CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 9617 depositata il 11 maggio 2016
FALLIMENTO – ACCERTAMENTO DEL PASSIVO – FORMAZIONE DELLO STATO PASSIVO – IMPUGNAZIONI DELLO STATO PASSIVO – IMPUGNAZIONE INCIDENTALE, TEMPESTIVA O TARDIVA – AMMISSIBILITÀ – ESCLUSIONE – FONDAMENTO
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
1. La Banca di Pistoia Credito Cooperativo ha proposto opposizione allo stato passivo del fallimento della s.p.a. R. lamentando l’erroneita’ del provvedimento del giudice delegato con il quale il suo credito privilegiato era stato ammesso solo in parte, con esclusione del pegno su obbligazioni per Euro 150.000,00, in quanto costituito testualmente su crediti verso terzi e mancava l’alterita’ per essere costituito su obbligazioni della stessa banca.
Lamentava, altresi’, l’esclusione degli interessi convenzionali sul saldo di c/c e sulle rate scadute di un mutuo.
Il curatore ha proposto impugnazione incidentale tardiva chiedendo l’esclusione della prelazione sul pegno costituito su obbligazioni della Banca di Pistoia a garanzia di una fideiussione.
Il tribunale di Pistoia, con il decreto impugnato, ritenuta ammissibile la proposizione di impugnazione incidentale tardiva del curatore, l’ha accolta, riducendo la somma ammessa in privilegio e vantata dall’istituto di credito provvedendo a diversamente quantificare la somma ammessa mentre ha accolto l’opposizione della banca limitatamente alla misura degli interessi sul mutuo.
Avverso tale decisione la banca propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui resiste con controricorso il curatore, il quale ha altresi’ proposto ricorso incidentale affidato a un motivo. Nel termine di cui all’art. 378 cod. proc. civ. parte ricorrente ha depositato memoria.
2.- Con il ricorso principale la banca denuncia:
con il primo motivo deduce la nullita’ della sentenza con riferimento alla ritenuta ammissibilita’ dell’impugnazione incidentale tardiva proposta dal curatore;
con il secondo motivo deduce violazione di legge contestando nel merito la decisione di limitare la parte di credito ammesso in privilegio ritenendo violate le norme in tema di crediti condizionali e di garanzia fideiussoria costituita da pegno;
con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla invalidita’ della costituzione del pegno, ritenuta conseguenza di un’erronea interpretazione della scrittura costitutiva della garanzia. Il tribunale – in sintesi – avrebbe valutato il solo testo del contratto (applicabile a tutti i pegni) senza considerare l’oggetto del pegno, costituito da obbligazioni emesse dalla stessa banca creditrice.
3.- Con il ricorso incidentale il curatore deduce difetto di motivazione e la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda principale proposta di esclusione totale della somma portata dal pegno che il giudice avrebbe totalmente omesso passando ad esaminare esclusivamente la domanda subordinata di riduzione della relativa somma.
4.- Il primo motivo del ricorso principale e’ fondato e il suo accoglimento determina l’assorbimento del secondo motivo e l’inammissibilita’ del ricorso incidentale, in quanto teso all’accoglimento integrale di impugnazione di credito ammesso che non avrebbe potuto essere proposta in via incidentale.
Come questa Corte ha gia’ avuto modo di puntualizzare, sebbene in fattispecie concernente il c.d. “regime intermedio”, ma anche con argomenti ancorati a norme non modificate dal D.Lgs. correttivo (cfr. Sez. Sent., 11.9.2009, n. 19697; Sez. 1, Sentenza n. 4708 del 2011) – il legislatore della riforma pur avendo ampiamente mutato la natura del giudizio di verifica, soprattutto attribuendo al curatore il ruolo di parte ed affermando all’art. 95, comma 3, che il giudice delegato pronuncia su ciascuna domanda “nei limiti delle conclusioni formulate ed avuto riguardo alle eccezioni del curatore, a quelle rilevabili d’ufficio e a quelle formulate dagli altri interessati..”, ne ha pero’ mantenuto la caratteristica di giudizio a cognizione sommaria, in cui non e’ obbligatoria l’assistenza tecnica a favore del creditore ed ove e’ previsto che il giudice possa procedere “ad atti di istruzione a richiesta delle parti, compatibilmente con le esigenze di speditezza del procedimento” (art. 95, comma 3, u.p.).
Tale ultima limitazione del diritto alla prova depone per la natura sommaria della fase necessaria dell’accertamento e impone di ritenere (come d’altra parte si desume dal testo normativo: cfr. L. Fall., art. 99) che, con l’opposizione contro il provvedimento pronunciato a seguito di cognizione sommaria, il diritto predetto – compresso per esigenze di celerita’ della procedura fallimentare – si riespanda, consentendo al creditore escluso un grado di merito a cognizione piena, non condizionata da preclusioni istruttorie maturate nella fase sommaria, perche’ non previste espressamente dalla legge e, anzi, espressamente escluse dal tenore della L. Fall., art. 99, il cui testo, gia’ prima del decreto correttivo prevedeva sin dagli atti introduttivi (ricorso e memoria difensiva) l’onere, a pena di decadenza, di specifica indicazione dei mezzi di prova e dei documenti “prodotti” di cui la parte intendeva avvalersi, cosi’ segnando quale termine preclusivo quello della proposizione dell’opposizione (cfr. Sez. 1″, Sent., 4.9.2009, n. 19211). Una diversa interpretazione sarebbe in contrasto con l’art. 24 Cost., costituendo il diritto alla prova il “nucleo essenziale del diritto di azione e di difesa” (Corte cost. n. 139/1975).
