CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 9054 del 5 maggio 2016
REVERSIBILITA’ – CONIUGE DIVORZIATO – TITOLARE DI UN ASSEGNO DI UNICA FONTE NEGOZIALE – NON SUSSISTE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d’appello di Genova, con sentenza depositata il 7 maggio 2010, ha rigettato l’appello proposto dall’INPS contro la sentenza resa dal Tribunale della stessa sede che, in accoglimento della domanda proposta da C.F., aveva condannato l’Istituto previdenziale al pagamento in favore della stessa della pensione di reversibilita’ sulla pensione gia’ in godimento all’ex marito, R.M., dal quale era divorziata.
2. La Corte ha ritenuto che la costituzione in sede di scioglimento del matrimonio, in favore del coniuge, di un diritto di abitazione sull’appartamento di proprieta’ del de tatua e di comodato sui mobili esistenti, contestualmente alla rinunzia all’assegno di mantenimento gia’ previsto in sede di separazione, aveva funzione alternativa all’assegno di divorzile e, pertanto, sussisteva il presupposto previsto dalla L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 2, come modificato dalla L. n. 74 del 1987, art. 13, per il riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilita’.
3. Contro questa sentenza l’INPS propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, cui resiste con controricorso la C., che deposita memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con l’unico motivo l’INPS censura la sentenza per violazione della L. n. 898 del 1970, art. 9, come modificato dalla L. n. 74 del 1987, art. 13, della L. n. 898 del 1970, art. 5, e della L. 23 dicembre 2005, n. 263, art. 5. Lamenta l’erroneita’ della decisione della Corte territoriale nella parte in cui ha affermato che il diritto di abitazione della casa coniugale e di comodato dei beni mobili ivi esistenti riconosciuto alla C. in sede di divorzio costituiva un assegno divorzile ed ha ritenuto che la rinuncia fatta in sede di divorzio all’assegno di mantenimento gia’ stabilito in favore della C. con il provvedimento di separazione personale riguardava la sola componente pecuniaria dell’assegno, che per il resto rimaneva integrato dal diritto di abitazione e dal comodato.
2. Tale tesi, secondo l’Istituto ricorrente, non e’ sorretta da una corretta interpretazione delle norme di cui alla L. n. 898 del 1970, artt. 9 e 5, nonche’ L. 23 dicembre 2005, n. 263, art. 5, la cui ratio e’ quella di assicurare al coniuge superstite un assegno periodico in continuita’ con l’assegno divorzile, laddove la costituzione di un diritto di abitazione ovvero l’erogazione di una somma una tantum, proprio perche’ non hanno i caratteri della periodicita’, non possono essere ritenuti equivalenti all’assegno di divorzio, in mancanza del quale non puo’ sorgere il diritto alla pensione di reversibilita’. Invoca a sostegno del motivo precedenti di questa Corte (Cass., 18 luglio 2002, n. 10458 e Cass. 14 giugno 2000, n. 8113).
3. – Il motivo e’ fondato.
3.1. La L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9, comma 2, nel testo modificato dalla L. n. 74 del 1987, art. 13, prevede quanto segue: “In caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilita’, il coniuge rispetto al quale e’ stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno a sensi dell’art. 5, alla pensione di reversibilita’, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza”.
3.2. – La norma subordina a due fondamentali condizioni il sorgere del diritto dell’ex coniuge alla pensione di reversibilita’: il mancato passaggio a nuove nozze e la titolarita’ dell’assegno di divorzio. Ulteriore condizione e’ che il rapporto (contributivo o di impiego) da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza di divorzio.
3.3.- Sul presupposto costituito dall’assegno di divorzio, in passato si sono registrati due diversi orientamenti anche di questa Corte: secondo il primo, l’espressione “sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5”, era da interpretarsi come riferita alla titolarita’ “in astratto” – cioe’ ad una situazione di diritto da accertare giudizialmente – e non necessariamente al concreto godimento dell’assegno medesimo sulla base dl uno specifico provvedimento giudiziale (Cass., 17 gennaio 2000, n. 457). Si riteneva, in sostanza, che quand’anche l’assegno divorzile non fosse stato riconosciuto prima della morte del coniuge divorziato, era sempre possibile attraverso un giudizio ex post, sia in via principale in un autonomo giudizio sia in via incidentale nel giudizio volto ad ottenere la pensione di reversibilita’, valutare la sussistenza dei presupposti per il suo riconoscimento (v. pure Cass. 25 marzo 2005, n. 6429).
