CORTE DEI CONTI – Ordinanza 06 agosto 2013
Previdenza – Previsione, con norma autoqualificata interpretativa, ma con efficacia innovativa – Art. 10, quarto comma, del d.l. n. 17 del 1983, convertito in legge n. 79 del 1983 – Abrogazione implicita – Lesione del dovere di solidarietà sociale – Violazione del principio di uguaglianza per la lesione dei principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento – Lesione di obblighi internazionali derivanti dalla CEDU – Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 18, comma 6 – Costituzione, artt. 2, 3 e 117, primo comma, in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
Fatto e svolgimento del processo
Il ricorrente è un ex ferroviere in pensione collocato in quiescenza per dimissioni volontarie prima del raggiungimento dell’età massima pensionabile il 19/7/1983. Egli con il presente ricorso depositato il 7/2/2007, rivendica l’applicazione dell’art. 10 comma 4 del D.L. n. 17 del 29/1/1983 conv. nella legge 79 del 25/3/1983, secondo il quale: per il personale avente diritto all’indennità integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive modificazioni, che ha presentato domanda di pensionamento a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la misura dell’indennità stessa da corrispondere in aggiunta alla pensione o assegno è determinata in ragione di un quarantesimo per ogni anno di servizio, utile ai fini del trattamento di quiescenza, dell’importo dell’indennità stessa spettante al personale collocato in pensione con la massima anzianità di servizio….. Le variazioni dell’indennità integrativa speciale sono attribuite per l’intero importo dalla data del raggiungimento dell’età di pensionamento da parte del titolare della pensione, ovvero dalla data di decorrenza della pensione di reversibilità a favore dei superstiti. Successivamente, con l’art. 21 della legge 730/1983 è stata confermata la predetta normativa. Resta ferma la disciplina prevista per l’attribuzione, all’atto della cessazione dal servizio, dell’indennità integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive modificazioni ed integrazioni, ivi compresa la normativa stabilita dall’articolo 10 del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, nella legge 25 marzo 1983, n. 79. Pertanto, il ricorrente avrebbe maturato tale diritto il 18/12/1997, data alla quale sarebbe stato collocato a riposo d’ufficio, e con richiesta del 27/5/2005, chiedeva l’applicazione della predetta normativa che veniva rigettata dall’INPS con la nota 34655 del 21/6/2005, facendo presente che l’indennità integrativa speciale ha perso la consistenza di elemento distinguibile del trattamento pensionistico e quindi l’art. 10 della legge 79/1983 è divenuto non più applicabile.
Avverso la suddetta nota il ricorrente ha presentato ricorso a questo giudice chiedendo l’applicazione della predetta normativa con il riconoscimento del conseguente diritto ai ratei di indennità integrativa speciale maturati.
Si è costituito l’INPS, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso, affermando che nelle more del giudizio è intervenuto l’art. 18 del D.L. n. 98/2011 conv. legge 111/2011 che fornisce, ai commi 7 e 8 l’interpretazione autentica dell’art. 21 della legge 730/1983 e nel contempo dichiara abrogato al comma 6, sin dalla vigenza della legge 730/1983, l’art. 10 comma 4 sopra citato: 6. L’art. 10, quarto comma, del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1983, n. 79, si intende abrogato implicitamente dall’entrata in vigore delle disposizioni di cui all’art. 21 della legge 27 dicembre 1983, n. 730.
7. L’art. 21, ottavo comma, della legge 27 dicembre 1983, n. 730, si interpreta nel senso che le percentuali di incremento dell’indennità integrativa speciale ivi previste vanno corrisposte nell’aliquota massima, calcolata sulla quota dell’indennità medesima effettivamente spettante in proporzione all’anzianità conseguita alla data di cessazione dal servizio.
8. L’art. 21, nono comma, della legge 27 dicembre 1983, n. 730, si interpreta nel senso che è fatta salva la disciplina prevista per l’attribuzione, all’atto della cessazione dal servizio, dell’indennità integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive modificazioni, ivi compresa la normativa stabilita dall’art. 10 del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1983, n. 79, ad eccezione del comma quarto del predetto art. 10 del decreto-legge n. 17 del 1983.
