CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 14390 depositata il 14 luglio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – LICENZIAMENTO – IMPUGNATIVA DEL LICENZIAMENTO – RIFORMA FORNERO RITO VELOCE – TERMINI E DECADENZA – PROCEDIMENTO DI URGENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Palermo, confermando la sentenza del Tribunale di Agrigento, accoglieva l’impugnazione di G.R. del licenziamento intimatogli in data 21 agosto 2012 dal Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale (ASI) di Agrigento in liquidazione – Gestione separata dell’IRSAP con conseguente condanna del Consorzio alla reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e al pagamento di una indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento a quello della reintegrazione.
A base del decisum, e per quello che rileva in questa sede, la Corte del merito rilevato, preliminarmente, che il deposito del ricorso art. 700 c.p.c., valeva ai fini del rispetto del termine di decadenza di cui alla l. 604/1966, art. 6, così come modificato dalla L. 92/2012, art. 1, comma 38, riteneva viziato il procedimento disciplinare perchè non era stata rispettata la collegialità dell’istituito Ufficio per i Procedimenti disciplinari e la determinazione conclusiva non era stata assunta dal Direttore generale; ma dal Commissario straordinario sicchè, trattandosi di violazione di norma imperativa, la conseguenza non poteva che essere la reintegrazione nel posto di lavoro trovando applicazione il regime reintegratorio precedente alla riformulazione, ex L. 92/2012, cit., della l. 30071970, art. 18. Nè secondo la predetta Corte, sussistevano dubbi di legittimità costituzionale rientrando nella discrezionalità del legislatore la previsione di una disciplina differenziata tra i rapporti di lavoro alle dipendenze del datore privato e di quello pubblico.
Avverso questa sentenza l’ASI ricorre in cassazione in ragione di cinque censure.
La parte intimata non svolge attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo parte ricorrente, deducendo violazione della l. 604/1966, art. 6, comma 2, nel testo modificato dalla L. 92/2012, art. 1, comma 38, e della L. 92/2012, art. 1, ccomma 48, sostiene l’erroneità della sentenza della Corte territoriale in punto di ritenuta osservanza del termine di decadenza con la proposizione del ricorso art. 700 c.p.c..
Con la seconda censura parte ricorrente, denunciando violazione del d.lgs. 165/2001, art. 55bis, comma 4, assume che la Corte del merito erroneamente interpretando la richiamata disposizione ha ritenuto viziato il procedimento disciplinare per il mancato rispetto della collegialità prevista dell’istituito Ufficio per i Procedimenti disciplinari.
Con la terza critica parte ricorrente, assumendo violazione del d.lgs. 165/2001, artt. 55 e 55bis, comma 4, sostiene che la Corte territoriale, nel ritenere altresì viziato il procedimento disciplinare sul rilievo che la determinazione conclusiva non era stata assunta dal Direttore generale1 ma dal Commissario straordinario, non ha tenuto conto che anche il dirigente generale era stato coinvolto nei fatti addebitati al G., sicchè l’unico organo di vertice per la determinazione conclusiva non poteva che essere il Commissario straordinario.
Con il quarto motivo parte ricorrente, allegando violazione della L. 300/1970, art. 18, nel testo L. 92/2012, art. 1, e del d.lgs. 165/2001, art. 51, critica la sentenza impugnata per non aver applicato la nuova disciplina della tutela reale introdotta con la citata L. 92/2012, con la conseguenza che, se correttamente applicato il nuovo regime, non poteva farsi luogo alla tutela reintegratoria ma solo a quella indennitaria trattandosi di vizi formali.
Con l’ultimo motivo si solleva questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 41 e 97 Cost., della L. 300/1970, art. 18 comma 7, nel testo introdotto dall’art. 1 l. 92/2012, ove interpretato nel senso dell’inapplicabilità al rapporto di pubblico impiego.
Il primo motivo del ricorso è fondato.
