CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 20889 depositata il 18 luglio 2023
Lavoro – Decreto di esecutività di stato passivo – Esclusione dallo stato passivo – Credito per contributi omessi e sanzioni civili – Istanza di insinuazione – Termine di cui all’art. 101, L.Fall. – Omessa comunicazione ex art. 97 L.Fall. – Proposizione di domande tardive e ultratardive – Rigetto
Fatti di causa
Con decreto depositato l’11.2.2019, il Tribunale di Latina, decidendo in sede di opposizione al decreto di esecutività dello stato passivo di F.N.E.O. s.r.l., ha rigettato l’opposizione con cui l’INPGI aveva contestato l’esclusione dallo stato passivo di un credito per contributi omessi e sanzioni civili per il quale aveva formulato apposita istanza di insinuazione.
Il Tribunale, in particolare, ha ritenuto corretta l’esclusione decretata dal giudice delegato ai sensi dell’art. 101, l. fall., sul rilievo che l’istanza di ammissione era stata presentata tre anni dopo dalla dichiarazione di esecutività dello stato passivo e che l’Istituto non aveva dimostrato le ragioni del ritardo, la cui prova avrebbe dovuto essere tanto più rigorosa considerando che il medesimo Istituto era stato ammesso al medesimo stato passivo a seguito di precedente istanza, ancorché concernente altro credito.
Avverso tale pronuncia l’INPGI ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura, successivamente illustrato con memoria. Il F.N.E.O. s.r.l. è rimasto intimato.
Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di censura, l’Istituto ricorrente denuncia violazione degli artt. 97, 98, 99 e 101, l. fall., nonché degli artt. 24 e 111 Cost., per avere il Tribunale dichiarato l’inammissibilità della domanda di insinuazione tardiva nonostante che non vi fosse prova che gli fosse stato comunicato il decreto con cui lo stato passivo era stato reso esecutivo.
Il motivo è infondato.
Giova premettere che, come dianzi accennato, il decreto impugnato ha rigettato l’opposizione proposta dall’INPGI avverso il rifiuto di essere ammesso al passivo del fallimento intimato per un credito ulteriore rispetto a quello per il quale era stato già ammesso e ha motivato il rigetto sul rilievo che la nuova istanza era stata proposta oltre il termine di cui all’art. 101, l. fall., e senza che si fossero offerte prove circa la non imputabilità del ritardo.
Ad avviso dell’Istituto ricorrente, tale decisione sarebbe erronea, dal momento che la previsione dell’art. 97, l. fall., secondo cui il curatore deve dare comunicazione della dichiarazione di esecutività dello stato passivo, rileverebbe in via analogica anche nell’ipotesi qui in esame, in cui esso si trovava ad essersi insinuato sia tempestivamente che tardivamente, di talché, in mancanza di comunicazione del decreto di esecutività dello stato passivo, la sua ulteriore domanda di ammissione avrebbe dovuto essere considerata tardiva e non invece ultra-tardiva, come erroneamente ritenuto dal Tribunale, non potendogli essere imputato il ritardo con cui essa era stata presentata.
Si tratta, tuttavia, di una argomentazione non condivisibile, dal momento che pretende di estendere una guarentigia prevista per le opposizioni allo stato passivo al caso, che qui invece è in esame, di una domanda di insinuazione ultra-tardiva, siccome presentata oltre un anno dopo la dichiarazione di esecutività dello stato passivo.
