CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 17156 depositata il 17 agosto 2016
FALLIMENTO – CONCORDATO PREVENTIVO – DOMANDA DI CONCORDATO PREVENTIVO PROPOSTA DOPO LA DECISIONE SULL’ISTANZA DI FALLIMENTO MA PRIMA DELLA PUBBLICAZIONE DELLA RELATIVA SENTENZA DICHIARATIVA – INAMMISSIBILITÀ – RAGIONI
FATTO E DIRITTO
E’ stata depositata la seguente relazione:
1) La corte d’appello di Catania, con sentenza del 21.5.2014, ha respinto il reclamo proposto da E. L. s.r.l. contro la sentenza del Tribunale di Siracusa che, ad istanza della creditrice L. E. s.p.a in concordato preventivo, ne aveva dichiarato il fallimento, contestualmente dichiarando (con separato decreto, emesso in pari data) l’inammissibilita’ della domanda di concordato con riserva depositata dalla debitrice il 5.12.013, nelle more fra l’udienza in cui il giudice delegato aveva riferito della causa al collegio (3.12.014) e la data di pubblicazione della sentenza (17.12.013).
La corte territoriale ha ritenuto che non sussistesse alcun obbligo per il tribunale di fissare il termine di cui alla L. Fall., art. 161, comma 6, sospendendo sino al suo esito il procedimento per la dichiarazione di fallimento, sia perche’ nell’attuale sistema normativo non v’e’ un rapporto di pregiudizialita’ necessaria fra concordato preventivo e fallimento, sia perche’ l’istruttoria prefallimentare si era protratta per quasi un anno a causa dei numerosi rinvii richiesti ed ottenuti dalla debitrice, che nel frattempo avrebbe ben potuto valutare la possibilita’ di formalizzare una domanda di concordato, sia, infine, perche’ la domanda depositata, cui non risultava allegato neppure l’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei relativi crediti, era inammissibile.
Nel merito, il giudice del reclamo ha rilevato che E. L. non aveva mai contestato l’esistenza e l’ammontare del credito di Euro 1.000.000 vantato da L. E. nei suoi confronti, che non v’era prova della sussistenza di un suo controcredito, liquido ed esigibile, da porre in compensazione con quello azionato dalla creditrice istante e che del tutto incongruo era l’assunto difensivo secondo cui l’ammissione al concordato, richiesto nelle forme della cessione dei beni ai creditori, avrebbe comportato il superamento dello stato di crisi aziendale.
2) E. L. s.r.l. ha impugnato la sentenza con ricorso per cassazione sorretto da sette motivi, cui il Fallimento della E. L. e L. E. s.p.a. in concordato preventivo hanno resistito con separati controricorsi.
2.1) La ricorrente, con il primo motivo, contesta che sia venuto meno il principio di prevalenza della procedura di concordato preventivo rispetto al procedimento volto alla dichiarazione di fallimento.
2.2.) Con il secondo ed il terzo motivo, sostiene che, una volta presentata la domanda di concordato in bianco, il giudice e’ obbligato a concedere il termine di cui alla L. Fall., art. 161, comma 6, anche in pendenza dell’istruttoria prefallimentare, che deve pertanto essere sospesa.
2.3) Con il quarto motivo denuncia vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata, per avere la corte territoriale dichiarato d’ufficio inammissibile la domanda di concordato.
2.5) Con il quinto motivo lamenta che il giudice a quo abbia definito dilatorie le richieste di rinvio da essa avanzate nel corso del procedimento L. Fall., ex art. 15, al solo scopo di giungere ad una transazione con L. E. e rileva che nessuna norma di legge pone come condizione ostativa all’avvio della procedura concordataria la pendenza di un’istruttoria pre – fallimentare protrattasi, su comune accordo delle parti, per ricercare una definizione bonaria della vertenza.
2.6) Con il sesto motivo denuncia vizio di omessa pronuncia della sentenza impugnata, che non avrebbe esaminato tutte le censure in base alle quali essa aveva dedotto di aver diritto a regolare la propria crisi d’impresa mediante accesso alla procedura minore.
2.7) Con il settimo contesta, infine, la sussistenza dello stato di insolvenza.
