CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 6045 depositata il 29 marzo 2016
FALLIMENTO – EFFETTI SUGLI ATTI PREGIUDIZIEVOLI AI CREDITORI – AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE – FALLIMENTO DICHIARATO NEL VIGORE DELL’ART. 67 L.FALL., COME MODIFICATO DAL D.L. N. 35 DEL 2005, IN CONSECUZIONE AD UN CONCORDATO PREVENTIVO ANTERIORE ALLA NOVELLA – AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE – DISCIPLINA APPLICABILE – ENTITÀ DEL PERIODO SOSPETTO – DETERMINAZIONE – FONDAMENTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 19-4-2010 il tribunale di Teramo rigettava l’opposizione di Intesa Sanpaolo s.p.a. avverso lo stato passivo del fallimento ICS di S.Q., dichiarato il 25-3-2008 in consecuzione di un concordato preventivo.
Per quanto in effetti ancora rileva, il tribunale confermava l’esclusione del rango ipotecario vantato dall’istante, reputando non consolidata, e revocabile ex art. 67 L. Fall., l’ipoteca dedotta.
Riteneva che, in caso di consecuzione di procedure, il termine a ritroso per l’esercizio della revocatoria dovesse decorrere dalla prima, non essendo le procedure distinguibili in ragione dello stato di insolvenza quanto piuttosto in relazione al giudizio di reversibilita’ o meno della crisi dell’impresa. Sicche’ anche l’entita’ di quel termine, tenuto conto del medesimo principio, doveva esser riferita alla norma vigente alla data di ammissione al concordato – 10-10-1996 – rispetto alla quale le ipoteche, iscritte il 27-11-1995, non si erano consolidate.
La banca ha proposto ricorso per cassazione deducendo tre motivi. La curatela del fallimento ha replicato con controricorso e memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Col primo mezzo la ricorrente denunzia la nullita’ della decisione per violazione degli artt. 99 e 242 della L. Fall., per avere il tribunale deciso l’opposizione al passivo con sentenza, anziche’ con decreto.
Il motivo e’ infondato, non essendo la violazione formale determinativa della nullita’ del provvedimento.
2. – Col secondo mezzo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 35 del 2005, art. 2, comma 2, (come convertito) e la conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 67, comma 1, n. 4, della L. Fall. nel testo sostituito dal medesimo art. 2, sottolineando che alla fase di concordato aveva fatto seguito il fallimento dopo l’entrata in vigore della novella citata.
Censura quindi la sentenza per non aver considerato che l’applicabilita’ della riduzione, da un anno a sei mesi, del periodo sospetto – riferita alle azioni revocatorie proposte nell’ambito di procedure iniziate dopo la data di entrata in vigore del D.L. n. 35 del 2005 – andava parametrata all’inizio della procedura fallimentare, questa – e non il concordato – essendo condicio iuris dell’azione revocatoria.
In sostanza, pur senza mettere in discussione l’operare del principio di consecuzione, la banca sostiene che, una volta dichiarato il fallimento in vigenza del novellato art. 67, il periodo sospetto rilevante in relazione agli atti compiuti antea rispetto al concordato preventivo dovevasi considerare quello di sei mesi; sicche’ l’ipoteca, iscritta il 27-11-1995, avrebbe dovuto ritenersi consolidata a ogni effetto, e il relativo credito ammesso col grado ipotecario.
3. – Il motivo e’ infondato.
Il D.L. n. 35 del 2005, art. 2, comma 1, lett. a), conv. in L. n. 80 del 2005, allineandosi alla evoluzione della disciplina concorsuale dei principali paesi Europei, ha dimezzato il periodo sospetto per l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare fissandolo in un anno o sei mesi a seconda del tipo di atto interessato. Quanto alle ipoteche giudiziali o volontarie, il periodo di riferimento e’ stato fissato in sei mesi.
L’art. 2, comma 2, del D.L. cit. ha previsto che le nuove disposizioni si applichino alle azioni revocatorie “proposte nell’ambito di procedure iniziate dopo la data di entrata in vigore” del medesimo d.l..
Il tribunale di Teramo, traendo argomento dal principio di consecuzione, ha interpretato la norma come riferibile, laddove il fallimento consegua al concordato preventivo, alla data di apertura del concordato. Per cui in tal caso il periodo sospetto, decorrendo a ritroso dalla prima procedura, andrebbe poi individuato in base alla norma in vigore al tempo di essa.
