CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 dicembre 2019, n. 32629
Tributi – IRPEF – Dirigente Enel – Adesione al fondo di previdenza integrativa – Cessazione rapporto di lavoro – Prestazione integrativa corrisposta in unica soluzione – Tassazione – Criteri
Ritenuto in fatto
V.F., già dirigente della società E. spa, aderiva al trattamento di previdenza integrativa aziendale interno denominato PIA, istituito a seguito di accordo tra E. e Fndai (Federazione nazionale dirigenti aziende industriali) in sostituzione di una precedente polizza di assicurazione sulla vita e sull’invalidità permanente, prevista per i dirigenti di azienda dal contratto collettivo nazionale di lavoro con decorrenza 1.1.1986. Nell’anno 1998 i fondi accumulati in PIA venivano trasferiti al fondo di previdenza integrativa esterno denominato Fondenel (Fondo pensione dirigenti E.), costituito con accordo sindacale del 23.1.1998. Alla cessazione del rapporto di lavoro nell’anno 2000, V.F. riceveva la somma di euro 917.670, a titolo di corresponsione in unica soluzione della intera somma maturata quale trattamento pensionistico integrativo periodico. Sulla somma così corrisposta, la società E., in qualità di sostituto di imposta, operava la ritenuta Irpef di euro 251.743,46 determinata applicando l’aliquota media del 35,35% prevista per la tassazione separata dell’indennità di fine rapporto a norma dell’art. 16 d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917.
Il contribuente presentava istanza di rimborso, sostenendo che l’erogazione di cui aveva beneficiato doveva essere considerata provento di un contratto assicurativo sottoposto alla tassazione propria dei redditi di capitale con aliquota del 12,5% a norma degli artt. 42 comma 4 d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 e 6 della legge n. 482 del 1985; pertanto richiedeva il rimborso della somma di euro 162.725,33 pari alla differenza tra l’importo trattenuto (euro 251.743) e quello che avrebbe dovuto essere versato applicando l’aliquota del 12.5% (euro 89.018).
A seguito del silenzio rifiuto della Agenzia delle Entrate, il contribuente proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Asti che lo accoglieva con sentenza n. 30 del 2006.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello alla Commissione tributaria regionale del Piemonte che lo accoglieva integralmente con sentenza n. 23 del 2008.
Contro la sentenza di appello V.F. proponeva ricorso per cassazione accolto da questa Corte con la sentenza n. 29930 del 2011, che cassava la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale.
A seguito di riassunzione della causa la Commissione tributaria regionale del Piemonte con sentenza n. 1241 del 14.10.2014 rigettava l’appello della Agenzia delle Entrate e confermava la condanna al rimborso della somma richiesta in restituzione dal contribuente, oltre interessi. Il giudice del rinvio, sulla base di un’attestazione rilasciata dall’E., rilevava che le somme percepite dal dirigente all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, quale trattamento previdenziale integrativo erogato in forma di capitale costituivano “rendimento derivante dall’impiego del capitale in parola all’interno dell’azienda.”
Contro la sentenza emessa dal giudice del rinvio l’Agenzia delle Entrate propone due motivi di ricorso per cassazione.
V.F. resiste con controricorso e formula ricorso incidentale con unico motivo per “Violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 comma 1 n.3 cod.proc.civ. degli artt. 7 e 63 del d.lgs. n.546 del 1992 in relazione all’art. 360 n.3 cod.proc.civ.”, nella parte in cui la C.T.R. ha ritenuto di inammissibile la perizia di parte prodotta dal contribuente nel giudizio di appello al fine di quantificare l’entità degli interessi. Deposita memoria.
Ragioni della decisione
A) Ricorso principale.
1. Con il primo motivo si deduce: “Violazione o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1 comma 2 del d.lgs. 546/1992 e 384 cod.proc.civ. e dell’art. 2697 e ss. cod.proc.civ. (ndr art. 2697 e ss. cod.civ.) (art. 360 n. 4 cod.proc.civ.)”, per non avere correttamente applicato il principio di diritto affermato nella sentenza di cassazione con rinvio.
Il motivo è fondato nei seguenti termini. Questa Corte con la sentenza n. 29930 del 2011, richiamando il principio di diritto stabilito da Sez.U n. 13642 del 2011, ha fissato al giudice del rinvio la seguente regola di diritto: con riferimento alle prestazioni previdenziali integrative erogate in forma di capitale , per gli importi maturati fino al 31.12.2000 (come avvenuto nel caso in esame) occorre operare una distinzione nel senso che l’imposta con aliquota del 12,5% propria dei redditi di capitale può essere applicata esclusivamente al “rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato” (Sez.U. citata pag.7), mentre sulla restante parte della somma erogata deve essere applicata l’aliquota media prevista per la tassazione separata delle indennità di fine rapporto.
Come precisato da successive decisioni di questa Corte (Sez. Sez. 5 n. 10285 del 26.4.2017 pag.16) è da escludere che la redditività degli accantonamenti, nel bilancio E., delle somme imputate al Fondo PIA, considerata pari alla redditività dell’intero patrimonio della società E., possa essere equiparato al “rendimento netto” rinveniente dalla gestione delle somme accantonate mediante investimento sul libero mercato, attesa l’evidente eterogeneità delle due fonti reddituali (plusvalenze da investimento sul libero mercato e redditività, ossia capacità di produrre utili dell’azienda misurata dal margine operativo lordo).
2. Con il secondo motivo si deduce: “In subordine: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 1 comma n.5 cod.proc.civ.”.
Il secondo motivo è assorbito dall’accoglimento del primo.
B) Ricorso incidentale.
Il ricorso incidentale è inammissibile per carenza di interesse all’impugnazione di una sentenza nella quale il contribuente è risultato parte interamente vittoriosa, avendo il giudice di appello statuito in senso favorevole al contribuente anche in relazione alla spettanza degli interessi.
In accoglimento del primo motivo di ricorso principale la sentenza deve essere cassata. Poiché il giudice di merito ha accertato che il rendimento è derivato dall’investimento interno all’E., ossia “dall’impiego del capitale in parola all’interno della azienda”, con conseguente esclusione di investimenti esterni sul mercato finanziario (produttivi di rendimenti soggetti ad aliquota del 12,5%), non risultano necessari ulteriori accertamenti di fatto e la causa può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.
L’esistenza di contrasti interpretativi, che hanno richiesto l’intervento delle Sezioni Unite, giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso principale accolto, e decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario del contribuente. Compensa le spese dell’intero giudizio.
Sussistono i requisiti processuali per porre a carico del ricorrente in via incidentale il pagamento del doppio contributo, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228, se dovuto.
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