Questa Corte ha gia’ chiaramente precisato che, in relazione all’opposizione allo stato passivo, e’ “fuori luogo ogni richiamo alla disciplina della produzione dei documenti in appello e all’art. 345 c.p.c., perche’ si e’ qui al di fuori del giudizio ordinario di cognizione ne’ l’opposizione puo’ essere qualificata come appello” (Sez. 1^, Sent., 11.9.2009, n. 19697).
Tale conclusione, peraltro, non contrasta con l’espressa attribuzione, all’opposizione, L. Fall., ex art. 99, della natura di impugnazione operata dalla Corte con altra pronuncia perche’ nella fattispecie decisa da tale natura e’ stata fatta discendere l’inammissibilita’ di domande riconvenzionali e, in generale, dell’ampliamento del thema decidendum (Sez. 1^, Sentenza n. 6900 del 2010), senza, pero’, ritenere applicabile l’art. 345 c.p.c., e argomentando dall’espressa previsione normativa del contenuto della memoria di costituzione. La natura “impugnatoria” del rimedio, invero, non e’ seriamente contestabile, essendo diretta a rimuovere un provvedimento emesso sulla base di una cognizione sommaria che, se non opposto, acquista efficacia di giudicato endofallimentare (art. 96, u.c.) ma essa non e’ incompatibile con la produzione di nuovi documenti e prove (costituende) non ammesse in fase sommaria per incompatibilita’ con le esigenze di speditezza della procedura. La conclusione e’ che il giudizio di opposizione allo stato passivo del fallimento (come disciplinato a seguito del D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169) non e’ un giudizio di appello, anche se ha natura impugnatoria costituendo il rimedio avverso la decisione sommaria del giudice delegato.
Il procedimento e’ tuttavia integralmente disciplinato dalla normativa fallimentare che prevede che avverso il decreto di esecutivita’ dello stato passivo possano essere proposte solo opposizione (da parte dei creditorio dei titolari di diritti su beni), impugnazione (da parte del curatore o di creditori avverso un credito ammesso) o revocazione.
Ciascuno di tali rimedi puo’ essere proposto dal soggetto legittimato esclusivamente entro il termine di cui alla L. Fall., art. 99, sicche’ non e’ concepibile la possibilita’ di far valere un proprio diritto nel contesto dell’impugnazione proposta da altro soggetto. E cio’ perche’ qualora il termine per impugnare sia ancora pendente il soggetto deve proporre l’impugnazione a se’ spettante e, qualora invece il relativo termine sia ormai decorso, deve ritenersi che sia decaduto dalla possibilita’ di contestare autonomamente lo stato passivo (con cio’ escludendosi concettualmente la configurabilita’ dell’impugnazione incidentale, sia tempestiva che tardiva).
Invero, e in altri termini, il nuovo L. Fall., art. 99, al comma 1, cosi’ dispone: “1. Le impugnazioni di cui all’articolo precedente si propongono con ricorso depositato presso la cancelleria del tribunale entro trenta giorni dalla comunicazione di cui all’art. 97 ovvero in caso di revocazione dalla scoperta del fatto o del documento”.
Le “impugnazioni”, di cui all’articolo precedente, sono (art. 98, comma 1); l’opposizione, l’impugnazione dei crediti ammessi e la revocazione.
Con l’opposizione il creditore o il titolare di diritti su beni mobili o immobili contestano che la propria domanda sia stata accolta in parte o sia stata respinta; l’opposizione e’ proposta nei confronti del curatore.
Con l’impugnazione il curatore, il creditore o il titolare di diritti su beni mobili o immobili contestano che la domanda di un creditore o di altro concorrente sia stata accolta; l’impugnazione e’ rivolta nei confronti del creditore concorrente, la cui domanda e’ stata accolta e al procedimento partecipa anche il curatore.
Dunque, l’impugnazione del credito ammesso – da parte del curatore o da parte degli altri creditori – e’ altra cosa rispetto all’opposizione del creditore escluso anche parzialmente.
E’ una domanda che va proposta nel termine di cui alla L. Fall., art. 99 (gia’ prima era proponibile dai soli creditori L. Fall., ex art. 100, anche rispetto alle tardive).
5.- E’ fondato, altresi’, il terzo motivo di ricorso.
Infatti, il tribunale, in relazione al pegno del 21.1.2008, ha condiviso la decisione del giudice delegato – secondo cui il pegno era invalido perche’ costituito su credito verso lo stesso creditore pignoratizio basandosi esclusivamente sull’uso di uno stampato predisposto per la costituzione di pegno su crediti, senza attribuire rilievo, cosi’ contraddicendosi, all’espressa specificazione, nell’atto costitutivo della garanzia, dell’oggetto del pegno, costituito da “obbligazioni Banca di Pistoia Credito Cooperativo (OMISSIS) di Euro 150.000”; ossia, di titoli di credito, di cui il tribunale non ha accertato la natura.
Il decreto impugnato, dunque, deve essere cassato, con rinvio per nuovo esame e per il regolamento delle spese al Tribunale di Pistoia in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il terzo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, e dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa il decreto impugnato e rinvia per nuovo esame e per il regolamento delle spese al Tribunale di Pistoia in diversa composizione.
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