La questione che viene sottoposta all’esame di questa Corte riguarda l’interpretazione del denunciato l. 604/1966, art. 6, comma 2, nel testo modificato dalla L. 92/2012, art. 1, comma 38, ed in particolare la risposta al quesito se, ai fini della conservazione dell’efficacia dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, nelle ipotesi regolate dalla L. 300/1970, art. 18, può valere anche il ricorso art. 700 c.p.c., ovvero è necessario comunque e, nel termine ivi previsto, che sia proposto ricorso secondo il c.d. rito Fornero (L. 92/2012, art. 1, comma 38 cit.).
Dispone la richiamata l. 604/1966, art. 6, comma 2, nel testo modificato dalla L. 92/2012, art. 1, che “L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo”.
La L. 92/2012, art. 1, commi 47 e 48, rispettivamente stabiliscono:
“47. Le disposizioni dei commi da 48 a 68, si applicano alle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dalla L. 300/1970, art. 18, e successive modificazioni, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro.
48. La domanda avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento di cui al comma 47, si propone con ricorso al tribunale in funzione di giudice del lavoro. Il ricorso deve avere i requisiti di cui all’art. 125 c.p.c. Con il ricorso non possono essere proposte domande diverse da quelle di cui al comma 47, del presente articolo, salvo che siano fondate sugli identici fatti costitutivi. A seguito della presentazione del ricorso il giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti. L’udienza deve essere fissata non oltre quaranta giorni dal deposito del ricorso. Il giudice assegna un termine per la notifica del ricorso e del decreto non inferiore a venticinque giorni prima dell’udienza, nonchè un termine, non inferiore a cinque giorni prima della stessa udienza, per la costituzione del resistente. La notificazione è a cura del ricorrente, anche a mezzo di posta elettronica certificata.
Qualora dalle parti siano prodotti documenti, essi devono essere depositati presso la cancelleria in duplice copia”.
Nel caso in cui si verta come nella specie, nelle ipotesi di licenziamento che ricade nell’ambito di applicazione di cui alla L. 300/1970, art. 18, i richiamati commi (37, 47 e 48) della citata L. 92/2012, art. 1, devono essere necessariamente interpretati in maniera coordinata poichè la regola della conservazione dell’efficacia della impugnazione stragiudiziale del licenziamento stabilita dalla novellata l. 604/1966, art. 6, trova applicazione anche con riferimento alla c.d. tutela reale per la quale è sancito che l’impugnativa giudiziale deve essere proposta secondo il c.d. rito Fornero regolato, appunto, dai commi 48 e seguenti della menzionata L. 92/2012, art. 1,.
Si tratta, come sottolineato dalle Sezioni Unite (Cass. sez. un., 18-9-2014, n. 19674), di un nuovo speciale rito finalizzato all’accelerazione dei tempi del processo, che si caratterizza per l’articolazione del giudizio di primo grado in due fasi: una fase a cognizione semplificata (o sommaria) e l’altra, definita di opposizione, a cognizione piena nello stesso grado. Mentre la prima fase è caratterizzata, ancorchè il ricorso debba avere i requisiti di cui all’art. 125 c.p.c., dalla mancanza di formalità, poichè rispetto al rito ordinario delle controversie di lavoro non è previsto il rigido meccanismo delle decadenze e delle preclusioni di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c., e l’istruttoria, semplificata, è limitata agli “atti di istruzione indispensabili”, la seconda fase è invece introdotta con un atto di opposizione proposto con ricorso.
