CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 2932 del 16 febbraio 2016

LAVORO – LAVORO SUBORDINATO – INQUADRAMENTO PROFESSIONALE DELL’IMPRESA – CRITERI – NATURA INDUSTRIALE DI UN’IMPRESA

La creazione di un risultato economico nuovo, che caratterizza la natura industriale di un’impresa, può riscontrarsi anche nell’ipotesi di semplice trattamento della materia prima, operato nell’esercizio di un’attività economica organizzata, senza che sia necessario che la materia prima stessa subisca modificazioni nelle sue proprietà intrinseche, quando risulti prevalente sotto il duplice profilo economico e funzionale il momento della trasformazione della materia prima e della produzione di servizi, preordinati alla commercializzazione di un bene direttamente utilizzabile per il consumo con caratteristiche diverse da quelle del bene originario.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 

Con sentenza dell’8/4 – 22/4/2009 la Corte d’appello di Caltanisetta ha respinto l’impugnazione proposta da R.A. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale della stessa sede che le aveva rigettato l’opposizione alla cartella esattoriale con la quale l’Inps le aveva intimato in data 29.3.2007 il pagamento di € 5937,70 per l’omesso versamento di contributi lavorativi di dipendenti in relazione al periodo agosto 2004 – dicembre 2005.

Ha spiegato la Corte territoriale che ai fini contributivi l’Inps aveva correttamente inquadrato l’attività di macellazione e lavorazione delle carni svolta dall’opponente nel settore dell’industria e che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la quale pretendeva il diverso inquadramento nel settore del terziario, la classificazione operata dall’istituto previdenziale corrispondeva ai criteri di legge.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso R.A. con un solo motivo.

Resiste con controricorso l’Inps.

MOTIVI DELLA DECISIONE 

Con un solo motivo di censura la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 49 della legge n. 88/1989 e dell’art. 2195 n. 1 cod. civ. facendo rilevare che per effetto dell’art. 2, comma 215, della legge n. 662/1996 a decorrere dal 1° gennaio 1997 la classificazione dei datori di lavoro ai fini previdenziali deve essere effettuata solo in base ai criteri dell’art. 49 della citata legge n. 88/89 che prevede specifici settori di inquadramento, per cui, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non trovano più applicazione i criteri di cui alla predetta norma del codice civile. Aggiunge la ricorrente che una particolare innovazione riguarda il settore dei servizi che, se non svolti da imprenditori artigiani, non trovano più collocazione, per effetto dell’art. 49 della legge n. 88/89, nel settore dell’industria e, pertanto, vengono inseriti nel settore del terziario. In tale settore confluiscono, secondo la difesa della ricorrente, oltre alle tradizionali attività del commercio, del turismo, dei pubblici esercizi, dei professionisti e degli artisti, tutte le attività di produzione e prestazione di servizi alle imprese e di intermediazione nella produzione e prestazione dei servizi stessi, anche di tipo finanziario. Quindi, il concetto di nuova utilità economica posto nell’impugnata sentenza a fondamento della ritenuta natura industriale dell’attività oggetto di causa non sarebbe applicabile al caso di specie, posto che l’attività in esame era solo quella di macellazione nelle sue varie fasi che non comportava di per sé una nuova utilità economica.

A conclusione del motivo la ricorrente chiede che questa Corte voglia statuire se all’attività di macellazione di animali in oggetto debba essere applicata la disciplina di cui all’art. 49 lett. D della legge 88/89 e correttamente inquadrarsi l’attività esercitata nel settore terziario.

Il ricorso è infondato.

Anzitutto, il quesito di diritto è volto solo alla richiesta di accoglimento del motivo e consiste nell’interpello di questa Corte in ordine alla fondatezza della tesi difensiva sull’applicazione al caso in esame della disciplina di cui all’art. 49 della citata legge n. 88/89, senza che venga peraltro chiarita la discrasia tra “ratio decidendi” e norma di diritto invocata.

Infatti, la Corte d’appello, dopo aver dato atto della modifica dei criteri indicati dall’art. 2195 cod. civ. ad opera della legge n. 88/89, ha rilevato che correttamente il primo giudice aveva richiamato un costante orientamento giurisprudenziale per il quale è industriale ogni attività che consista nella produzione di un servizio avente ad oggetto un’utilità economica.

In ogni caso, pur prescindendo dalla inammissibilità del quesito, il ricorso è anche infondato, in quanto correttamente la Corte territoriale ha considerato ai fini qualificatori dell’attività svolta dall’impresa individuale di R.A., in aderenza ai parametri e criteri generali di classificazione, che si era in presenza di un trattamento di macellazione che comportava la creazione di un prodotto diverso da quello consegnato alla ditta appaltante e che era espressamente preordinato alla commercializzazione ed alla creazione di una nuova utilità economica, a nulla rilevando il dato di fatto che l’attività in questione fosse svolta in appalto per conto terzi e nemmeno la circostanza che la stessa fosse eseguita all’interno dei locali della medesima Cooperativa L.V.M., dovendo farsi, invece, riferimento al contenuto concreto dell’attività.

In modo condivisibile è stato considerato quale elemento qualificante, ai fini dell’accertamento del carattere industriale dell’impresa, la creazione di un risultato economico nuovo, che può riscontrarsi anche nell’ipotesi di semplice trattamento della materia prima, operato nell’esercizio di un’attività economica organizzata, senza che sia necessario che la materia prima stessa subisca modificazioni nelle sue proprietà intrinseche, quando risulti prevalente sotto il duplice profilo economico e funzionale il momento della trasformazione della materia prima e della produzione di servizi, preordinati alla commercializzazione di un bene direttamente utilizzabile per il consumo con caratteristiche diverse da quelle del bene originario (cfr. Cass. 21.3.2011 n. 6383 e Cass. sez. lav. n. 13121/2014).

La valutazione di merito compiuta nei sensi indicati non risulta scalfita dalle argomentazioni prospettate in ricorso, che mirano ad una rivisitazione del merito, dovendo osservarsi che, in tema di qualificazione dell’attività imprenditoriale, in sede di riscontro della preponderanza della fase lavorativa rispetto a quella della commercializzazione, la valutazione dei presupposti fattuali ai fini del relativo accertamento da luogo ad un giudizio di fatto riservato al giudice di merito ed è, perciò, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione. La sindacabilità è, dunque, preclusa, se non sotto il profilo della congruità della motivazione e del relativo apprezzamento, che, nel caso esaminato, appaiono sicuramente lineari e privi di salti logici.

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M. 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di € 3000,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.