CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 ottobre 2021, n. 26739

Tributi – IRPEF – Riscatto di pensione integrativa aziendale – Tassazione

Rilevato che

Il contribuente D.G., già dirigente di E. SPA e già aderente al fondo E. P.I.A. (Previdenza Integrativa Aziendale), la cui posizione era stata trasferita al FondE., dopo avere optato per il riscatto di una pensione integrativa aziendale e avere subito una ritenuta IRPEF con l’aliquota del 36,30%, ha impugnato il silenzio rifiuto del rimborso delle ritenute operate, invocando l’applicazione, sulla somma liquidata, della minore ritenuta alla fonte a titolo di imposta del 12,50%.

A seguito dell’accoglimento della domanda del contribuente da parte della CTP e del rigetto dell’appello, la Corte di Cassazione (Cass., Sez. V, 22 gennaio 2013, n. 1412), ha cassato con rinvio la sentenza di appello, in ossequio al principio enunciato da Cass., Sez. U., 22 giugno 2011, n. 13642.

Ha, in particolare, ritenuto questa Corte che, quanto ai contribuenti iscritti a forme di previdenza complementare in epoca precedente l’entrata in vigore del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, deve farsi applicazione (per gli importi maturati sino al 31 dicembre 2000) del regime di tassazione separata quanto alla sorte capitale liquidata, applicandosi – invero – la ritenuta del 12,50% prevista dall’art. 6 l. 26 settembre 1985, n. 482 alla sola liquidazione del rendimento, demandando al giudice del rinvio l’individuazione della effettiva quota della prestazione erogata a titolo di rendimento derivante dall’impiego sul mercato del capitale costituito dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati al fondo dal datore di lavoro e dal lavoratore.

La CTR del Veneto, in sede di giudizio di rinvio, con sentenza in data 5 marzo 2014, ha rigettato l’appello dell’Ufficio. Ha ritenuto la CTR che il rendimento della polizza esistente nel fondo P.I.A. non si è formato mediante l’impiego diretto del capitale sul mercato, bensì è stato determinato con modalità matematico-attuariali. Ha poi ritenuto il giudice del rinvio che il contribuente abbia provato il rendimento maturato alla luce della perizia giurata di stima e della certificazione allegata alla perizia medesima, dalle quali sarebbe emerso che la redditività degli accantonamenti operati dal datore di lavoro è stata pari a quello ottenuto sul mercato dall’intero patrimonio E., riconoscendosi, pertanto, al contribuente il rimborso della trattenuta in eccesso.

Propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a due motivi, ulteriormente illustrato da memoria, cui resiste con controricorso il contribuente, ulteriormente illustrato da memoria.

Considerato che

1.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 384 cod. proc. civ. Il ricorrente osserva come il principio di diritto enunciato nel giudizio rescindente riguardava l’individuazione della quota di impiego sul mercato del capitale costituito dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati al fondo dal datore di lavoro e dal lavoratore, in relazione al quale sarebbe stata giustificata la tassazione al 12,50%. Evidenzia il ricorrente come la decisione del giudice del rinvio abbia omesso la verifica dell’impiego sul mercato del capitale accantonato, ritenendo indicativo il riferimento al rendimento imputabile all’impiego sul mercato. Osserva, inoltre, il ricorrente come il giudice remittente avesse ritenuto – conformemente all’insegnamento di Cass., Sez. U., n. 13642/2011- che il contratto di capitalizzazione sottoscritto dal contribuente riguardasse l’adesione a un fondo di previdenza complementare a causa previdenziale prevalente, per cui la sentenza impugnata ha ulteriormente violato il principio di diritto.

1.2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 42, 17, comma 2, 16 comma 1, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), nonché dell’art. 13, comma 9, d. lgs. 21 aprile 1993, n. 124 e dell’art. 1, comma 5, d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, conv. con l. 28 febbraio 1997, n. 30. Deduce il ricorrente che la tassazione di un reddito di capitale presuppone che lo stesso sia frutto di investimento sul mercato, ancorché si verti nel caso di prestazioni erogate da fondi di previdenza complementare aziendale, non competendo invece tale ritenuta agli importi percepiti a titolo di retribuzione. Ritiene, pertanto, erroneo il riferimento al rendimento riferibile genericamente a un piano di accumulo. Evidenzia, infine, il patrono erariale come il contribuente non abbia fornito l’onere della prova che le somme percepite fossero frutto di un investimento sul mercato ai fini della individuazione di un reddito di capitale da tassare alla fonte nella misura richiesta in sede di ricorso.

2. Si osserva preliminarmente che con memoria ex art. 372 cod. proc. civ. il ricorrente ha dedotto che «il ricorrente ha fatto pervenire una certificazione rilasciata da FONDE. il 23.05.2013, dalla quale risulta che, nel periodo 1.4.1998/31.12.2000, la sua posizione previdenziale ha maturato rendimenti dell’importo complessivo di € 28.587,19. Su tale importo […] può e deve essere applicata la più favorevole aliquota del 12,50%, in luogo di quella maggiore del 36,30% applicata dal sostituto d’imposta. L’Agenzia delle Entrate auspica pertanto che Codesta Ecc.ma Corte voglia accogliere parzialmente il ricorso e decidere nel merito, statuendo l’applicabilità dell’aliquota del 12,50%, limitatamente all’importo di € 28.587,19, e quindi il diritto al rimborso dell’importo di € 6.803,75, oltre interessi». A tali conclusioni si è associato il controricorrente. Alla luce di quanto precede, deve ritenersi che il ricorrente abbia parzialmente rinunciato al ricorso, nella parte relativa alla domanda di rimborso relativa al periodo 1° aprile 1998 – 31 dicembre 2000 (gestione FONDE.), per cui in tali ridotti termini la originaria domanda di rimborso proposta dal contribuente resta accolta.