Diritto
Questo giudice si trova di fronte in corso di giudizio, ad una chiara innovazione normativa sulla vicenda con efficacia giuridica retroattiva, intervenuta con le norme sopra citate, e dunque ad uno sbarramento all’applicazione del principio tempus regit actum, quindi, ritenendo fondato il diritto del ricorrente, in mancanza di una soluzione interpretativa costituzionalmente orientata, e di fronte al chiaro tenore delle suddette norme, deve rilevare la sussistenza di una questione di legittimità costituzionale rilevante e non manifestamente infondata da sollevare in via ufficiosa.
Rilevante, poiché le suddette sopravvenute norme, impediscono immediatamente a questo giudice, ponendosi come pregiudiziali, l’accoglimento del ricorso limitatamente al periodo di vigenza dell’istituto dell’indennità integrativa speciale, avendo ritenuto abrogato con effetto retroattivo l’art. 10 comma 4 del D.L. n. 17 del 29/1/1983 conv. nella legge 79 del 25/3/1983 e pertanto precludendogli l’esame di tale norma di legge, sulla quale il ricorrente ha basato la propria pretesa.
Conseguentemente, di fronte ad una abrogazione della predetta norma che dovrebbe valere solamente per il futuro, la questione appare non manifestamente infondata in termini di legittimità costituzionale di tali nuove norme per la violazione degli artt. 2, 3 e 117 comma 1 della Costituzione, rispetto all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in quanto norma interposta, per come in casi analoghi è stata interpretata da codesta Corte costituzionale e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, sussistendo concretamente una fattispecie di abrogazione legislativa sostanziale, con effetti retroattivi, mascherata da norma interpretativa.
Difatti, sussiste una palese contraddizione legislativa, riguardante l’art. 10 comma 4 del D.L. n. 17 del 29/1/1983 conv. nella legge 79 del 25/3/1983, con conseguente irragionevolezza della volontà del legislatore tra il dettato normativo dell’art. 21 della legge 730/1983: Resta ferma la disciplina … ivi compresa la normativa stabilita dall’art. 10 del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, nella legge 25 marzo 1983, n. 79; che assume anche esso un valenza interpretativa, manifestando la volontà del legislatore di mantenere in vigore tale norma di legge, rispetto invece all’art. 18 comma 6 del D.L. n. 98/2011 conv. Legge 111/2005 (ndr Legge 111/2011). L’art. 10, quarto comma, del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1983, n. 79, si intende abrogato implicitamente dall’entrata in vigore delle disposizioni di cui all’art. 21 della legge 27 dicembre 1983, n. 730; nonché con il successivo comma 8, limitatamente alle parole:… ad eccezione del comma quarto del predetto art. 10 del decreto-legge n. 17 del 1983.
E’ quindi tutta evidenza che trattasi di un caso di vero e proprio c.d. eccesso di potere legislativo, in cui sussiste una palese contraddizione, non solo tra norme definite “interpretative” susseguitesi e intervallate da un lungo arco di tempo, ma addirittura una ulteriore modifica dell’interpretazione data dallo stesso legislatore sulla stessa norma, con la violazione in termini di ragionevolezza del principio del legittimo affidamento e di certezza del diritto, con violazione dell’art. 3 della Costituzione, per come definito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 156/2007: Più volte questa Corte è intervenuta per scrutinare la rispondenza ai principi della Carta costituzionale di disposizioni aventi forza di legge dotate di efficacia retroattiva. In tali occasioni la Corte ha precisato che, «al di fuori della materia penale (dove il divieto di retroattività della legge è stato elevato a dignità costituzionale dall’art. 25 Cost.), l’emanazione di leggi con efficacia retroattiva da parte del legislatore incontra una serie di limiti che questa Corte ha da tempo individuato e che attengono alla salvaguardia, tra l’altro, di fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza e di eguaglianza, la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto e il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario» (sentenza n. 282 del 2005 e, nello stesso senso, fra le molte, le sentenze n. 525 del 2000 e n. 416 del 1999).