3.3. – Secondo l’altro orientamento, decisamente prevalente, era invece necessario un provvedimento formale di riconoscimento dell’assegno di divorzio, eventualmente adottato anche in sede di modifica delle condizioni di divorzio (Cass., sez. un., 25 maggio 1991, n. 5939; Cass., 5 agosto 2005, n. 16560).
3.4. – Il contrasto e’ stato risolto dal legislatore con la L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 5, la quale prevede quanto segue; “Le disposizioni di cui al presente comma (L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 2: n.d.e.) si interpretano nel senso che per la titolarita’ dell’assegno ai sensi dell’art. 5, deve intendersi l’avvenuto riconoscimento dell’assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi del predetto art. 5”.
3.5. – La giurisprudenza di questa Corte, successiva alla norma di interpretazione autentica, ha cosi’ definitivamente sancito che il diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilita’, o ad una quota di essa in caso di concorso con altro coniuge superstite, presuppone (anche ai sensi della L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 5, norma interpretativa, quindi retroattiva ed applicabile anche ai giudizi in corso) che il richiedente al momento della morte dell’ex coniuge sia titolare di assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto ai sensi dell’art. 5 della legge predetta, non essendo sufficiente che egli versi nelle condizioni per ottenerlo e neppure che in via di fatto o anche per effetto di private convenzioni intercorse tra le parti abbia ricevuto regolari erogazioni economiche dal “de cuius” quando questi era in vita (Cass., 18 novembre 2010, n. 23300; Cass., 29 settembre 2006, n. 21129; Cass., 13 marzo 2006, n. 5422).
3.6. – In particolare Cass. n. 21129/2006, cit., nel respingere i dubbi di legittimita’ costituzionale dell’art. 9 L. cit., nel testo interpretato, ha richiamato la sentenza della Corte Costituzionale n.777/1988 che ha rimarcato il carattere essenziale del trattamento di reversibilita’, quale garanzia di continuita’ del sostentamento del superstite, sicche’ non puo’ dubitarsi del fondamento razionale dell’esclusione del diritto alla pensione quando l’ex coniuge non sia titolare di assegno ai sensi della L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 5. La stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 87/1995 (e quindi con la sentenza n. 419/1999), ha ricordato nuovamente la funzione della pensione di reversibilita’, che e’ quella di assicurare la prosecuzione del sostentamento assicurato dall’assegno divorzile e ha ritenuto che e’ giustificata la scelta normativa di dare rilievo, ai fini dei successivi rapporti con l’ente pensionistico, solo alla regolazione dei rapporti economici tra gli ex coniugi effettuata giudizialmente.
3.6. – Infine, deve darsi atto di Cass., sez. Un., 12 gennaio 1998, n. 159, secondo cui il diritto al trattamento di reversibilita’ a favore del coniuge divorziato sorge in via autonoma ed automatica nel momento della morte del pensionato, in forza di un’aspettativa maturata, sempre in via autonoma e preventiva, nel corso della vita matrimoniale. Esso prescinde dallo stato di bisogno e non prevede alcuna correlazione tra l’unica condizione prevista – la titolarita’ di assegno – ed i criteri che ne governano l’attribuzione e la quantificazione. Esso, quindi, non rappresenta la continuazione – mutato il debitore – del diritto all’assegno divorzile, ma un autonomo diritto di natura squisitamente previdenziale, collegato automaticamente alla fattispecie legale.
4. – La L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 6, nel testo modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 10, cosi’ dispone: “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno nella condizione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non puo’ procurarseli per ragioni oggettive”.
