CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 25384 depositata il 29 agosto 2023
Tributi – Separazione personale dei coniugi – Diversa residenza dei coniugi Spagna e Italia – Una tantum a titolo di assegno divorzile – Tassazione assimilata a reddito da lavoro dipendente – Indebita deduzione – Cartella di pagamento – Deducibilità dei soli assegni periodici – D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10 comma 1, lett. c) – Valenza principio di simmetria solo per diritto interno – Convenzione Italia e Spagna – Evitare doppia imposizione giuridica – Rigetto
Fatto
Con sentenza del 19 maggio 2006 il Tribunale di Valencia (Spagna) dichiarò la separazione personale dei coniugi C.A.C. (d’ora in avanti, anche “il ricorrente” o “il contribuente”) e la Sig.ra C.C.R.d.L.N. (d’ora in avanti, anche “la C.”), allora entrambi residenti in Spagna, sulla base di un accordo approvato dal giudice spagnolo.
La sentenza riconobbe alla C. la somma una tantum di 1.000.000 di Euro a titolo di “pension compensatoria” da versare ratealmente nel corso di sei anni sino all’estinzione del debito.
Dopo la separazione, il ricorrente trasferì il proprio domicilio in Italia. Nel 2008 il ricorrente versò alla C. una rata della “pension compensatoria” (l’assegno divorzile), pari ad Euro 60.000, che fu tassato in Spagna in capo alla percipiente, in quanto assimilato ad un reddito da lavoro dipendente.
In sede di dichiarazione dei redditi del 2009, presentata in relazione al periodo d’imposta 2008, il ricorrente portò in deduzione dal reddito imponibile il suindicato importo.
In esito ad un controllo formale ex d.p.r. n. 600 del 1973, art. 36ter, l’Ufficio rilevò l’indebita deduzione ed iscrisse a ruolo le maggiori imposte dovute a titolo di Irpef, addizionali comunali e regionali, interessi, per un importo pari ad Euro 27.000.
Successivamente, l’agente della riscossione notificò al ricorrente la cartella di pagamento con la quale gli venne richiesto un importo complessivo di Euro 40.943,04, comprensivo di sanzioni ed oneri di riscossione.
Il ricorrente propose ricorso alla C.T.P. di Milano, invocando il principio di simmetria e la doppia imposizione economica.
Il giudice di primo grado rigettò le doglianze del contribuente.
La C.T.R. della Lombardia confermò integralmente la sentenza di primo grado, rigettando l’appello del contribuente.
Avverso la sentenza d’appello il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi, il primo dei quali articolato in due profili.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Il contribuente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Diritto
1.Con il primo profilo del primo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 917 del 1986, art. 10 comma 1, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, il contribuente critica l’interpretazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10, comma 1, lett. c), data dalla C.T.R., secondo la quale, a prescindere dal trattamento fiscale di quanto percepito dal coniuge o ex coniuge, la deducibilità dal reddito imponibile del coniuge o ex coniuge tenuto al versamento è limitata agli assegni periodici, con esclusione degli importi versati una tantum, come quello per cui è causa (benché la sua corresponsione fosse stata pattiziamente rateizzata).
Secondo il contribuente, invece, la citata disposizione del TUIR andrebbe letta alla luce del “principio di simmetria”: il motivo della indeducibilità dell’assegno una tantum risiederebbe nel fatto che il corrispondente importo non è soggetto a tassazione in capo al coniuge o ex coniuge percipiente, sicché la sua tassazione come componente positiva di reddito in capo al solvens evita “salti d’imposta”.
Ne conseguirebbe, secondo l’argomentazione del contribuente, che, qualora, come succede in Spagna, anche l’assegno versato una tantum sia soggetto a tassazione, allora si giustificherebbe, per evitare la doppia imposizione, la deducibilità del correlativo importo dal reddito imponibile del solvens.
1.2. Con un secondo profilo di doglianza, proposto in subordine, il contribuente formula questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10 comma 1, lett. c), interpretato nel senso di non ritenere mai consentita la deduzione dalla base imponibile facente capo al solvens dell’assegno una tantum da lui versato, a prescindere dal trattamento fiscale di tale assegno in capo all’accipiens.
In particolare, secondo il contribuente, non consentire la deduzione dalla base imponibile del solvens domiciliato fiscalmente in Italia dell’assegno una tantum (sebbene rateizzato) versato ad un soggetto domiciliato fiscalmente all’estero, nel caso in cui tale assegno sia assoggettato a tassazione nel paese di residenza dell’accipiens, si porrebbe in contrasto con la Cost., artt. 3 e 53.
1.2.1. Il motivo è infondato, in entrambi i profili in cui è articolato. Innanzitutto, sul piano letterale, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10 comma 1, lett. c), è chiaro nel limitare la deducibilità dei soli “assegni periodici corrisposti al coniuge”, con esclusione, quindi, degli assegni una tantum.