In particolare, con riferimento al rispetto del principio dell’affidamento quale limite alla possibilità per il legislatore di incidere, con norme dotate di efficacia retroattiva, su situazioni sostanziali poste in essere in vigenza di leggi precedenti, la Corte ha affermato che il criterio in base al quale deve svolgersi il giudizio di costituzionalità è dettato dalla rispondenza o meno a criteri di ragionevolezza del regolamento di interessi, innovativo rispetto a quello preesistente, che scaturisce dalla norma sopravvenuta (in questi termini, fra le altre, le sentenze n. 446 del 2002, n. 419 del 2000, n. 416 del 1999 e n. 822 del 1988).
Sempre per la sussunzione del principio del legittimo affidamento nel parametro dell’art. 3 della Costituzione vi è conferma (seppure in materia tributaria) nella sentenza della Corte di cassazione n. 21513/2006: Invero, il principio di tutela del legittimo affidamento del cittadino, trovando origine nella Costituzione, e precisamente negli artt. 3, …. espressamente richiamati dall’art. 1 del medesimo Statuto, è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico e costituisce uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle diverse articolazioni, limitandone l’attività legislativa e amministrativa.
Orbene, se è così, siamo di fronte ad una palese irragionevolezza del legislatore che a livello interpretativo si contraddice, violando il principio del legittimo affidamento inteso come principio generale riconosciuto altresì a livello internazionale, trovando addirittura a livello privatistico specifica espressione codificata anche nell’art. 1.8 dei principi UNIDROIT nemo venire contra factum proprium, che a livello interpretativo rientra specificamente in questa fattispecie: Una parte non può agire in modo contraddittorio rispetto ad un intendimento che ha ingenerato nell’altra parte, e sul quale questa ha ragionevolmente fatto affidamento a proprio svantaggio.
Espressione del principio di buona fede, che la Corte di cassazione con la sentenza n. 28056/2008 ha ritenuto fondato nel dovere di solidarietà sancito dall’art. 2 della Costituzione, che dovrebbe valere per lo stesso legislatore, quando esso, come in questo caso, travalichi il limite di ragionevolezza nell’esercizio del potere di interpretazione legislativa retroattiva, autoimpostosi, intervenendo a distanza di lungo tempo con una ulteriore norma interpretativa, addirittura abrogando sostanzialmente e con effetto retroattivo la norma già originariamente interpretata e/o confermata.
Difatti: Questa Corte ha costantemente affermato che il legislatore può adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull’applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche «quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore» (sentenza n. 525 del 2000; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 374 del 2002, n. 26 del 2003, n. 274 del 2006, n. 234 del 2007, n. 170 del 2008, n. 24 del 2009).
Accanto a tale caratteristica, che vale a qualificare una norma come effettivamente interpretativa, questa Corte ha individuato una serie di limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi, «che attengono alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento […]; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo stato di diritto […]; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico […]; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario» (sentenza n. 397 del 1994). Corte cost. n. 209/2010.
E difatti, in questo caso più che ad una norma interpretativa ci troviamo di fronte ad una norma innovativa abrogativa retroattiva, quando l’art. 18 comma 6 afferma che l’art. 10 comma si intende abrogato implicitamente dall’entrata in vigore della legge 730/1984, quando invece, l’art. 21 di quest’ultima aveva esplicitamente fatto salva la disciplina dell’art. 10, con la precisazione ivi compresa. Trovando tale interpretazione abrogativa conferma nel successivo comma 8 dell’art. 18 quando si esclude l’applicazione dell’art. 10 comma 4 dalla applicazione della disciplina della indennità integrativa speciale con effetto retroattivo.
Né si può dire che tali norme interpretative rientrino tra le varianti interpretative dell’originario testo legislativo, considerato il valore interpretativo di conferma della vigenza dell’art. 10 comma 4 del D.L. n. 17 del 29/1/1983 conv. nella legge 79 del 25/3/1983, operato esplicitamente dall’art. 21 della legge 730/1983, e dunque ribaltando così completamente il risultato, con “l’interpretazione dell’interpretazione!”.