3. Passandosi all’esame della restante parte del ricorso, i due motivi, i quali possono essere esaminati congiuntamente in quanto attengono alle medesime questioni, sono fondati alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte. La sentenza rescindente (Cass., n. 11412/2013, cit.), in aderenza ai principi espressi da Cass., Sez. U., n. 13642/2011, ha affermato il principio che la somma percepita dal contribuente, in quanto erogata da un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, va tassato nel caso di specie nella misura del 12,50% nella parte in cui costituisca «rendimento netto, imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato», statuendo che occorre accertare «natura e quantità del rendimento che sarebbe stato liquidato a favore del contribuente, verificando se vi sia stato (e quale sia stato) l’impiego da parte del Fondo sul mercato del capitale accantonato e quale (e quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego, giustificandosi solo rispetto a quest’ultimo rendimento l’affermata tassazione al 12,50%». Il giudice del rinvio, nonostante abbia accertato che il rendimento della polizza esistente in P.I.A. non si formasse mediante l’impiego diretto del capitale sul mercato ma derivasse dall’impiego di modalità matematico-attuariali e nonostante avesse accertato la sussistenza in fatto del rendimento, senza verificare, quale presupposto necessario, se vi fosse stato «impiego da parte del Fondo sul mercato del capitale accantonato».

4. Non colgono nel segno le osservazioni del controricorrente. Quanto alla deduzione secondo cui il fondo P.I.A. sarebbe un contratto assicurativo, esternalizzato come tale solo quando la posizione sarebbe stata trasferita al FondE., con conseguente accertamento della natura assicurativa della posizione (di qui, il riferimento alle modalità matematico-attuariali analogamente a quello che avviene per le prestazioni erogate da compagnie assicurative), tale osservazione non tiene conto del fatto che la stipula di una assicurazione sulla vita in base al comma 4 dell’art. 12 del CCNL del 16 maggio 1985 venne superata dall’accordo tra E. e Federazione nazionale dirigenti di aziende industriali (Fndai), in virtù del quale venne sostituito il trattamento assicurativo «con un rapporto di previdenza pensionistica integrativa P.I.A. con prestazioni da erogare in forma di trattamento periodico (ciò peraltro con efficacia retroattiva al 1° gennaio 1986, da ciò potendosi desumere che la disposizione che prevedeva la stipula di polizze vita di fatto non venne mai applicata)» (Cass., Sez. V, 2 marzo 2018, n. 4941). Conseguentemente, è privo di fondamento il riferimento alla individuazione della mera differenza tra ammontare del capitale corrisposto e premi riscossi, posto che l’assenza di natura assicurativa della prestazione erogata al contribuente (che ha causa previdenziale prevalente) è strettamente legata al rendimento di mercato, con la conseguenza che non risulta per esso applicabile in concreto il regime fiscale dettato dall’art. 6 l. 26 settembre 1985, n. 482 (aliquota del 12,5 % sulla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2 % per ogni anno successivo al decimo) (Cass., Sez. V, 26 maggio 2021, n. 14569; Cass., Sez. V, 13 maggio 2021, n. 12860). Quanto, infine, alla circostanza secondo cui il fondo P.I.A. sarebbe stato finanziato dall’E. e il rendimento sarebbe ricavabile dai bilanci E., come si evincerebbe dalla motivazione della sentenza, ciò non risponde al principio di diritto, secondo cui occorre individuare il «rendimento che sarebbe stato liquidato a favore del contribuente [dal] l’impiego da parte del Fondo sul mercato del capitale accantonato».

5. Tali considerazioni risultano confermate dalla relazione n. 32/99 della Corte dei Conti – sezione del controllo sugli enti – sul bilancio consuntivo dell’E. relativo all’esercizio finanziario 1997, come già rilevato da questa Corte (Cass., Sez. VI, 19 giugno 2018, n. 16116; Cass., Sez. V, 11 febbraio 2021, n. 3453; Cass., Sez. V, 26 maggio 2021, n. 14569).

6. Ne consegue che la sentenza impugnata non ha fatto applicazione del principio di diritto, non avendo accertato l’effettivo investimento sul mercato di riferimento degli importi accantonati dal datore di lavoro e di quale fosse il ritorno dell’investimento sulla quota di specifica pertinenza del lavoratore, per cui la sentenza impugnata va cassata. Il ricorso va, tuttavia, accolto, stante la parziale rinuncia al ricorso per il periodo successivo al marzo 1998 da parte dell’odierno ricorrente; non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto ex art. 384, cod. proc. civ., la causa va decisa nel merito, accogliendosi, stante la menzionata parziale rinuncia al ricorso, la domanda di rimborso nella misura indicata dal ricorrente in sede di rinuncia parziale al ricorso. Le spese del doppio grado del giudizio di merito e del giudizio di rinvio, nonché le spese del giudizio di legittimità, sono soggette a integrale compensazione, stante l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità, nonché stante la parziale soccombenza.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, ridetermina in € 6.803,75 oltre interessi di legge, l’importo che va rimborsato al contribuente; dichiara compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.