La conclusione assunta dal tribunale e’ condivisibile in ragione del valore sistematico del principio di consecuzione, che intercetta l’interesse del ceto creditorio alla neutralita’ del previo ricorso del debitore a procedure concordatarie, con l’obiettivo di congelare il valore del patrimonio presente al momento anteriore onde poterlo assoggettare, poi, eventualmente, alla liquidazione concorsuale.
4. – La consecuzione fra le procedure concorsuali – sul cui concreto operare nella specie nessuna questione e’ posta dall’attuale ricorrente – implica che le procedure siano originate da un medesimo unico presupposto, costituito dallo stato d’insolvenza (v. in tema Sez. 1^ n. 5527-06, n. 21326-05, n. 17844-02; orientamento costante fin dalla remota Sez. 1^ n. 3981-56).
E puo’ osservarsi che la consecuzione addirittura si sostanzia – essa in quanto tale – nella considerazione unitaria della procedura di concordato preventivo cui e’ succeduta quella di fallimento, essendo a questa considerazione legata, concettualmente, con riguardo alla revocatoria fallimentare, la retrodatazione del termine iniziale del periodo sospetto al momento dell’ammissione del debitore alla prima di esse. Tanto che cio’ che rileva non e’ la legittimita’ di tale ammissione, ma il fatto stesso che un’ammissione vi sia stata e una procedura di concordato sia iniziata, perche’ cio’ impone di considerare la successiva dichiarazione del fallimento come conseguenza del medesimo stato d’insolvenza, gia’ a fondamento dell’ammissione al concordato preventivo (v. Sez. 1^ n. 8439-12, n. 18437-10).
Cio’ era pacifico nel vigore del vecchio testo della legge fallimentare, in cui identico era il presupposto del concordato preventivo e del fallimento sul piano normativo, e in cui piu’ propriamente potevasi parlare di vera e propria conversione di procedure.
Nel sistema anteriore alla riforma, postulandosi sempre un’identita’ di presupposto oggettivo (l’insolvenza) in entrambe le procedure, e una comunanza anche di tipo funzionale identificabile nell’essere entrambe volte al soddisfacimento delle ragioni dei creditori, da piu’ parti veniva affermato che la dichiarazione di fallimento poteva venire in rilievo quale mero accertamento di un dissesto suscettibile di saldarsi alla eguale situazione gia’ presupposta nella procedura anteriore, cosi’ da legittimare la decorrenza del periodo sospetto a ritroso dalla data di ammissione al concordato.
Ma la sostanza del discorso non cambia in maniera significativa nel regime attuale. Per lo meno non cambia ai limitati fini.
Il D.L. n. 275 del 2005, art. 36, conv. in L. n. 51 del 2006, ha fornito l’interpretazione autentica del novellato art. 160 L. Fall. prevedendo che “per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza”. E il D.L. n. 83 del 2012, art. 33, comma 1, lett. a-bis, n. 2), conv. in L. n. 134 del 2012, aggiungendo il comma 2 dell’art. 69-bis della L. Fall., per il caso che alla domanda di concordato segua il fallimento, ha precisato che i termini per le revocatorie “decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese”.
La portata innovativa di tale norma si riflette soltanto sulla precisazione dianzi detta, tesa a stabilire che, per i procedimenti introdotti dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione (v. art. 33, comma 3, del medesimo D.L.), lo specifico referente temporale della disciplina delle revocatorie non e’ (tanto) l’ammissione al concordato, quanto piuttosto (addirittura) la data di pubblicazione della domanda. In tal guisa la conclusione della comunanza di presupposto oggettivo non viene quindi affatto incrinata, in caso di consecuzione, neppure nel passaggio alle nuove norme, giacche’ anche in queste l’accesso al concordato non esclude l’insolvenza.
Ove il dissesto sia accertato con la successiva dichiarazione di fallimento, resta intatta la logica unitaria, per quanto il procedimento resti articolato in diversi momenti; il che consente infine di rapportare quel medesimo dissesto alla data della prima procedura.
In altre parole, codesta unitarieta’ non recede ove sussista uno iato temporale nella successione dei procedimenti, essendo infine manifestazione di un’unica crisi d’impresa.
Se quindi e’ innegabile che il concordato preventivo possa (oggi) esser proposto anche dall’imprenditore in stato di crisi – nozione, come si e’ visto, comprensiva dello stato d’insolvenza – lo stesso dato normativo rende altresi’ (oggi) parimenti indiscutibile che, ove al concordato segua il fallimento, la sequenza dia luogo in ogni caso a una procedura unitaria che ha inizio con la prima; sicche’ quella, e non la declaratoria di fallimento, viene assunta come base cronologica di riferimento per individuare la disciplina in se’ delle azioni revocatorie secondo il D.L. n. 30 del 2005, art. 2, comma 2.