La L. n. 898 del 1970, comma 8, nel testo modificato dalla L. n. 74 del 1987, prevede inoltre che “su accordo delle parti la corresponsione puo’ avvenire in un’unica soluzione ove questa sia ritenuta piu’ equa dal tribunale. In tal caso non puo’ essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico”.
4.1. – Anche se non senza contrasti, tanto la dottrina quanto la giurisprudenza sottolineano la diversita’ di funzioni e presupposti dell’assegno di divorzio rispetto all’assegno di mantenimento: il venir meno del vincolo di coniugio esclude che l’assegno divorzile costituisca una diversa modalita’ di soddisfacimento dell’originale obbligo di mantenimento scaturente dal matrimonio e regolato dall’art. 145 c.c.. Esso piuttosto partecipa di una natura composita, in cui accanto all’elemento solidaristico e assistenziale (desumibile dal riferimento alle condizioni dei coniugi) si rintraccia quello risarcitorio (indicato dal fatto che, nella sua determinazione, il giudice deve tener conto delle ragioni della decisione) e quello indennitario (attraverso il riferimento al contributo personale ed economico dato da ciascuno nella formazione del patrimonio personale o comune).
L’assetto economico relativo alla separazione puo’ invece rappresentare un valido indice di riferimento nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di valutazione relativi al tenore di vita goduto durante il matrimonio e alle condizioni economiche dei coniugi (v. Cass., 15 maggio 2013, n. 11686; Cass., 30 novembre 2007, n. 25010). Ne consegue che ai fini della soluzione della questione in esame, in cui non si discute del quantum dell’assegno di divorzio ma solo della sua configurabilita’ ed attualita’, e’ irrilevante comparare le pattuizioni delle parti raggiunte in sede di separazione personale con quelle trasfuse nella sentenza di divorzio. E’ peraltro incontestato che nel giudizio di divorzio la C. ha espressamente rinunciato all’assegno di mantenimento gia’ stabilito in sede di separazione consensuale, ne’ vi e’ deduzione che tale rinuncia sia stata causalmente collegata alla costituzione del diritto di abitazione e di comodato, peraltro gia’ previsti – insieme all’assegno oggetto di rinuncia in sede di separazione.
4.2.- L’assegno divorzile, al pari di quello di mantenimento, e’ disponibile e rinunciabile, anche in deroga alla statuizione contenuta nella sentenza di separazione. E’ in facolta’ delle parti prevedere che esso sia corrisposto in un’unica soluzione. Si e’ osservato In dottrina che, in tal caso, le parti intendono perseguire la finalita’ di voler definire ogni questione di carattere patrimoniale, “in modo da distaccare definitivamente le fortune dell’uno da quelle dell’altro”, con la conseguenza che eventuali eventi sopravvenuti non potranno modificare in aumento o in diminuzione la misura dell’assegno gia’ corrisposto (Cass. 5 gennaio 2001, n. 126; Cass., 29 agosto 1998, n. 8654). In tal senso depone l’ultima parte dell’art. 5, comma 8. Si e’ aggiunto che improponibilita’ di nuove domande di contenuto economico dopo la corresponsione dell’assegno in unica soluzione e’ conseguenza non (tanto) dell’autonomia delle parti quanto (piuttosto) dell’accertamento da parte del giudice della rispondenza dell’accordo alle esigenze di tutela del coniuge economicamente piu’ debole. Tale accertamento e valutazione di equita’ dell’accordo vanno compiuti anche in sede di divorzio ad istanza congiunta.
Peraltro, se si consentisse di rimettere in discussione attraverso il meccanismo previsto dalla L. n. 898 del 1970, art. 9, il rapporto definito con l’una tantum, si perverrebbe all’assurdo di prevedere solo uno strumento attraverso cui la cifra concordata in sede di divorzio puo’ essere aumentata e non invece diminuita, soluzione questa incompatibile con la liquidazione in un’unica soluzione, che cesserebbe cosi di essere l’unica, “ove potesse venire affiancata in epoca successiva da un assegno periodico” (Cass., 5 gennaio 2001, n. 126; e, di recente, Cass., 8 marzo 2012, n. 3635).