È infatti senz’altro vero che, a seguito dei noti interventi della Corte costituzionale di cui alle sentenze nn. 102 e 120 del 1986, la disciplina delle opposizioni allo stato passivo è stata sostanzialmente riscritta, prevedendosi che il termine per la proposizione delle opposizioni debba decorrere per ciascun creditore non già dal deposito dello stato passivo in cancelleria, ma dalla comunicazione che egli abbia ricevuto della dichiarazione di esecutività dello stato passivo. Ma – come a suo tempo rimarcato dalle Sezioni Unite di questa Corte – la ratio degli interventi correttivi della Corte costituzionale risiedeva nella considerazione secondo cui “l’aspirazione all’economia, speditezza e coerenza di giudizio”, soddisfatta mediante l’unitarietà del processo, doveva pur sempre restare subordinata “alla necessità di assicurare una più puntuale ed adeguata tutela ai diritti dei creditori del fallito”, il cui diritto di difesa non poteva prescindere “dall’effettiva conoscenza da parte di ciascuno di essi dei provvedimenti resi nell’ambito del procedimento concorsuale” (così Cass. S.U. n. 25494 del 2009, in motivazione). Prova ne sia che, con specifico riguardo alla questione della tempestività o meno dell’opposizione ex art. 98, l. fall., questa Corte ha avuto modo di chiarire, con giurisprudenza ormai consolidata, che la violazione dell’obbligo di comunicazione del provvedimento non modifica in alcun modo la rigorosa disciplina dei termini processuali, potendo trovare rimedio solo mercé l’istituto dell’errore scusabile dell’opponente e nei limiti della sua concreta applicabilità ai singoli casi di specie (così Cass. nn. 33622 del 2021 e 35248 del 2022).
Così ricostruita la logica del tessuto normativo che presiede alla necessità che il creditore che abbia proposto domanda abbia notizia del decreto di esecutività dello stato passivo, risulta evidente che essa non può essere piegata al diverso scopo di consentire al creditore già insinuato al passivo per uno o più crediti di proporre ulteriori istanze relative ad ulteriori crediti non ancora insinuati in spregio alla previsione di cui all’art. 101, comma 4°, l. fall., che circoscrive l’ammissibilità delle domande presentate oltre i dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo all’ipotesi che l’istante dia prova “che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile”: rispetto ai crediti non insinuati, infatti, il creditore che si sia già altrimenti insinuato al passivo si trova nella medesima situazione di altri possibili creditori del fallito che potrebbero non aver avuto notizia alcuna della pendenza della procedura concorsuale, i quali ovviamente non possono essere destinatari di alcuna comunicazione, e deve dunque sottostare a quanto la legge prevede per costoro.
Per contro, una soluzione come quella perorata da parte ricorrente, che cioè consentisse al creditore già insinuato e al quale non sia stata comunicata la dichiarazione di esecutività dello stato passivo di proporre ulteriori istanze di ammissione oltre il termine e senza l’osservanza dei presupposti di cui all’art. 101, comma 4°, l. fall., introdurrebbe all’evidenza una palese disparità di trattamento tra creditori non ancora insinuati e creditori già insinuati, riservando per di più a questi ultimi un ingiustificato miglior trattamento, laddove la logica del sistema, come correttamente rilevato dal Tribunale, induce piuttosto a ritenere che ben più rigorosa debba essere la prova richiesta a costoro circa la natura incolpevole del ritardo.
Dovendo pertanto ritenersi che la violazione dell’obbligo di cui all’art. 97, l. fall., non modifica in alcun modo la rigorosa disciplina dei termini processuali quanto alla proposizione delle domande c.d. tardive ex art. 101, comma 1°, l. fall., né di quelle c.d. ultratardive, ove rispettose dei limiti temporali fissati dall’ultimo comma della medesima disposizione, deve concludersi che l’eventuale omessa comunicazione ex art. 97 l. fall., lungi dall’impedire comunque il decorso del termine di cui all’art. 101, comma 1°, l. fall., consente solo di riconoscere al creditore, che non lo abbia rispettato per causa a lui non imputabile, la facoltà di essere rimesso in termini per la proposizione della domanda ivi disciplinata o magari di formulare quella cd. ultratardiva, s’intende nei limiti temporali fissati dall’ultimo comma della medesima disposizione (così, in fattispecie analoga, Cass. n. 35248 del 2022, cit.). E dal momento che la ricorrenza delle condizioni di non imputabilità è stata, come detto, esclusa dal Tribunale, il ricorso va conclusivamente rigettato, nulla dovendo pronunciarsi sulle spese del giudizio di legittimità per non avere la parte intimata svolto alcuna attività difensiva.
Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.