5. – Non senza significato, d’altronde, questa corte proprio con la sentenza richiamata dalla difesa della ricorrente – ha escluso l’irrazionalita’ della nuova disciplina delle revocatorie fallimentari.
Il dubbio di costituzionalita’ conseguente al D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 2, laddove, prevedendo che le disposizioni del comma 1, lett. a) e b), si applicano soltanto alle azioni proposte nell’ambito di procedure iniziate dopo l’entrata in vigore del decreto stesso, cioe’ aperte dopo il 17 marzo 2005, avrebbe introdotto una disciplina diversa per situazioni identiche, si e’ detto infondato perche’ tale identita’ va invero considerata non solo in relazione alla contemporaneita’ degli atti revocandi ma anche in relazione alle rispettive procedure di insolvenza, che si aprono in base a regole diverse vigenti all’atto di ciascuna dichiarazione, cio’ giustificando la disciplina della procedura concorsuale successiva sulla base di una normativa mutata, in coerenza con la successione delle leggi e la conseguente irretroattivita’ della nuova norma (Sez. 1^ n. 5962-08).
La considerazione, dal collegio condivisa, va posta a base pure del profilo che in questa sede rileva, anch’esso altrimenti potenzialmente declinabile alla stregua di disparita’ di trattamento tra creditori di un soggetto il cui fallimento sia stato dichiarato dopo l’entrata in vigore della riforma essendo stato ammesso in precedenza a una procedura minore.
La disparita’ di trattamento sarebbe evidentemente legata alla ricostruzione dell’attivo, condizionata dalla ben diversa (depotenziata) disciplina delle revocatorie.
Viceversa l’unitarieta’ giuridica della procedura, per quanto articolata in diverse fasi, consente di superare ogni ipotetico dubbio, rimanendo determinante in entrambe le ipotesi il momento in cui si determina l’insolvenza. Il quale momento associa all’inizio effettivo della disciplina che rileva le legittime aspettative dei creditori in ordine alle prospettive di ricostruzione dell’attivo mediante l’esercizio delle azioni; di quei creditori che, all’atto del voto nel concordato, hanno fatto affidamento anche sul regime delle revocatorie in quel momento applicabile.
6. – Per tale specifica ragione non puo’ esser condivisa l’opinione dottrinale ben vero articolatamente avversata – cui la ricorrente ha fatto riferimento.
Secondo tale opinione andrebbe distinto il problema procedimentale, relativo alla individuazione della disciplina applicabile, dal problema sostanziale attinente alla individuazione del decorso del periodo sospetto, onde sostenersi che la data rilevante per l’applicazione del regime novellato delle revocatorie sarebbe in ogni caso quella della dichiarazione di fallimento, mentre il computo del periodo sospetto andrebbe retrodatato a partire dalla disciplina minore.
Puo’ osservarsi che una simile conclusione contraddice il fondamento stesso della consecuzione che e’ alla base della retrodatazione del periodo sospetto; fondamento – ripetesi – costituito dall’unitarieta’ della procedura.
E soprattutto che la disposizione transitoria piu’ volte citata (il D.L. n. 35 del 2005, art. 2, comma 2, come convertito) non menziona affatto il fallimento, ma piu’ genericamente si riferisce alla “procedura” (ogni procedura) nell’ambito della quale l’azione revocatoria puo’ essere esercitata.
Il secondo motivo di ricorso va quindi disatteso.
7. – Col terzo mezzo la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 69-bis della L. Fall., non potendo l’azione revocatoria essere comunque esperita decorsi cinque anni dal compimento dell’atto revocabile. Trattandosi di termine di decadenza, e non di prescrizione, non condizionato all’eccezione di parte, il tribunale avrebbe dovuto, secondo la ricorrente, applicare d’ufficio la norma al caso di specie.
Il terzo motivo e’ manifestamente infondato.
Per quanto sia vero che il termine eccepito e’ termine di decadenza, come reso palese sia dalla rubrica dell’art. 69-bis, sia dalla formulazione della norma, non e’ meno vero che tale circostanza incide solo sul profilo afferente l’inapplicabilita’ dei termini di sospensione e di interruzione – notoriamente inesistensibili alla decadenza. Non ha invece alcuna influenza sul regime della rilevabilita’, che postula l’eccezione di parte secondo il principio generale di cui all’art. 2969 cod. civ. Eccezione non proposta nel giudizio di merito.
8. – La difficolta’ della questione agitata col secondo motivo di ricorso, sulla quale non si registrano precedenti della corte e sulla quale la stessa dottrina non ha manifestato identita’ di vedute, giustifica la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.
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