5. – In questo quadro, occorre accertare se il presupposto della titolarita’ di un assegno di divorzio, ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilita’, possa dirsi integrato dalla corresponsione di una somma di danaro una tantum o di altra utilita’ diversa dalla erogazione periodica di una somma di danaro, o ancora dal trasferimento o dalla costituzione di un diritto, come l’usufrutto o l’abitazione.
5.1. – Alla prima di queste domande e’ stata data risposta negativa da Cass., 18 luglio 2002, n. 10458, che – richiamando le Sezioni Unite di questa Corte, 12 gennaio 1998, n. 159 – ha precisato che la pensione di reversibilita’, oltre che consentire all’ex coniuge la prosecuzione del sostentamento prima assicurato dal reddito del coniuge deceduto, riconosce allo stesso un diritto che “non e’ inerente alla semplice qualita’ di ex coniuge, ma che ha uno dei suoi necessari elementi genetici nella titolarita’ attuale dell’assegno, la cui attribuzione ha trovato fondamento nell’esigenza di assicurare allo stesso ex coniuge mezzi adeguati (L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6)”. Da tale affermazione ha tratto l’ulteriore conseguenza che il relativo diritto compete soltanto nel caso in cui, in sede di regolamentazione dei rapporti economici al momento del divorzio, “le parti abbiano convenuto di non regolarli mediante corresponsione di un capitale una tantum” (in tal senso anche Cass., 14 giugno 2000, n. 8113). Ed ha aggiunto che la ratio di una tale conclusione sta nel fatto che, nel momento in cui il tribunale, nel pronunciare la sentenza di divorzio, ritenga l’equa la corresponsione in una unica soluzione della somma concordemente proposta, in luogo dell’assegno periodico del suo equivalente “capitalizzato” al coniuge piu’ debole che ne abbia diritto, “emette un giudizio di definitiva composizione della questione”, atteso l’accertato presupposto che la soluzione prescelta sia idonea ad assicurare, anche per il futuro, la provvista, in favore del beneficiario del trasferimento del capitale, dei mezzi adeguati al suo sostentamento. In questo senso, del resto, milita il disposto dell’art. 9 bis della legge, secondo cui l’assegno periodico a carico dell’eredita’ “non spetta se gli obblighi patrimoniali previsti dall’art. 5 sono stati soddisfatti in unica soluzione”.
In senso opposto, ma senza dare atto dei precedenti in senso contrario, si e’ invece espressa Cass., 29 luglio 2011, n. 16744, che ha tratto proprio dallo stesso art. 9 bis, L. cit. argomenti a contrario per affermare l’indifferenza, ai fini in questione, della corresponsione dell’assegno in un’unica soluzione piuttosto che con versamenti periodici. E della stessa opinione, ma con un mero obiter dictum, sembra Cass. 5 agosto 2005, n. 16560, che tuttavia ha ritenuto irrilevante, ai fini del diritto in questione, il riconoscimento negoziale di un diritto e lo stato di bisogno del coniuge divorziato. Nella specie, il coniuge divorziato, in sostituzione dell’assegno divorzile e a titolo di mantenimento, aveva ottenuto la voltura della licenza dell’esercizio commerciale.
5.3. – La diversa ma per molti aspetti analoga questione della costituzione o trasferimento di un diritto in luogo dl un versamento periodico di una somma di danaro e della sua riconducibilita’ al concetto di titolarita’ del diritto all’assegno previsto dall’art. 9, comma 2, l. cit., e’ stata affrontata da Cass., 12 novembre 2003, n. 17018, secondo la quale, tutte le volte in cui, per decisione del tribunale o per accordo dei divorziandi, sia stata determinata una forma dl assegno la cui erogazione periodica non abbia a cessare con il decesso dell’obbligato, deve ritenersi soddisfatto il requisito della previa titolarita’ di assegno di cui all’art. 5 della legge per l’accesso alla pensione di reversibilita’.
