CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 giugno 2021, n. 15616
Tributi – IRPEF – Accertamento plusvalenza da cessione di immobile – Rettifica valore della cessione – Valore definito dall’acquirente ai fini dell’imposta di registro – Illegittimità
Rilevato che
1. S.M. impugnava l’avviso di accertamento emesso, ai fini IRPEF 2006, dall’Agenzia delle Entrate di Brescia che aveva rideterminato il reddito della contribuente per una plusvalenza accertata a seguito di compravendita di un immobile per un valore dichiarato di € 294.000,00, a fronte di un valore definito ai fini dell’imposta di registro dall’acquirente di € 369.090,00.
2. La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso ritenendo di uniformarsi all’orientamento giurisprudenziale secondo cui il valore definito ai fini della imposta di registro non può essere immediatamente utilizzato per accertare plusvalenze non dichiarate ai fini della imposizione diretta, ma crea tuttavia una presunzione legale, che rovescia sul contribuente l’onere di dimostrare di avere venduto il bene ad un prezzo inferiore al valore così determinato.
3. La Commissione tributaria regionale della Lombardia, Sezione staccata di Brescia, con sentenza n. 1709/67/2014 depositata in data 1.4.2014, accoglieva l’appello proposto dalla S., ritenendo che il valore definito ai fini della imposta di registro non può essere legittimamente utilizzato dall’Amministrazione finanziaria come dato presuntivo ai fini dell’accertamento del prezzo pagato dall’acquirente ai fini della imposte dirette.
4. Avverso tale decisione l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui il contribuente resiste con controricorso.
5. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 26 febbraio 2021, ai sensi degli artt. 375, ult. comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ.
Considerato che
1. Con l’unico motivo di ricorso, l’agenzia ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 67 e 68 del d.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR) e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360 primo comma n. 3) cod. proc. civ. sostenendo che la C.T.R. bresciana, accogliendo l’appello della contribuente, ha erroneamente applicato l’art. 67 del TUIR sul presupposto che “ai fini delle imposte d’atto, conta normativamente il valore commerciale del bene, e non ha nessuna rilevanza il prezzo effettivamente pattuito tra le parti contraenti e che non si possa sostenere che il valore definito ai fini della imposta di registro possa presuntivamente costituire il prezzo pagato dall’acquirente”.
1.2. Il motivo è infondato.
1.3. Seppure questa Corte abbia costantemente affermato come nella fase di accertamento di una plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione a titolo oneroso di immobili, l’Amministrazione finanziaria sia legittimata a procedere in via presuntiva, sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro, restando a carico del contribuente l’onere di superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato col valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, dimostrando di aver in concreto venduto ad un prezzo inferiore, non di meno, essendo ormai mutato il quadro normativo, il principio anzidetto è da ritenere superato.
1.4. Più precisamente, l’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 147 del 2015 ha espressamente disposto che: «Gli articoli 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e gli articoli 5, 5 bis, 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende, nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore, anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347». In base a tale norma, avente efficacia retroattiva – in quanto pacificamente di interpretazione autentica – deve escludersi che l’Amministrazione finanziaria possa ancora procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini di altra imposta commisurata al valore del bene, posto che la base imponibile ai fini IRPEF è data non già dal valore del bene, ma dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo. Il riferimento, contenuto nella norma in parola all’imposta di registro ed alle imposte ipotecarie e catastali, svolge una funzione esemplificativa, volta esclusivamente a rimarcare la ratio della norma incentrata sulla non assimilabilità della differente base impositiva ancorata al valore rispetto a quella prevista per l’IRPEF basata sul corrispettivo (cfr. Cass. Sez. 5, 17/05/2017, n. 19227; nonché più recentemente, Sez. 5, 16/12/2020, n. 28745; Sez. 5, 26/01/2021, n. 1581).
1.5. Questa Corte, in applicazione dello ius superveniens, mutando il precedente orientamento ha statuito che, ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 5 citato esclude che l’Amministrazione possa ancora procedere a determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di immobile solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro (Cass., Sez. 5, 8/05/2019, n. 12131; Sez. 5, 18/04/2018, n. 9513; Sez. 5, 2/08/2017, n. 19227; Sez. 5, 30/03/2016, n. 6135).
1.7. Conseguentemente, come chiarito da questa Corte, Sez. 5, n. 2610 del 30 gennaio 2019, l’automatica trasposizione del valore dato al cespite ai fini dell’imposta di registro in sede di accertamento della plusvalenza per la tassazione IRPEF, non trova più ingresso in sede di valutazione della prova, nel senso che non è possibile ricondurre a quel solo dato il fondamento dell’accertamento, dovendo piuttosto l’Ufficio provvedere ad individuare ulteriori indizi, dotati dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, che possano supportare adeguatamente il diverso valore della cessione rispetto a quanto dichiarato dal contribuente.
2. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza, mentre alcunché va disposto in ordine al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della legge n. 228 del 2012, trattandosi di ricorso proposto da un’amministrazione dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esentata dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. U., 08/05/2014, n. 9938; Cass. Sez. 6, 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
Rigetta ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate al rimborso delle spese di giudizio sostenute dalla contribuente che liquida in 2.800,00 euro, oltre 200,00 euro per esborsi, Iva e Cpa, nonché rimborso delle spese generali nella misura forfettaria del 15 %.
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