3) I primi sei motivi, che sono fra loro connessi e possono essere congiuntamente esaminati, appaiono manifestamente infondati, ancorche’ debba essere parzialmente corretta la motivazione in base alla quale, conformemente a diritto, la corte territoriale ha escluso che il tribunale fosse obbligato a concedere il termine ex art. 161, comma 6, ed a sospendere sino al suo esito la decisione sulla domanda di fallimento.
Appare infatti decisivo il fatto, di cui la corte del merito non ha tenuto conto, che la domanda di concordato e’ stata depositata dalla debitrice non solo dopo che il giudice designato aveva dichiarato chiusa l’istruttoria, riservandosi di riferire al collegio, ma persino dopo la data in cui il collegio medesimo ha deliberato sull’istanza di fallimento.
La domanda, la cui presentazione doveva ritenersi preclusa gia’ dopo l’udienza di chiusura dell’istruttoria (che, ai sensi dell’art. 189 c.p.c., segna il limite temporale oltre il quale le parti non possono piu’ effettuare nuove domande od allegazioni), non poteva, a maggior ragione, essere tenuta in considerazione dopo l’assunzione della decisione, sicche’ il tribunale avrebbe dovuto rilevarne l’inammissibilita’ sotto tale, dirimente, profilo.
Va aggiunto, in ogni caso, che la motivazione che sorregge l’accertamento della corte del merito in ordine alla natura meramente dilatoria della domanda non risulta scalfita dalle generiche censure illustrate dalla ricorrente nel quinto motivo e che tanto basterebbe a fondare la declaratoria di rigetto del ricorso (cfr. Cass. S.U. n. 9935/015, laddove precisa che e’ inammissibile una domanda di concordato preventivo presentata dal debitore non per regolare la crisi dell’impresa, ma per procrastinare la dichiarazione di fallimento).
3.1) Appare inammissibile anche l’ultimo motivo del ricorso, volto ad ottenere una diversa valutazione, nel merito, delle circostanze istruttorie sulle quali si fonda l’accertamento dello stato di insolvenza. Si propone, pertanto, di dichiarare inammissibile il ricorso con decisione da assumere in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c..
La ricorrente ha depositato memoria.
Il collegio ha esaminato gli atti, ha letto la relazione e ne ha condiviso le conclusioni, non utilmente contrastate dalla ricorrente nella memoria depositata.
Risulta infatti privo di concludenza l’argomento secondo cui la domanda di concordato sarebbe stata depositata indipendentemente dal procedimento prefallimentare, con autonomo ricorso che avrebbe dato luogo ad un autonomo e distinto procedimento da riunire a quello gia’ pendente, atteso che, in realta’, E. L. ha richiesto l’ammissione alla procedura minore non solo dopo che l’istruttoria prefallimentare era stata dichiarata chiusa, ma persino dopo che il collegio aveva gia’ deciso sull’istanza di fallimento, e dunque allorche’ non v’era alcun altro procedimento pendente.
E’ poi del tutto irrilevante che la sentenza dichiarativa, gia’ deliberata, sia stata pubblicata in data successiva al deposito della domanda di concordato: e’ vero, infatti, che gli effetti della sentenza decorrono dal momento della sua pubblicazione, ma cio’ non toglie che il momento della pronuncia vada identificato con quello della deliberazione della decisione, mentre le successive fasi dell'”iter” formativo dell’atto, e cioe’ la stesura della motivazione, la sua sottoscrizione e la conseguente pubblicazione, non incidono sulla sostanza della pronuncia (Cass. nn. 23191/06, 16165/07): non puo’ quindi ritenersi sussistente alcun obbligo di riesame della decisione, una volta che la deliberazione sia intervenuta; ne’, tantomeno, il debitore fallendo puo’ pretendere che la decisione gia’ assunta sia revocata, e che il processo retroceda alla fase dell’istruttoria, a seguito della tardiva presentazione di una domanda di concordato sulla quale il collegio non e’ piu’ tenuto a pronunciare.
Non v’e’ dubbio, infine, che la corte del merito abbia accertato la natura meramente dilatoria della domanda di concordato e che la ricorrente abbia censurato detto accertamento in via del tutto generica, senza chiarire quale sia il fatto decisivo, ignorato dal giudice a quo, che, ove esaminato, avrebbe condotto ad un diversa statuizione.
Il ricorso deve pertanto essere respinto.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 5.600, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso forfetario e accessori di legge, in favore di ciascuna delle due parti controricorrenti.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
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