5.4. Il principio, espresso in un caso in cui in sede di divorzio i coniugi avevano previsto la costituzione di un diritto di usufrutto in favore della moglie su di un immobile donato alla figlia, e’ stato poi ribadito in Cass. 28 maggio 2010, n. 13108.
Con questa sentenza si e’ riaffermato il principio secondo cui l’accordo intervenuto tra i coniugi in ordine all’attribuzione dell’usufrutto sulla casa coniugale a titolo di corresponsione dell’assegno di divorzio in unica soluzione, a norma della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 8, e’ idoneo a configurare la titolarita’ di detto assegno, alla stregua del principio della riconduzione ad assegno divorzile di tutte le attribuzioni operate in sede o a seguito di scioglimento del vincolo coniugale, dalle quali il beneficiario ritrae utilita’ espressive della natura solidaristico- assistenziale dell’istituto. Ne consegue, secondo tale decisione, che la costituzione di usufrutto soddisfa il requisito della previa titolarita’ di assegno prescritto dall’art. 5, della legge ai fini dell’accesso alla pensione dl reversibilita’, o, in concorso con il coniuge superstite, alla sua ripartizione.
6. – E’ poi intervenuta Cass., 8 marzo 2012, n. 3635, su citata, che ha escluso che possa riconoscersi il diritto in esame nel caso di assegno di divorzio corrisposto in unica soluzione, seguito da Cass., 3 luglio 2012, n. 11088. In quest’ultima sentenza, la Corte ha preso atto del contrasto interpretativo esistente e ha motivatamente aderito al primo dei due orientamenti, gia’ tracciato da Cass., n. 10458/2002 (e seguito da Cass., n. 3635/2012, cit.), segnalandone la maggiore aderenza al dato testuale delle norme nonche’ alla complessiva “ratto” dell’intervento legislativo in questa specifica materia.
6.1. – In particolare, ha argomentato dalla natura definitiva sugli assetti economici delle parti della corresponsione in unica soluzione dell’assegno divorzile, giusta il disposto dell’art. 5, comma 8, L. cit., che esclude la sopravvivenza, in capo al coniuge beneficiario, di qualsiasi ulteriore diritto di contenuto patrimoniale nei confronti dell’altro coniuge: “dalla struttura dell’enunciato normativo e’ dato ricavare che, se si procede ad una liquidazione in un’ unica soluzione di quanto compete al coniuge piu’ debole, dopo tale liquidazione non sopravvive un rapporto da cui possano scaturire nuovi ulteriori obblighi per l’altro coniuge, in quanto l’aspettativa ad un assegno e’ stata esaurita attraverso l’una tantum, ed e’ venuto meno, in tal caso, ogni rapporto di natura personale e patrimoniale fra i coniugi, potenziale fonte di altre pretese anche economiche”.
Per contro, sempre secondo la Corte, il diritto dell’ex coniuge alla pensione di reversibilita’ ha uno dei suoi necessari elementi genetici nella titolarita’ “attuale” dell’assegno (in termini, Corte cost. n. 419/1999 citata), ove si consideri che solo nel caso in cui egli benefici di una erogazione economica a carico dell’ex coniuge al momento del decesso di costui, ha ragion d’essere – nella medesima prospettiva solidaristico-assistenziale – la sua sostituzione con la pensione di reversibilita’ (o di una sua quota), allo scopo di continuare ad assicurare il sostentamento economico prima assicuratogli dal coniuge deceduto con l’assegno periodico di divorzio.
Per contro, tale esigenza non si ravvisa nel caso di soddisfazione delle sue pretese economiche in un’unica soluzione, realizzata concordemente con l’altro coniuge e approvata nella sentenza che pronuncia lo scioglimento del matrimonio, in considerazione della capacita’ di quanto pattuito (verosimilmente nella misura idonea ad assicurare al coniuge beneficiario i mezzi adeguati al suo sostentamento per la sua sopravvivenza) e giudicata congrua dal Tribunale a seguito del controllo e della valutazione globale di tutte le circostanze di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, cit. cui la detta pattuizione e’ in ogni caso sottoposta.