Sussiste inoltre ad avviso di questo giudice rimettente la violazione dell’art. 117 comma 1 della Costituzione rispetto all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo per come esso è interpretata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. La violazione di tali norme definite “interposte” e integrative del precetto costituzionale da codesta Corte nelle sentenze n. 348 e 349/2007, determina conseguentemente la violazione dell’art. 117 comma 1 della Costituzione relativamente al rispetto da parte dell’Italia degli obblighi internazionali.
Il caso in questione trova già autorevoli precedenti nella giurisprudenza della Corte europea con la sentenza Scordino della sez. I della Corte europea del 29/7/2004 n. 36813/97, ove in corso di un processo è intervenuta una modifica legislativa retroattiva, modificando le condizioni di parità processuale delle parti, in tale occasione la Corte ha affermato che ove la giurisdizione nazionale sia costretta per decidere la questione, dalla normativa retroattiva sopravvenuta in corso di processo, ciò si traduce in un’ingerenza del potere legislativo nel funzionamento del potere giudiziario in vista di influenzare la decisione della lite.
Pertanto vi è stata violazione dell’art. 6, paragrafo 1 della Convenzione.
Tale orientamento ha trovato recente conferma con la sentenza della Corte cedu con la sentenza del 7/6/2011 Agrati.
Quindi, dovendo il giudice nazionale applicare nell’ordinamento interno una norma CEDU, e non potendosi discostare dall’interpretazione data alla stessa norma dal giudice europeo: Cass.ssuu.nn. 1338, 1339, 1340, 1341/2004, questo giudice ritiene quindi rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittima costituzionale delle predette norme.
P.Q.M.
Sospende il processo.
Visti gli artt. 134 Cost., 1 legge costituzionale 1/1948 e 23 della legge 87/1953.
Ritenendo che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale.
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 commi 6, 7 e 8 del D.L. n. 98/2011 convertito nella legge 111/2011, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 117 comma 1 della Costituzione, in relazione all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo recepita con la legge n. 848/1955.
Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione della superiore questione di legittimità costituzionale.
Dispone che la segreteria provveda alla comunicazione della presente ordinanza alle parti costituite, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri, con la comunicazione ai Presidenti di Camera e Senato.
—
Provvedimento pubblicato nella G.U. del 04 dicembre 2013, n. 49
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 10385 depositata il 18 marzo 2021 - In tema di contributi previdenziali ed assistenziali, l'art. 3, comma sesto, del D.Lgs n. 8 del 2016 ha riformato la fattispecie di cui all'art. 2 del D.L. n. 436 del…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 28 giugno 2021, n. 18361 - In tema di imposte sui redditi, l'art. 2 della legge 25 novembre 1983, n. 349, in vigore dal 1 ° gennaio 1983, da un lato, ha aumentato l'aliquota dell'imposte sul reddito delle persone…
- Corte di Cassazione, sentenza n. 21415 depositata il 27 luglio 2021 - In tema di accertamento delle imposte sui redditi, in virtù dell'art. 2, comma 6-bis, del d.l. n. 90 del 1990 (conv., con modif., dalla l. n. 165 del 1990), avente, come norma…
- CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza n. 35035 depositata il 29 novembre 2022 - Nel caso di licenziamento collettivo, la violazione della quota di riserva prescritta dall'art. 3 della l. n. 68 del 1999 rientra nell'ipotesi di in quanto assunti in contrasto…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 dicembre 2020, n. 28157 - Con l'accertamento dei redditi con metodo sintetico, ai sensi del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, quarto comma la prova documentale richiesta dalla norma in grado di superare la presunzione…
- Corte di Cassazione sentenza n. 32326 depositata il 2 novembre 2022 - Per gli accertamenti a mezzo studi di settore il requisito della "grave incongruenza" di cui all'art. 62-sexies, comma 3, l. n. 331 del 1993, conv. con mod. dalla l. n. 427 del…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Il lavoratore in pensione ha diritto alla reintegr
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n . 32522 depositata il 23 novembre…
- Il dolo per il reato di bancarotta documentale non
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 42856 depositata il 1…
- La prescrizione in materia tributariava eccepita d
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27933 depositata il 4 ottobre 20…
- Il giudice penale per i reati di cui al d.lgs. n.
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 44170 depositata il 3…
- E’ legittimo il licenziamento per mancata es
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 30427 depositata il 2 novembre 2…