suo impatto sulle tecniche di accertamento e all’utilizzazione delle presunzioni conseguenti, con la cassazione della sentenza impugnata, in relazione al mancato esame del compendio degli elementi allegati e offerti dagli accertatori all’esame del giudice, con rinvio della causa, anche per le spese di questa fase, alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, per il suo nuovo esame.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso dell’Agenzia, per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questa fase, alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, in diversa composizione.
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