Se tale e’ la ragione della disposizione, si comprende che non vi e’ invece alcuna esigenza di garanzia nei confronti di chi non godeva di alcun assegno, essendo anzi irragionevole che questi percepisca la pensione di reversibilita’, perche’ cosi’ verrebbe a trovarsi in condizione migliore rispetto a quella di cui godeva quando l’ex coniuge era in vita (in tal senso, Cass., 9 giugno 2011, n. 12546).
6.2. – In altri termini, il discrimine tra le due diverse situazioni deve basarsi sulla corresponsione di un assegno periodico, che va di volta in volta cadenzato e parametrato nel tempo con forme di adeguamento automatico, cosi come esplicitamente previsto nel citato art. 5 (comma 6). Del resto, come si e’ gia’ evidenziato, la L. n. 898 del 1970, art. 9 bis, prevede l’attribuzione di un assegno periodico a carico dell’eredita’ nel (solo) caso in cui all’ex coniuge in stato di bisogno sia stato riconosciuto il diritto alla corresponsione periodica di somme di denaro ai sensi dell’art. 5, espressamente escludendo, viceversa, il diritto all’assegno nell’ipotesi in cui gli obblighi patrimoniali previsti dall’art. 5 siano stati soddisfatti in unica soluzione.
7.- A tale ultimo orientamento (seguito anche da Cass., ord., 30 dicembre 2015, n. 26168) questa Corte intende dare continuita’. Deve cosi’ ribadirsi che non rientra nella nozione di assegno che da’ titolo alla pensione di reversibilita’ – al di la’ del nomen iuris che i coniugi abbiano dato nelle loro pattuizioni all’atto dello scioglimento del matrimonio – il conferimento, in unica soluzione, al coniuge che ne abbia diritto, di somme o di altre utilita’ patrimoniali ovvero la costituzione di diritti come l’abitazione della casa coniugale ed il comodato dei mobili e degli arredi, attuati, per concorde determinazione delle parti, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 8, in funzione di una definitiva regolazione dei loro rapporti economici e ritenuto dal Tribunale, attraverso il manifestato giudizio di “equita’” del relativo valore, adempitivo di ogni obbligo di sostentamento nei confronti del coniuge medesimo, cosi’ da escluderne, per il futuro, il diritto ad ogni erogazione di carattere economico.
8. – Ne consegue che, in adesione a quanto gia’ ritenuto dalla ricordata sentenza di questa Corte n. 3635/2012, va riaffermato il principio di diritto secondo cui: “In tema di divorzio, qualora le parti, in sede di regolamentazione dei loro rapporti economici, abbiano convenuto di definirli in un’ unica soluzione, come consentito della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 8, attribuendo al coniuge che abbia diritto alla corresponsione dell’assegno periodico previsto nello stesso art. 5, comma 6, una determinata somma di denaro o altre utilita’, il cui valore il Tribunale, nella sentenza che pronuncia lo scioglimento del matrimonio, abbia ritenuto equo ai fini della concordata regolazione patrimoniale, tale attribuzione, indipendentemente dal nomen iuris che gli ex coniugi le abbiano dato nelle loro pattuizioni, deve ritenersi adempitiva di ogni obbligo di sostentamento nei confronti del beneficiario, dovendosi, quindi, escludere che costui possa avanzare, successivamente, ulteriori pretese di contenuto economico e, in particolare, che possa essere considerato, all’atto del decesso dell’ex coniuge, titolare dell’assegno di divorzio, avente, come tale, diritto di accedere alla pensione di reversibilita’ o (in concorso con il coniuge superstite) a una sua quota”.
9. – La Corte territoriale si e’ attenuta ad una diversa opzione ermeneutica, sicche’ la sentenza deve essere cassata e la causa, non essendo necessari accertamenti di fatto, puo’ essere decisa nel merito (art. 384 c.p.c.) nel senso del rigetto della domanda.
10. – La problematicita’ della questione controversa, non ancora oggetto di un orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimita’ giustifica la compensazione integrale delle spese dell’intero processo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.
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