Coglie nel segno la difesa del contribuente, lì dove individua la ratio della deducibilità degli assegni periodici (di separazione o divorzili) nel fatto che il corrispondente importo versato all’altro coniuge o ex coniuge è soggetto a tassazione, equiparato ad un reddito da lavoro dipendente, mentre gli assegni una tantum (previsti nell’ordinamento italiano solo per il caso di divorzio, ex l. n. 898 del 1970, art. 5 comma 8), non essendo soggetti a tassazione in capo all’accipiens, non sono deducibili dalla base imponibile del solvens.
In altri termini, l’ordinamento tributario italiano, per evitare una doppia imposizione economica sul piano interno, prevede, simmetricamente, la tassazione in capo al coniuge o ex coniuge accipiens, degli assegni periodici di separazione o divorzili, nonché la deducibilità del corrispondente importo dalla base imponibile del solvens; d’altro canto, non assoggettando a tassazione l’importo degli assegni una tantum corrisposti all’ex coniuge, non ne consente la deduzione da parte del solvens, evitando in tal modo che il detto importo sfugga totalmente alla tassazione.
Senonché, il ricordato principio di simmetria non vale automaticamente anche nei rapporti tra diversi ordinamenti sovrani. Nel caso di specie, i soggetti partecipi della transazione economica sono residenti in due diversi Stati, e ciascuno di essi instaura il rapporto d’imposta con uno Stato sovrano.
Ne consegue che, in assenza di una specifica disposizione di un trattato internazionale tra Italia e Spagna o di una disposizione di una fonte sovranazionale (del diritto dell’Unione Europea), non può che applicarsi il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10 comma 1, lett. c), che esclude la deducibilità dalla base imponibile del solvens dell’assegno una tantum da lui versato (sebbene in forma rateale) all’ex coniuge.
Il fatto che il “principio di simmetria” che governa il trattamento fiscale degli assegni di separazione e divorzio versati al coniuge o all’ex coniuge, evocato dal contribuente, abbia valenza generale solo per il diritto interno, cioè in relazione alle transazioni economiche intercorse tra due persone entrambe assoggettate alla potestà fiscale di un unico Stato, dà ragione della manifesta infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale.
2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato “Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, il contribuente censura la sentenza d’appello nella parte in cui avrebbe omesso l’esame di un fatto decisivo, rappresentato dall’assoggettamento ad imposta in capo alla C. dell’assegno divorzile da lui corrispostole.
2.1. Il motivo, a prescindere dalla sua inammissibilità per lo sbarramento posto dalla cd. “doppia conforme”, che il ricorrente si perita di contestare per la asserita diversità del percorso motivazionale seguito dalle due sentenze di merito, è infondato.
Dalla sentenza d’appello risulta (cfr. l’esposizione dello svolgimento del processo) che la C.T.R. ha tenuto ben presente l’impianto argomentativo della sentenza di primo grado, adesivo rispetto alle conclusioni dell’Ufficio tese a svalutare la rilevanza del fatto che l’assegno versato fosse stato sottoposto a tassazione in Spagna in capo all’accipiens.
Orbene, nella parte motiva, la C.T.R. ha implicitamente, ma inequivocamente, ritenuto che l’applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10 comma 1, lett. c), escluda in ogni caso la deducibilità in capo al solvens dell’assegno versato, non rilevando punto l’assoggettamento a tassazione in capo alla C., residente e domiciliata fiscalmente in Spagna, dell’importo a lei corrisposto.
3. Con il terzo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione della Convenzione tra Italia e Spagna per evitare le doppie imposizioni e della Cost., art. 117 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, il contribuente censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto che la Convenzione italo-spagnola, ratificata con l. n. 663 del 1980, riguarda il divieto di doppia imposizione giuridica con riferimento alla stessa persona e non a persone diverse.
Secondo il contribuente, vi sarebbero degli indici, all’interno della citata Convenzione, che farebbero propendere per l’estensione del divieto di doppia imposizione oltre il campo delle doppie imposizioni in senso giuridico.
3.1. Il motivo è infondato.
Nell’ambito della Convenzione conclusa tra Italia e Spagna, ratificata a mezzo della l. n. 633 del 1980, non si rinviene alcuna disposizione atta a consentire al coniuge o ex coniuge italiano, che versa un assegno una tantum (anche in più rate predefinite nel tempo, cfr. Risoluzione n. 153/E dell’Agenzia delle Entrate, dell’11 giugno 2009), in seguito a separazione personale o a divorzio, ad un soggetto residente in Spagna, di portare in deduzione dalla base imponibile, ai fini Irpef, quanto versato al coniuge soggetto al fisco spagnolo.