Tale opposizione, come precisato dalle Sezioni Unite nella citata pronuncia, “non è una revisio prioris istantiae, ma una prosecuzione del giudizio di primo grado, ricondotto in linea di massima al modello ordinario, con cognizione piena a mezzo di tutti gli “atti di istruzione ammissibili e rilevanti”. In sostanza “dopo una fase iniziale concentrata e deformalizzata – mirata a riconoscere, sussistendone i presupposti, al lavoratore ricorrente una tutela rapida ed immediata e ad assegnargli un vantaggio processuale (da parte ricorrente a parte eventualmente opposta), ove il fondamento della sua domanda risulti prima facie sussistere alla luce dei soli “atti di istruzione indispensabili” – il procedimento si riespande, nella fase dell’opposizione, alla dimensione ordinaria della cognizione piena con accesso per le parti a tutti gli “atti di istruzione ammissibili e rilevanti”. L’esigenza di “evitare che la durata del processo ordinario si risolva in un pregiudizio per la parte che intende far valere le proprie ragioni” (Corte cost., 28 gennaio 2010, n. 26) va coniugata sempre con l’effettività e pienezza della tutela. La diversità e peculiarità della materia giustificano – un binario accelerato nei limiti in cui come ha avvertito la Corte costituzionale con riferimento a moduli processuali speciali finalizzati ad accelerare la definizione delle controversie (Corte cost. 10 novembre 1999 n. 42) – “non sia pregiudicato lo scopo e la funzione del processo e non sia compromessa l’effettività della tutela giurisdizionale”. (…)”. Ne consegue che la prima fase del giudizio di primo grado è semplificata e sommaria e la sommarietà riguarda le caratteristiche dell’istruttoria, e non una sommarietà della cognizione del giudice, nè l’instabilità del provvedimento finale. L’idoneità al giudicato è espressamente prevista per la sentenza resa all’esito dell’opposizione ma, come rileva la Corte nella citata pronuncia, non può essere esclusa per l’ordinanza conclusiva della fase sommaria, irrevocabile fino alla conclusione di quella di opposizione (Cfr. in termini Cass. 20 novembre 2014, n. 14790).
Stante, quanto al contenuto del ricorso introduttivo della prima fase del rito in parola, il richiamo all’art. 125 c.p.c., consegue che detto atto introduttivo deve necessariamente indicare la causa petendi ed il petitum.
Tale prescrizione non è,tuttavia,prevista dall’art. 669 bis c.p.c., relativamente al ricorso con il quale si attiva la richiesta del provvedimento di urgenza art. 700 c.p.c..
Questa sostanziale diversità induce a ritenere che il legislatore del 2012, nell’ipotesi in esame, ha inteso riferirsi, ai fini della conservazione dell’efficacia dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, esclusivamente al ricorso introduttivo dello speciale rito regolato della L. 92/2012, art. 1, comma 48 e seguenti, con esclusione, quindi, del ricorso art. 700 c.p.c..
Nè può sottacersi la eloquenza della formula della l. 604/1966, art. 6, comma 2, là dove equipara – in termini di idoneità ad escludere la decadenza – al ricorso depositato presso la cancelleria del giudice del lavoro la comunicazione del tentativo di conciliazione o di arbitrato e poi, a chiusura, là dove reitera la previsione dell’atto dovuto a pena di decadenza, indicandolo nel deposito del ricorso al giudice del lavoro entro sessanta giorni dalla chiusura infruttuosa di quel tentativo, in tal modo rendendo palese che quell’atto ultimo da depositare, che non può essere che il ricorso ordinario, è quello stesso atto previsto ab initio come modalità alternativa per escludere la decadenza.
Si deve pertanto affermare il seguente principio di diritto: la l. 604/1966, art. 6, comma 2, nel testo modificato dalla L. 92/2012, art. 1, comma 38, deve essere interpretato, nel caso d’impugnativa del licenziamento nelle ipotesi regolate dalla l. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, e successive modificazioni, nel senso che, ai fini della conservazione dell’efficacia dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, è necessario che, nel termine previsto, venga proposto ricorso secondo il rito di cui alla predetta L. 92/2012, art. 1, comma 48 e ss..
Nel caso in esame la Corte del merito, nel ritenere che il deposito del ricorso art. 700 c.p.c., valeva ai fini del rispetto del termine di decadenza di cui alla l. 604/1966, art. 6, così come modificato dalla L. 92/2012, art. 1, comma 38, non si è attenuta al detto principio sicchè non è corretta in diritto.
Conseguentemente la sentenza impugnata, in accoglimento del motivo in esame, nel quale rimangono assorbiti gli altri, va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, decidendosi nel merito va dichiarata l’inefficacia delle impugnativa del licenziamento.
Le spese dell’intero processo vanno compensate in considerazione della assoluta novità della questione trattata.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito dichiara inefficace l’impugnativa del licenziamento e compensa le spese dell’intero processo.
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