In particolare, è corretta la conclusione della C.T.R. alla luce dell’art. 22 della citata Convenzione, che mira ad evitare la doppia imposizione giuridica dei redditi dello stesso soggetto passivo, non ad evitare la doppia imposizione economica in una fattispecie come quella di causa.
4. Con il quarto motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 18 e dell’art. 21 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, il contribuente censura la sentenza d’appello perché violerebbe il principio di non discriminazione in ragione della nazionalità ed il diritto fondamentale di ogni cittadino dell’Unione Europea di circolare e soggiornare liberamente nel suo territorio.
Deduce il contribuente che escludere la deducibilità dal reddito imponibile in Italia dell’assegno una tantum versato al coniuge o ex coniuge residente in un altro paese UE costituirebbe un ostacolo alla libera circolazione dei cittadini da uno Stato ad un altro dell’Unione Europea.
L’indeducibilità dell’assegno una tantum, inoltre, secondo il contribuente, discriminerebbe il debitore residente rispetto al debitore dell’assegno residente in un paese diverso, in cui fosse riconosciuta la deducibilità dell’importo versato (o degli importi versati, in caso di versamento rateale).
4.1. Il motivo è infondato.
L’ordinamento dell’Unione Europea, nello stadio attuale del suo sviluppo, ed al di là di interventi specifici e settoriali attuati mediante regolamenti o direttive, non impone l’uniformità del trattamento fiscale nei diversi paesi, né impone il coordinamento dei regimi fiscali allo scopo di evitare tutte le possibili forme di doppia imposizione economica.
Sicché i soggetti dell’ordinamento dell’Unione Europea, siano essi persone fisiche o giuridiche, imprenditori o meno, possono liberamente trasferirsi da un paese ad un altro anche in considerazione di un più favorevole regime fiscale vigente in un paese piuttosto che in un altro.
Se ne conclude che la indeducibilità della rata di assegno una tantum versata dal contribuente non concretizza un ostacolo alla libera circolazione delle persone da un paese nel quale quella deduzione sarebbe possibile ad un altro (nella specie, l’Italia), nel quale, in base alla legislazione vigente, quella deduzione non è consentita.
Quanto, poi, al principio di non discriminazione che deve informare la legislazione fiscale italiana, in realtà non si comprende rispetto a chi sarebbe discriminato il contribuente che, in una fattispecie come quella di causa, non può portare in deduzione dalla base imponibile l’assegno una tantum versato in favore del coniuge o ex coniuge residente all’estero: non lo è rispetto a tutti gli altri soggetti che sono assoggettati alla potestà fiscale italiana, visto che il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10 comma 1, lett. c), non consente a nessuno, che sia fiscalmente domiciliato in Italia, di portarsi in deduzione l’assegno una tantum versato al coniuge o ex coniuge; né può dirsi discriminato rispetto ad un soggetto al quale, in base alla legislazione fiscale del paese in cui è domiciliato, è consentita tale deduzione, visto che, come si diceva poc’anzi, non vi è alcun obbligo generale per gli Stati dell’UE (al di fuori di ipotesi settoriali relative a rapporti di diritto commerciale), di coordinare le legislazioni fiscali allo scopo di evitare le doppie imposizioni economiche.
Con particolare riguardo al caso Schempp (sentenza CGUE del 12 luglio 2005, causa C-403/03), deve qui rilevarsi la eterogeneità della fattispecie affrontata dalla CGUE, in quanto è lo stesso diritto tedesco che prevede le deducibilità degli assegni alimentari versati ad un coniuge o ex coniuge residente in uno Stato diverso, purché risulti che in tale Stato quegli assegni siano assoggettati a tassazione in capo all’accipiens; in Italia, invece, è esclusa, con una disposizione generale che non conosce deroghe, la deducibilità degli assegni non periodici (una tantum): si tratta di una scelta di politica fiscale non sindacabile in via giurisdizionale.
5. Con il quinto motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione del D.LGS. N. 546 DEL 1992, art. 8 e della l. n. 212 del 2000, art. 10 comma 3, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, il contribuente si duole che la C.T.R. non ha dichiarato l’inapplicabilità delle sanzioni irrogate dall’Ufficio, in presenza di una obiettiva condizione di incertezza del campo di applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10 comma 1, lett. c).
5.1. Il motivo è inammissibile per l’assorbente ragione che esso è nuovo, in quanto relativo ad una questione che non risulta dalla sentenza impugnata essere stata portata alla cognizione del giudice d’appello (ex multis, Cass., sez. I, sentenza n. 25319 del 25/10/2017).
Peraltro, la C.T.R. ha esplicitamente negato la sussistenza di obiettive ragioni di incertezza normativa, evidenziando la “chiarezza del tenore letterale della norma” (pag. 4, sub “MOTIVI DELLA DECISIONE”).
6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Ai sensi del d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del contribuente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna C.A.C. al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro duemilatrecento per onorari, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del contribuente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.